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Salvini ignora l’appello di Giorgetti a rompere con i sovranisti europei. Il capo della Lega non solo non lo ascolta, ma rilancia e li vede per una unione d’intenti.
Uno schiaffo del “Capitano” alla vigilia di un Consiglio Federale, convocato ieri in gran fretta, che si annuncia ad altissima tensione, dopo gli attacchi del ministro dello Sviluppo che hanno scatenato l’ira di molti. Una rabbia montante che viene da diverse anime del partito contro chi, a più riprese, prima e dopo la scoppola elettorale alle amministrative, viene accusato di aver bombardato e indebolito la leadership di Via Bellerio. Anche l’idea di Giorgetti del “semi-presidenzialismo de facto” con Draghi al Colle viene valutata da molti come “una sgrammaticatura costituzionale”, racconta Marcello Campo dell’Ansa.
Ipotesi del resto bocciata anche dal presidente della Camera Roberto Fico, per il quale “l’Italia deve restare una Repubblica parlamentare”. Anche Giorgia Meloni si schiera contro: “L’idea di un presidenzialismo di fatto imposto dall’alto a me non convince. In primo luogo si deve fare una legge costituzionale e poi il presidente va eletto e va eletto dai cittadini”, sottolinea la leader FdI. Insomma, nella Lega si respira un clima pessimo, da resa dei conti. E domani paradossalmente toccherà proprio a Salvini cercare di calmare gli animi, fare il pompiere pur di rimettere in carreggiata il partito. Dopo la fortissima irritazione di ieri, il suo sforzo sarà quello di cercare di uscire da questo impasse che, è il giudizio di molti, non porta a nulla di buono.
E il modo per concludere quella riunione con voglia di ripartire è convocare entro la fine dell’anno una conferenza programmatica a Roma per riconnettersi con il Paese e i suoi problemi. Una kermesse che sarà anche l’occasione per una ‘conta’ interna, per capire chi ci sta e chi no a perseguire un programma su cui Salvini non intende mollare di un centimetro: lotta contro la Fornero e gli sbarchi di migranti, modifica radicale del reddito di cittadinanza e flat tax. Anche la questione Draghi, l’accusa che i continui distinguo del “Capitano” possano “regalare” il premier al centrosinistra, non preoccupa minimamente il vertice leghista. Su questo fronte la linea è chiara: la Lega fa parte di questo esecutivo di larghe intese per dare un contributo in una fase eccezionale del Paese. Ma dopo, finita l’emergenza, tornerà la politica e le divisioni tra destra e sinistra. Tuttavia alla riunione sarà inevitabile un chiarimento: verrà ricordato a tutti, Giorgetti in testa, che va bene il dialogo ma la Lega è una e ha un solo segretario che è chiamato a fare la sintesi. E tocca a lui riprendere le redini del partito e segnare una linea, oltre la quale non si potrà andare. Il mantra è sempre lo stesso, quello già recitato dopo il voto amministrativo: basta parlare di noi, parliamo piuttosto al Paese, proponiamo soluzioni ai problemi della gente comune. Poi se ci sono dubbi sulla linea politica vanno espressi nelle sedi proprie, non sui giornali o nelle anticipazioni dei libri di Vespa. Ma anche Salvini conosce il vecchio adagio di Pietro Nenni….se la politica non si fa con i sentimenti, figuriamoci con i risentimenti!. Per cui sarà attento a non esacerbare gli animi, a non spezzare la corda. Si fa infatti notare che la notizia della videochiamata tra Salvini, Orban e il premier polacco non è stata diffusa dallo staff del segretario ma è emersa da fonti europee, proprio per non allargare ancora di più il solco che oggettivamente esiste. Inoltre, in queste ore c’è chi sta ricordando che non è ripetibile la politica della Lega bossiana, quella in cui chi non era d’accordo veniva accompagnato alla porta. Un partito nazionale che si candida a guidare il Paese con un ampio consenso, al di là delle incomprensioni e delle punzecchiature, inevitabilmente deve saper gestire un pluralismo interno. E avere una minoranza interna sarebbe una novità storica per un partito che, seppur nato nel 1991, è il più ‘antico’ tra i presenti in Parlamento.
Argomenti: matteo salvini