Quando era all’opposizione, indossava, metaforicamente, la kefiah, perorava la nascita di uno Stato palestinese e tuonava contro la colonizzazione ebraica dei Territori. Ora che è ministro degli Esteri, vola a Gerusalemme, indossa, sempre metaforicamente scrivendo, la kippah La conversione di Luigi Di Maio.
“Voglio esprimere il profondo cordoglio per il barbaro attentato di poco fa a Nizza. Siamo vicini alle famiglie delle vittime. “L’Italia ripudia ogni estremismo e resta al fianco dei suoi amici francesi nella lotta contro il terrorismo e ogni radicalismo violento”. Il titolare della Farnesina, atterrato questa mattina in Israele per la sua prima visita nella veste di ministro degli Esteri, ha aperto così il suo intervento nella conferenza stampa congiunta al termine dell’incontro con l’omologo israeliano Gabi Ashkenazi.
A fianco d’Israele, ma…
“Quello con Israele è un rapporto profondo che si fonda sulla condivisione di valori comuni, e si alimenta anche del continuo forte impegno italiano nella lotta contro ogni forma di antisemitismo”, ha proseguito Di Maio. In una intervista pubblicata oggi sul quotidiano Israel Hayom, giornale legato alla destra israeliana, in vista della missione, Di Maio ha condannato “gli inaccettabili attacchi personali del presidente Erdogan contro il presidente Macron e contro la Germania, che peraltro fanno un uso inaccettabile della Shoah, un uso che condanno fermamente”.
Gli accordi di Abramo – firmati a Washington e incentrati sulla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele e Emirati Arabi Uniti – costituiscono, per usare le parole del ministro degli Esteri israeliano Gabi Ashkenazi, “un momento storico, l’inizio di una nuova era per trasformare il Medio Oriente in una zona di collaborazione e prosperità”.
Si tratta di convincere anche i palestinesi, secondo cui non sarà possibile alcuna pace nella regione finché gli Stati Uniti e Israele non riconosceranno i diritti del popolo palestinese di stabilire il proprio Stato entro i confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale e – come ha ricordato recentemente il presidente palestinese Abu Mazen – “risolvendo la questione dei rifugiati in base alla risoluzione 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite”.
La risposta di Di Maio è stata molto diplomatica: “La ripresa delle relazioni tra Israele e Emirati Arabi – ha detto – deve costituire una nuova spinta verso il processo di pace e il riavvio dei negoziati diretti tra israeliani e palestinesi, con la prospettiva di una soluzione a due Stati che sia giusta, sostenibile e praticabile”, anche se sempre meno persone, in Medio Oriente, la considerano tale. All’Italia, Israele ha chiesto anche di riconoscere Hezbollah come gruppo terroristico vicino all’Iran, che stando alle parole delle autorità israeliane resta la principale minaccia alla stabilità dell’intera regione: “E’ interesse di tutti – ha detto ancora Ashkenazi – impedire che l’Iran abbia armi nucleari che permettano di cambiare lo status quo in Medio Oriente, ed è necessario appoggiare le sanzioni Usa per evitare che l’Iran diffonda odio e terrorismo nel mondo”. Ma su questo, Di Maio ha preferito sorvolare, visti gli affari economici che legano Roma a Teheran e sia perché agire fuori da una condivisione europea, francese in particolare, potrebbe essere un autogol politico-diplomatico per l’Italia, già messa fuori dalla “partita libica”.
Il ministro, durante una breve visita al Memoriale e Museo della Shoah Yad Vashem, ha deposto una corona di fiori in ricordo delle vittime e ha lasciato un messaggio nel libro d’onore: “Qui si ricorda l’abisso della Shoah, la memoria non può essere soltanto la recitazione di un passato d’orrore, ma deve esprimere un monito per la coscienza di ognuno di noi”.
In poco più di 24 ore, Di Maio affronterà un’agenda fittissima. Spicca tra tutti il faccia a faccia con il premier Benjamin Netanyahu, indice del riguardo che viene riservato da Gerusalemme alla visita del ministro, forse anche a seguito della sintonia tra Di Maio e Pompeo durante la recente missione a Roma del Segretario di Stato americano.
Venerdì a Gerusalemme vedrà il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, e il nunzio apostolico, monsignor Leopoldo Girelli. Seguirà poi l’incontro con Nickolay Mladenov, il rappresentante speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente. Infine a Ramallah incontrerà il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh e il suo omologo Riad Malki.
Ricordi Luigi…
Al ministro degli Esteri vorremmo ricordare quanto segue: “Quello che diciamo facciamo: se il M5S arriverà al governo, riconosceremo lo Stato di Palestina”. Ad affermarlo è lui stesso, in un incontro con i giornalisti italiani ad Hebron nella sede del Tiph (Temporary international presence in Hebron) di cui fa parte un contingente italiano di carabinieri. “È un indirizzo politico – ha spiegato Di Maio che si trovava in visita in Israele e Palestina a capo di una delegazione pentastellata – che avevamo all’opposizione e che quindi avremo anche in maggioranza”. Era il 9 luglio 2016.
“Un riconoscimento che ovviamente – ha aggiunto il capogruppo in commissione affari esteri alla Camera Manlio Di Stefano, oggi sottosegretario agli Esteri – si deve basare sui confini del ’67 e che deve comportare anche il ritiro dal Golan. È quello che diremo agli israeliani”. Il tema, raccontano le cronache di quei giorni, è stato affrontato anche nell’incontro con il sindaco di Betlemme Vera Bahboun. Secondo Di Maio, il riconoscimento avrebbe un effetto trascinamento sulle altre nazioni europee. “Perché è la Ue – ha aggiunto – che deve avere un peso fondamentale nella questione, visto anche gli attori abituali si sono usurati”. Ed ancora: “”Come già ricordato tante volte, le colonie israeliane in territorio palestinese sono illegali secondo tutta la comunità internazionale e dunque ostacolo alla pace. Ce lo ha ricordato l’Onu con numerose risoluzioni. Questo è un elemento fondamentale se si vuole la pace in questa terra martoriata”. Non basta? “Abbiamo avuto modo di far visita ai nostri carabinieri della missione Tiph a Hebron – continuava l’allora vicepresidente della Camera – . Qui abbiamo ascoltato le parole del responsabile della missione e dei vertici del contingente italiano. Ci hanno spiegato come circa l’80% dei conflitti nella zona siano dovuti ai comportamenti dei coloni israeliani”.
Allora come oggi alla guida d’Israele c’è Benjamin Netanyahu, deciso assertore dell’annessione, stoppata dall’emergenza Covid ma tutt’altro che dismessa, di parti della Cisgiordania. “L’Italia rivendica una soluzione sostenibile, realistica, giusta e direttamente negoziata tra le due Parti, nel quadro di una prospettiva a due Stati che tenga nella dovuta considerazione le legittime aspirazioni e necessità di entrambe. Gli ultimi sviluppi sul Processo di Pace ci preoccupano, in particolare l’ipotesi di annessioni israeliane di parti della Cisgiordania a partire dal primo luglio”. Così si esprimeva il titolare della Farnesina a Montecitorio il 20 giugno scorso. “L’Italia – ha aggiunto quel giorno – – sostiene con convinzione la posizione europea già espressa dall’Alto Rappresentante Borrell, il quale ha invitato Israele ad astenersi da azioni unilaterali che rischierebbero di costituire una chiara violazione del diritto internazionale e di pregiudicare il dialogo con la parte palestinese”.
Di questo imbarazzante argomento, Di Maio non ha fatto cenno nei suoi incontri israeliani. Meglio sorvolare per non irritare “Bibi”.