Così Letta punta ad arrivare al 2023 come federatore del centro-sinistra e del Pd

Un percorso che dovrà vedere le elezioni del 3-4 ottobre, i ballottaggi e soprattutto la corsa al Quirinale

Enrico Letta
Enrico Letta
Preroll AMP

globalist Modifica articolo

27 Settembre 2021 - 19.06


ATF AMP
Il Pd di Enrico Letta si trova gergalmente tra l’incudine e il martello. Da un lato prospetta un’alleanza solida con i 5 Stelle, movimento sempre in subbuglio e instabile all’inverosimile. 
Dall’altro è cosciente che, se vuole contare nella partita del Quirinale, deve iniziare a dare le carte per evitare di rimanere con il cerino in mano e consegnare la vittoria a Renzi che già scalda i motori per un accordo con la destra.
In tutto questo, per questioni di equilibri, di alleanze e pure di calendario, torna a serpeggiare la parola congresso.
Enrico Letta intende arrivare al 2023 con il Pd nelle vesti di perno del governo Draghi e di federatore di un centrosinistra che dialoghi con il M5s, in vista di una contesa alle urne con lo schieramento di Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Alla luce di un voto amministrativo che, nelle previsioni, dovrebbe rinsaldare il ruolo di segretario al Nazareno, il dibattito interno al partito potrà aprirsi sulle alleanze, visto che l’avvicinamento alla squadra guidata da Giuseppe Conte non convince tutti i dem. L’ex capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, battitore libero della corrente di ex renziani Base Riformista, ha già evocato la parola congresso e potrebbe tornare ad auspicare che venga anticipato alla primavera o all’autunno 2022. Per il Nazareno, parlare adesso dell’assise è lunare, ma alcune fonti parlamentari Pd non escludono che possa essere lo stesso Letta, dopo la partita del Quirinale, a chiamare il congresso, affinché si svolga prima dell’estate 2022. Sulla scelta della data pesa anche il calendario: la scadenza naturale sarebbe marzo 2023, che però è anche tempo di elezioni politiche e soprattutto di liste.
Anche il dibattito sul ruolo di Draghi nel 2023 si sta facendo largo nel Pd – ma in generale nella politica italiana – alla luce della possibilità che il suo nome possa restare in campo, specie se il voto non dovesse dare chiare indicazioni sui rapporti di forza fra gli schieramenti.
Dal Pd c’è “una spinta al governo ad andare avanti fino a scadenza naturale”, ha ribadito Letta dopo l’endorsement a Draghi del presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Ma fra i dem c’è chi ha cominciato coi distinguo tra chi chiede di non sovrapporre l’agenda del governo Draghi a quella del Pd e che vorrebbe “draghizzare” il Pd. Un dibattito che al Nazareno è considerato “surreale”.
Il primo test dopo il 3 e 4 ottobre resta il Colle. Ed è proprio a quello che pare orientato lo sguardo di Matteo Renzi, che in questa tornata sembra aver preferito il basso profilo. Le amministrative potrebbero aprire una riflessione anche in Italia Viva, specie sulla possibilità di trovare ‘compagni’ di viaggio nelle forze estranee ai due schieramenti di centrodestra e centrosinistra, come +Europa e Azione: a Roma, i renziani già appoggiano Carlo Calenda nella corsa al Campidoglio.
Le amministrative, però, potrebbero cambiare gli equilibri esterni e interni ai partiti. In caso di frenata dei Cinque Stelle, in Iv c’è chi auspica un raffreddamento dell’attenzione del Pd verso il Movimento, con il conseguente allargamento degli spazi per il dialogo con le aree renziane e limitrofe.
FloorAD AMP
Exit mobile version