Sulla cittadinanza italiana a Zaki la bella politica entra al Senato

Adesso una mozione firmata tra gli altri da Liliana Segre chiede la nazionalità per lo studente vittima della repressione di Al Sisi e l'impegno per la sua scarcerazione"

Patrick Zaki
Patrick Zaki
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Marzo 2021 - 16.24


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E’ stato di parola. E di questi tempi, davvero grami per la politica e i suoi protagonisti, è già una notizia. E lo è ancor di più quando il lasso di tempo tra le parole e gli atti è così breve, quasi istantaneo. “Noi vogliamo che Patrick Zaki diventi cittadino italiano ed europeo. E’ una battaglia che il Pd farà. Riteniamo che questo sia un segnale importante a un paese, l’Egitto che ha violato insopportabilmente i diritti e ha portato alla morte una persona alla quale vogliamo bene, Giulio Regeni. Noi su questo faremo una battaglia e la faremo fino in fondo”.

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Così all’assemblea nazionale del Pd, riferendosi al ricercatore dell’Università di Bologna arrestato oltre un anno fa in Egitto. Così si era pronunciato Enrico Letta domenica scorsa, intervenendo all’assemblea nazionale del Partito democratico che lo ha eletto segretario. Nel raccontare quel discorso, Globalist ha rimarcato questo passaggio. Tutt’altro che scontato. Tutt’altro che retorico.

Dalle parole ai fatti

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Ed è importante che l’impegno annunciato dal neo segretario sia entrato dalla porta principale a Palazzo Madama. 

Impegnare il governo a “provvedere con urgenza al riconoscimento della cittadinanza italiana a Patrick Zaki”, secondo quanto stabilisce la legge 91/92 e “ad adoperarsi con maggiore vigore in tutte le sedi europee e internazionali perché l’Egitto provveda, senza ulteriori indugi, al rilascio”. 

E’ l’obiettivo di una mozione presentata ieri a prima firma dai Senatori Francesco Verducci, vice Presidente Commissione Cultura e Istruzione, Liliana Segre, Senatrice a vita, Valeria Fedeli, Loredana De Petris, Monica Cirinnà, Roberta Pinotti, Anna Rossomando, Alessandro Alfieri, Francesco Giacobbe, Dario Parrini, Paola Nugnes, Daniela Sbrollini, Maria Saponara, Matteo Richetti, Loredana Russo, Albert Laniece, Michela Montevecchi, Valeria Valente e molti altri. 

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La mozione ricorda che la legge 91/92 consente di riconoscere allo straniero la cittadinanza italiana con Decreto del Presidente della repubblica, sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del Cdm, per “eminenti servizi resi all’Italia o quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato”. Un interesse configurato, secondo la mozione, dalla “drammatica condizione in cui versa lo studente egiziano, sottoposto a un’ingiusta carcerazione e a condizioni inumane da parte di un regime che viola sistematicamente i diritti dei dissidenti politici”.

“Il 7 febbraio 2020, l’attivista e ricercatore egiziano Patrick George Zaki – ricostruisce la mozione – è stato prelevato dagli agenti dell’Agenzia di sicurezza nazionale egiziana all’aeroporto del Cairo e arrestato. I Pm di Mansoura, sua città natale, hanno ordinato la detenzione preventiva contestandogli i reati di ‘istigazione a proteste e propaganda di terrorismo sul proprio profilo Facebook’. Com’è noto,  al momento dell’arresto Zaki stava frequentando un master internazionale in Studi di genere all’università di Bologna ed era attivista presso l’Ong ‘Egyptian initiative for personal rights’ Eipr una delle ultime organizzazioni indipendenti per i diritti umani attiva in Egitto. Zaki è stato torturato e da allora è recluso. Il 18 dicembre il Parlamento europeo ha approvato una proposta di risoluzione comune sulle violazioni dei diritti umani in Egitto, in cui i deputati europei chiedono la scarcerazione di Zaki e di diversi altri prigionieri politici e alle autorità egiziane di collaborare con l’Italia perché possano essere giudicati i quattro indagati per l’omicidio di Giulio Regeni. Il 12 marzo il Consiglio per i diritti dell’Onu a espresso profonda preoccupazione per la traiettoria assunta dai diritti umani in Egitto, firmata da 31 paesi, tra cui Usa e Italia”. 

