Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. I proverbi, si sa, contengono una grande dose di saggezza. Quello citato ci accompagna nella seconda puntata delle missioni di Matteo d’Arabia nel Golfo Persico. Stavolta a Dubai. Ma prima di entrare dentro il proverbio, vale la pena di ricapitolare gli eventi, non solo mediatici, che hanno fatto seguito alla visita del senatore di Rignano e del suoi influente accompagnatore nella capitale di uno dei più ricchi Paesi del Golfo.
E qui il motto popolare potrebbe declinarsi così: Dimmi dove vai ti dirò chi sei.
Interrogativi e querele
“Perché Matteo Renzi è andato a Dubai?” si chiede La Stampa, che accusa il senatore di aver violato le norme anti-covid. “Non ha voluto spiegarlo. Forse un incontro privato, una riunione del board dell’Istituto collegato al fondo sovrano saudita, di cui è membro. Non risulta sia in missione come senatore della Repubblica o, comunque, per impegni legati alla sua attività politica in Italia. Possiamo escludere che sia lì in vacanza, anche se la suite affacciata sul mare in cui alloggia, all’hotel Burj Al Arab Jumeirah, potrebbe farlo pensare”.
Una ricostruzione che all’ex premier non è affatto piaciuta tant’è che, come rende noto il suo ufficio stampa, ha dato mandato ai propri legali di adire in giudizio in sede civile il direttore del quotidiano Massimo Giannini e il giornalista Niccolò Carratelli per l’articolo pubblicato.
Nel frattempo, però, la polemica politica divampa e i cinque stelle attaccano duramente il leader di Iv. Mario Perantoni, deputato M5S e presidente della commissione Giustizia della Camera chiede a Renzi di chiarire i motivi della sua trasferta a Dubai: “Apprendiamo di un viaggio super segreto a Dubai del leader di IV e, visto il precedente e discusso incontro con il principe saudita Bin Salman, chiediamo di sapere se Matteo Renzi ha ricevuto o riceverà un compenso anche in questa occasione”. Può apparire noioso chiedere spiegazioni in merito a quanto anticipato da La Stampa, sottolinea l’esponente grillino, ma la politica italiana “ha bisogno di chiarezza e di politici trasparenti e invece l’oggetto ed i fini di queste missioni appaiono oscuri. In ogni caso se il senatore Renzi dovesse ricevere compensi si pone un problema istituzionale: prendiamo atto che Renzi agirà in sede civile contro i giornalisti ma queste faccende hanno bisogno di essere chiarite soprattutto in sede politica.”
A sostegno del capo di Italia viva scende in campo la ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti (Iv). Intervenuta ai microfoni di Radio Capital, la ministra sentenzia che quello che si è innescato è un dibattito del tutto surreale. “Renzi a Dubai? Si sta facendo di questo un dibattito surreale. Nell’ambito del suo lavoro e delle sue attività, il senatore Renzi ha delle relazioni internazionale. Dove si trova non è così importante”. “Immagino sia lì per lavoro” ha aggiunto. Se prende un compenso “non lo so, ma se anche fosse e quando è stato, è sempre stato nella piena trasparenza e legalità. E’ tutto dichiarato da un punto di vista fiscale” ha concluso.
Dopo Massimo Giannini, anche la redazione di Tpi ha deciso di replicare alla querela di Matteo Renzi, che non ha preso bene la pubblicazione della notizia di un suo viaggio a Dubai del quale non si conoscono le motivazioni ufficiali. Il senatore di Rignano è sbarcato negli Emirati nella giornata di sabato 6 marzo e ha alloggiato nel lussuoso Burj Al Arab Jumeirah, hotel a forma di vela gigante che è situato su un’isola privata e comprende solo suites da almeno 1500 euro a notte.
Domenica 7 marzo, il direttore della Stampa non aveva nascosto lo stupore per la citazione in giudizio di Renzi: “Stamattina alle cinque e diciassette esatte del mattino mi ha mandato un sms sul telefonino. Diceva testuale ‘bastava un tuo messaggio e ti saresti risparmiato di scrivere tutte queste cazz***. Ci vedremo in tribunale’”. Inoltre Giannini ha svelato che, prima di pubblicare la notizia del “misterioso” viaggio a Dubai, ha parlato con il portavoce di Renzi che però era all’oscuro di tutto. Il senatore di Rignano non ha voluto chiarire il motivo del suo viaggio, anzi ha querelato anche Tpi.
