Lo abbiamo visto al Papeete in braghe di tela e dorso nudo, dove dà il benservito a Conte e ai finanziamenti per la Lega rinnegati. Ma anche nelle fasi successive, costretto dall’indirizzo di Mattarella e dalle capacità di Draghi, non ha però mai rinunciato a fare il primo della classe su tutte le questioni: dalle pensioni alla scuola a distanza, dalla mobilità alla spesa pubblica, su tutto quanto insomma riteneva opportunisticamente potesse distinguerlo e farlo apparire come il più avanzato e il più populista.
A prescindere dalla consistenza delle partite disponibili, delle concrete possibilità. Incurante di tutto e di tutti, cavaliere intrepido e senza paura salvo correggersi in qualche modo il giorno dopo, sempre alla ricerca di una telecamera, di un giornalista o di una ospitata in un talk show. Eppure la gente è stanca di tutto questo, già appesantito dalla inconcludenza di un dibattito e della difficoltà di avviare seriamente a soluzione il problema del Quirinale. Non solo c’è la inadeguatezza dei partiti e della politica, c’è la loro inconcludenza e incapacità a mostrarsi in grado di risultare all’altezza.
Lo dimostra il distacco dei cittadini dalla politica e dalla partecipazione al voto sempre più clamorosa e drammatica. Ora c’è da eleggere il successore di Mattarella, apprezzato dall’intero paese ma tutto appare impantanato in giochi e manovre della classe politica, di aspiranti più o meno adeguati. Però bisogna convergere, creare disponibilità e convinzione reciproca, non continuare a considerare il presidente della Repubblica stendardo da sventolare per i propri elettori e il proprio partito. Altrimenti le cose andranno comunque per le lunghe, il risultato rischierà di essere riconoscibile tra vincitori e vinti, e dopo l’elezione tutto sarà ancora più difficile di prima.
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