 La mozione è inoltre sottoscritta anche dai senatori Paola Boldrini, Luciano D’Alfonso, Vincenzo D’Arienzo, Danila De Lucia, Andrea Ferrazzi, Vanna Iori, Daniele Manca, Salvatore Margiotta, Gianni Marilotti, Gianni Pittella, Tatiana Rojc, Sandro Ruotolo, Dario Stefàno, Mino Taricco. 

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Una bella notizia

Una iniziativa importante. Una pagina di bella politica. Che accoglie istanze e speranze di quel mondo solidale, fatto di associazioni per i diritti umani, Ong, sindaci e amministrazioni locali, prima fra tutti Bologna, che hanno insignito Zaki della cittadinanza onoraria. Ora la parola è la Governo. E’ al presidente del Consiglio, Mario Draghi, al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. La diplomazia dei diritti non deve soggiacere a quella degli affari. In gioco, è bene ricordarlo, non è solo la libertà di un giovane studente. In gioco è la sua stessa vita. 

Va ricordato che Zaki  è detenuto da quasi un anno con l’accusa di propaganda sovversiva, essendo stato arrestato il 7 febbraio 2020 mentre tornava in Egitto per una vacanza. L’ultima conferma di custodia cautelare era stata il colpo di grazia per i familiari di Patrick, che si erano dichiarati sfiniti ormai dalle vicende giudiziarie e dalle condizioni disumane in cui il giovane vessa durante le udienze. L’ultima volta il suo caso era stato trattato con quello di altri 700 detenuti e non gli è stato permesso di sedersi e bere per tutta l’attesa del suo processo.

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“Con questa decisione, l’ennesima di prolungare la detenzione cautelare di Patrick Zaki, mi pare evidente che le autorità egiziane intendano accanirsi usando tutto il tempo previsto dalla legge per tenere in carcere un innocente, ossia il limite dei due anni per il rinnovo della detenzione cautelare”, sottolinea Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International. “Patrick è un prigioniero di coscienza a cui non viene data la possibilità di difendersi dalle accuse fabbricate nei suoi confronti. Se questo è l’obiettivo delle autorità, è necessario che la reazione italiana, della Farnesina e di tutte le istituzioni sia decisa e porti a pretendere la liberazione di Patrick. Non c’è altro da aspettare: va fatto qualcosa subito”.

E qualcosa d’importante è stata fatta ieri, al Senato. Scriveva Carlo Verdelli sul Corriere della Sera non molto tempo fa, rivolgendosi al Presidente Draghi: Ci vorrà molto coraggio per ridare speranza a un’Italia interrotta da una crisi disperante – è un passaggio del suo articolo -.   La lista delle priorità è lunga, il contesto pericolosamente litigioso, il clima dentro e fuori il Paese non butta al bello, il tutto al netto del virus. Ma le grandi imprese cominciano anche da piccoli segni. Per esempio, dall’emergenza depennata, nell’infuriare della bufera, di uno studente «egiziano ma come se fosse italiano» abbandonato nelle spire di una bestia congegnata per soffocarlo. Sta esaurendo le forze, il «nostro» Zaki, si sta perdendo dentro l’incubo in cui l’hanno precipitato. Non rimane tanto tempo e non bastano più gli attestati di solidarietà a ciglio umido. Ci vorrebbe un moto di coraggio. Dargli la cittadinanza italiana, per esempio, che è cosa ben diversa dalla benemerenza civica regalatagli dalla sua Bologna. Vero che questa concessione richiede passaggi complessi, compreso un decreto del presidente della Repubblica, ma non ci sono ostacoli di forma: Patrick Zaki potrebbe diventare, giuridicamente, sia egiziano sia italiano. E in questo caso la pressione sul Cairo aumenterebbe di potenza, anche agli occhi degli alleati europei in questa battaglia di umanità. La nostra legge prevede che il riconoscimento della cittadinanza a uno straniero sia possibile ‘quando questi abbia reso eminenti servizi al Paese, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato». Siamo nel secondo caso. Il nostro Stato, oggi più che mai, ha bisogno di dare segnali forti di coraggio. Nel suo proprio interesse, e in quello degli ultimi della fila”

Lettera dal carcere

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Presidente Draghi, per conoscere ancor meglio la condizione di Zaki, sarebbe cosa buona e saggia leggere la lettera che il giovane “sequestrato” ha scritto il 12 dicembre scorso, tre mesi fa. 

“Ho ancora problemi alla schiena e ho bisogno di forti antidolorifici e di qualcosa per dormire meglio”, racconta dal carcere di Tora in un messaggio rivolto ai genitori. “Il mio stato mentale non è un granché dall’ultima udienza”, scrive lo  studente, nella lettera che la famiglia ha ricevuto e gli attivisti hanno pubblicato sulla pagina Facebook “Patrick Libero” esprimendo la loro “grave preoccupazione per la salute mentale e fisica di Patrick”. 