Il console onorario
E qui entriamo in un terreno “minato”. Perché riguarda un personaggio che ha avuto sempre una grande influennza sull’ex presidente del Consiglio. Amico e sodale: Marco Carrai.
Scrive Niccolò Carratelli: “Certo è che entrambi, in questi anni, hanno sviluppato relazioni e interessi nella penisola araba. Per Carrai, uno su tutti: la Toscana Aeroporti, società di cui è presidente e che gestisce gli scali di Firenze e Pisa, ha come azionista di maggioranza la Corporacion America Italia, che entra nel capitale nel 2017, con la benedizione di Renzi e del Pd locale. Vale la pena qui ricordare che, prima di quell’acquisizione, tra il 2014 e il 2016, la stessa società aveva fatto due donazioni, per un totale di 75mila euro, alla fondazione Open, la cassaforte del renzismo, nel cui direttivo sedeva all’epoca lo stesso Carrai. In seguito, nel luglio del 2018, il 25% delle quote azionarie di CAI è stato rilevato dalla Mataar Holdings, società con sede ad Amsterdam, indirettamente controllata da Investment Corporation of Dubai, il principale fondo di investimento del governo degli Emirati, con asset totali del valore di 166 miliardi di dollari. L’amministratore delegato dell’ICD si chiama Mohammed Ibrahim Al Shaibani, che è anche nel consiglio di amministrazione di Corporacion America Italia, oltre che nel board di Dubai Aerospace Enterprise: la più grande compagnia di leasing aeronautico al mondo, creata dal fondatore e numero uno della Emirates, lo sceicco Ahmed bin Saeed al Maktoum, membro della famiglia reale”.
Fin qui il giornalista de La Stampa. Ma Marco Carrai è anche altro. E’, dal 4 ottobre 2019, console onorario dello Stato d’Israele per la Toscana, Emilia Romagna e Lombardia.
Carrai ha interessi privati a Tel Aviv, dove sono presenti due società a lui riconducibili con soci pesanti in Israele come Jonathan Pacifici e Reuven Ulmansky, veterano della Nsa, ex Unità 8200, dell’Israel Defence Force.
Scriveva in proposito Carlo Tecce sul Fatto quotidiano: “A un ricevimento romano con gli amici di Israele, il diplomatico Naor Gilon, allora ambasciatore in Italia, disse stupendo i commensali: ‘Non sapete neanche il suo nome, ma vi assicuro che è tra gli uomini più importanti del vostro Paese’. E Carrai fu assalito da mani pronte a stringere un potere che verrà e, in effetti, venne.
Adesso Dror Eydar, il successore di Gilon, ha consegnato a ‘Marchino’ il cartiglio ufficiale che gli conferisce l’ incarico di console onorario di Israele in Toscana, Emilia Romagna e Lombardia
La nomina dipende dai suoi rapporti col primo ministro Benjamin Netanyahu?, chiede Tecce al neo console-
Risposta: “Ricevo il titolo, penso, per la mia devozione e per il mio impegno economico, culturale e religioso, che anche grazie a mia moglie, Francesca (Campana Comparini, organizza il Festival delle religioni), si è evoluto e formato per il bene di Israele, la mia seconda patria”.
“La carica di console –precisò Carrai durante il suo discorso d’insediamento – non la considero onorifica, ma qualcosa che mi impegna a far capire sempre più cosa sia Israele e il popolo ebraico: e le due cose coincidono, chi immagina che siano qualcosa di diverso non ha capito niente del popolo ebraico e della storia dell’umanità”.