“Continuo a pensare all’Università, all’anno che ho perso senza che nessuno ne abbia capito la ragione. Voglio mandare il mio amore ai miei compagni di classe e agli amici a Bologna. Mi mancano molto la mia casa lì, le strade e l’università. Speravo di trascorrere le feste con la mia famiglia ma questo non accadrà per la seconda volta a causa della mia detenzione” continua nella lettera Zaki.

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Quel carcere infernale

Se poi è interessato a saperne di più di dove sia recluso lo studente, ecco la descrizione che l’ottima collega Antonella Napoli ne fa in un documentato, angosciante articolo per Avvenire: “Una grande tomba di cemento, il simbolo del terrore del regime egiziano guidato dal presidente Abdel Fattah al–Sisi. Basta attraversare l’ingresso sorvegliato da blindati e uomini armati nelle torrette collocate lungo il perimetro del penitenziario di Tora, a soli venti miglia a sud dal Cairo, per capire che la definizione coniata dagli attivisti per i diritti umani rispecchia pienamente l’essenza della famigerata struttura carceraria. Questa immensa prigione divisa in quattro blocchi, tra cui la sezione di massima sicurezza conosciuta come “lo scorpione”, rappresenta per uomini e donne, che potrebbero non affrontare mai un processo, un campo di detenzione preventiva senza via di uscita. Ancor più oggi, con il rischio elevato di contrarre il Covid–19…”.

Ed ancora: “Le uniche aree ristrutturate sono quelle riservate agli uffici amministrativi, una piccola clinica medica e due edifici per il personale che includono la sala di riposo degli ufficiali, la biblioteca, la lavanderia e la cucina centrale. Le sezioni H1 e H2, che si trovano a destra dell’accesso principale, circondate da un muro con due porte realizzate con griglie e lamiere di ferro per bloccare la visione dal cortile esterno, e le sezioni H3 e H4, a sinistra, anch’esse circondate da pareti interne e due ingressi blindati, sono pressoché invivibili. Soprattutto d’estate quando le temperature raggiungono i 50 gradi e dalle acque del Nilo, poco distante, salgono nugoli di zanzare. Ogni sezione è composta da quattro aree di 20 celle di circa tre metri per tre metri e mezzo, dove vengono stipati fino a 15/20 detenuti. Ogni locale ha un piccolo bagno, un lavabo e piani di cemento per dormire. 

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Un incubo. Ma è il blocco 4, quello di massima sicurezza, il luogo dove le condizioni di vita diventano insostenibili e si consuma il dramma, l’orrore, delle torture più atroci: cibo infestato da insetti e distribuito in contenitori sporchi, umiliazioni e sevizie continue. «I pochi prigionieri sopravvissuti ci hanno raccontato di metodi cruenti sistematici nel carcere di Tora, in particolare nella sezione ‘Scorpion’ – racconta Ahmed Alidaji, ricercatore di Amnesty International al Cairo fino al 2017 – Io stesso ho raccolto la denuncia di un giovane che insieme ad altri 19 compagni di prigionia è stato denudato e frustato con bastoni sulla schiena, sui piedi e sui glutei dopo che i soldati avevano trovato nella cella una radio tascabile e un orologio. Stessa sorte per un gruppo di 80 occupanti di un intero blocco quando uno di loro è stato scoperto in possesso di una penna. A chi si ribella viene riservato un trattamento anche peggiore. Gli agenti penitenziari, dopo avergli affibbiato nomi femminili, li violentano a turno come “punizione” per aver violato le regole della prigione’ conclude l’attivista.

Non sorprende che ai prigionieri della ‘Scorpion’ venga negato il permesso di vedere i familiari, anche se le autorità carcerarie affermano che sia una misura necessaria per impedire ai leader di gruppi terroristici di inviare istruzioni per attacchi contro turisti, stranieri e forze di sicurezza. Ma la gran parte dei detenuti accusati di terrorismo non ha mai commesso reati o azioni che giustifichino la grave incriminazione. Come Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna imprigionato nel carcere di Tora da otto mesi e ancora in attesa di giudizio”.

Più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agenc.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).   Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato. Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi. 

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Presidente Draghi, faccia sua la proposta che viene da Palazzo Madama. Sarebbe degna di un governo di “alto profilo”. Morale, umano, prim’ancora che politico. 

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