Soldi arabi e israeliani
Illuminante è la documentatissima inchiesta di Angelo Mincuzzi pubblicata il 4 dicembre 2019 dal Sole24Ore:
“Wadi Ventures, la società lussemburghese sulla quale hanno acceso i riflettori i magistrati della procura di Firenze che indagano sulla Fondazione Open, è un punto di incontro tra capitali arabi e israeliani – scrive l’autore – Nell’azionariato della società e in quello della controllante Wadi Ventures Management Company, si mescolano investitori dei due mondi, spesso contrapposti politicamente ma in questo caso uniti dagli affari. … Da quanto rivelano i documenti (che però si fermano al febbraio 2019) il capitale sociale versato dai soci della Wadi Ventures è di 2.225.000 euro suddiviso fra 13 azionisti. Al momento della costituzione della società, il 4 ottobre 2012, l’unico azionista accomandante era la società italiana Sdb, una società a responsabilità limitata milanese controllata da Vittorio Giaroli, azionista tra l’altro della Cambridge Management Consulting, società fiorentina fondata e presieduta da Marco Carrai.
L’investimento più importante avviene nel 2015. Il 22 luglio di quell’anno la Golden Landscape Limited, una società che ha sede nella Airport free zone di Dubai, entra nel capitale della Wadi Ventures rilevando 500mila azioni di nuova emissione.
La somma per acquistare le quote, pari a 500mila euro, era stata versata su un conto della Wadi Ventures acceso presso la Société Européenne de Banque (oggi Intesa Sanpaolo Bank Luxembourg) il 7 luglio dal Kingdom Wealth Funds, un fondo d’investimento arabo con uffici a Dubai, Londra e Hong Kong. Il fondo è stato costituito da Mohamad A. Al Akari, uomo d’affari saudita, consulente del governo libico e partner di Intrust Group, e da Ayesha Al-Suwaidi, membro di una delle famiglie imprenditoriali degli Emirati Arabi Uniti. Il fondo gestito dagli arabi è, attraverso la Golden Landscape Limited, il principale azionista singolo della società, con il 22,5% delle azioni, seguito da Sdb con l’11,2%; Ravà, Maranzana e Moscati con l’8,9% ciascuno; da Valli e Bluenext con il 6,7; e poi tutti gli altri con una quota del 4,49% ciascuno, tranne Landi che possiede solo il 3,37%.
Il board di Wadi Ventures è invece composto sin dalla sua fondazione da Marco Carrai, Gianpaolo Moscati e Renato Attanasio Sica, azionista e amministratore delegato di Cambridge Management Consulting. Al piano più alto, quello della Wadi Ventures Management Company, costituita il 1° agosto 2012 con un capitale composto da 500 azioni del valore di 50 euro ciascuna. Gli azionisti sono otto e ognuno di loro possiede il 12,5% della società. I soci sono Marco Carrai, la Sdb, Gianpaolo Moscati, Renato Attanasio Sica, Fb Group, e Pier Luigi Curcuruto, socio di Carrai e Sica nella Cambridge Management Consulting e presidente della società fiorentiva Yourfuture, di cui Carrai è socio e consigliere e Gampaolo Moscati è amministratore delegato.
Ma non è finita qui. Perché tra gli azionisti figura anche la Jonathan Pacifici & Partner Ltd. Nel suo sito Jonathan Pacifici si descrive come un venture capitalist, imprenditore, studioso della Bibbia e del Talmud e leader della comunità. Nato a Roma nel 1978, nel 1982 sopravvive all’attacco terroristico alla Sinagoga e all’età di 19 anni si trasferisce in Israele. Qui inizia una carriera nel settore high-tech israeliano. È presidente del Jewish economic forum, e general partner delle società israeliane Sixth Millennium Venture Partners e Wadi Ventures, società – quest’ultima – che ha lo stesso nome della Wadi Ventures lussemburghese. Ultimo azionista della Wadi Ventures Management è la società israeliana Leading Edge Ltd, il cui managing partner è Reuven Ulmanksy, veterano dell’unità d’intelligence tecnologica d’élite 8200 dell’Esercito israeliano e professore a contratto presso la Facoltà di economia e management della Ben-Gurion University.
Ulmansky, insieme a Jonathan Pacifici e a Marco Norberto Bernabé, figlio di Franco Bernabé, è partner dell’israeliana Wadi Ventures. Dal Lussemburgo a Tel Aviv i nomi sono sempre gli stessi. Ma almeno, qui, arabi e israeliani collaborano nel business della tecnologia”.
Un business caro al “console onorario” Marco Carrai.
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