Matteo Salvini il "securista": uno spot elettorale sulla pelle dei migranti

Matteo Salvini continua a usare il tema migranti come strumento per "aggredire" la campagna elettorale. Ma a che prezzo? E soprattutto, sulla pelle di chi?

Matteo Salvini il "securista": uno spot elettorale sulla pelle dei migranti
Matteo Salvini
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

1 Settembre 2022 - 14.38


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E’ tornato sul luogo del “delitto”. Per riproporre la (fallimentare oltreché disumana) linea securista che si è intestato. Matteo Salvini a Lampedusa. Uno spot elettorale sulla pelle dei più indifesi tra gli indifesi: i migranti.

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Spot elettorale sulla pelle dei migranti

Dall’Ansa di ieri: “Questa è una visita a sorpresa per fare vedere la realtà di un Paese che non controlla le proprie frontiere e dove entra chiunque. Dal 26 settembre torneremo ad essere un paese accogliente e ospitale con chi lo merita ma che rispetta e fa rispettare le regole. E’ un problema di sicurezza”. Lo ha detto Matteo Salvini spiegando il suo “blitz” all’hotspot di Lampedusa parlando di “vergognoso traffico di esseri umani”. Il vicesindaco leghista, Attilio Lucia, che lo ha accompagnato ha parlato di “falsa accoglienza”.  “Siamo arrivati senza avvisare nessuno a Lampedusa – ha spiegato Salvini durante una diretta Facebook – perché la scorsa volta quando siamo venuti avevano ripulito e svuotato. Questa è la situazione, uno scempio. Questa non è accoglienza, è caos, traffico di esseri umani, sfruttamento. Questo è un business da miliardi di euro”. “Questo centro – ha osservato il leader della Lega – potrebbe ospitare 350 persone, sono più di 1.300, quattro volte tanto, ammassati ovunque. Ecco controllare gli sbarchi, i confini, significa salvare vite e proteggere gli italiani. Non vedo l’ora di tornare a farlo dal 25 settembre”. C’è da tremare nel pensare che quel “non vedo l’ora” da incubo si trasformi in realtà.

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Lampedusa, una perenne “emergenza”

Ne scrive, in un ampio e documentato report di Eleonora Camillisu Redattoresociale.it: “[…]E poi c’è la questione dell’isola di Lampedusa, ormai da anni in perenne “emergenza” durante la stagione estiva. Qui arrivano per la maggior parte persone con sbarchi autonomi, cioè non intercettati in mare dalle navi della marina militare italiana o delle ong. Secondo i dati dell’Osservatorio Lampedusa di Mediterranean Hope, il progetto della Federazione delle Chiese evangeliche, sul totale di 41mila arrivi circa la metà (ventimila) è stato registrato a Lampedusa. Di questi novemila sono avvenuti nel solo mese di luglio anche per le condizioni meteomarine particolarmente favorevoli. 

“Il mare è buono e le persone si mettono in mare. E continueranno a farlo: è una situazione che vediamo ripetersi ogni anno. Ma parliamo di numeri piccoli anche se comparati agli arrivi di questi mesi dei profughi dall’Ucraina – spiega Giovanni D’Ambrosio, operatore di MediterraneanHope che lavora sull’isola siciliana -. In queste settimane abbiamo visto arrivare anche molte famiglie con minori o minori non accompagnati. In particolare dalla Tunisia arrivano persone stremate dalla crisi in corso del paese, non vedono più alcuna prospettiva di futuro e lì. Dall’Egitto invece vediamo arrivare persone che fuggono da un governo autoritario. Molti ci hanno detto di aver provato a ottenere un visto, non ci sono riusciti e l’unica alternativa è stata quella di prendere il mare e mettersi in pericolo”. 

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Per Mediterranean Hope, Lampedusa non può diventare il punto in cui vengono fatti convergere i flussi migratori del Mediterraneo centrale, “non ha i servizi idonei per far fronte alle vulnerabilità e alle esigenze dei migranti che arrivano” spiega ancora D’Ambrosio. L’hotspot, infatti, reso inagibile da un incendio negli anni scorsi, ha una capienza massima che si aggira intorno ai 300 posti, ma nelle scorse settimane le presenze hanno sfiorato anche le mille unità. Con il sovraffollamento le condizioni di accoglienza erano al limite: con famiglie e bambini costretti a dormire fuori, carenza di servizi igienici e scarsità di cibo. Per questo le organizzazioni chiedono che venga organizzato un sistema di trasferimenti rapidi dall’isola alla terraferma. “L’emergenza è in Libia, in Tunisia, nel Mediterraneo centrale. Noi operiamo qui dal 2014 e continuiamo a ribadire che le soluzioni si possono trovare: corridoi umanitari, accesso a vie sicure e legali e sostegno a chi salva la vita in mare. A Lampedusa bisogna attivare trasferimenti veloci, con le navi o attraverso ponti aerei”. Così Camilli.

Quelle richieste inascoltate

Dall’agenzia Dire (wwwdire.it) del 10 giugno 2022: “Avviare con urgenza un’attività di ricerca e soccorso (Sar) gestita a livello europeo nel Mediterraneo centrale per prevenire ulteriori morti. È la richiesta che arriva in una nota congiunta da SosMediterranee, Medici Senza Frontiere (Msf) e Sea-Watch, ongche hanno navi di ricerca e soccorso in mare. Le organizzazioni riferiscono che in cinque giorni la Geo Barents di Msf e la Ocean Viking di Sos Mediterranee in partnership con la Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, hanno salvato sedici imbarcazioni in difficoltà, mentre la settimana precedente la Sea-Watch 3 aveva soccorso cinque imbarcazioni per un totale di 444 persone. Mentre la Sea-Watch 3 il 30 luglio ha completato le operazioni di sbarco di 438 persone presso il porto di Taranto e la Ocean Viking il primo agosto ha fatto sbarcare a Salerno 387 donne, bambini e uomini soccorsi tra il 24 e il 25 luglio, la Geo Barents è ancora in attesa di una soluzione per i sopravvissuti soccorsi sette giorni fa.

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In particolare, le ong domandano quindi agli Stati dell’Ue di mettere a disposizione una flotta adeguata di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale gestita a livello istituzionale, e che forniscano una risposta tempestiva e adeguata a tutte le richieste di soccorso, unitamente a una pianificazione degli sbarchi dei sopravvissuti. Le organizzazioni pongono l’accento sul fatto che senza la presenza di navi civili di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, i bambini, le donne e gli uomini soccorsi durante queste operazioni di salvataggio sarebbero stati abbandonati al loro destino nelle acque internazionali al largo della Libia, sulla rotta migratoria marittima più letale al mondo dal 2014.

L’operato della Libia

Sos Mediterranee, Medici Senza Frontiere (Msf) e Sea-Watch continuano riferendo che il mancato impegno a livello europeo di un’attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, oltre ai ritardi nell’assegnazione di un luogo sicuro di sbarco, hanno minato l’integrità e la capacità del sistema di ricerca e soccorso e quindi la possibilità di salvare vite umane. Le ong sostengono che, pur avendo sempre cercato di coordinare le operazioni, come previsto dal diritto marittimo, le autorità navali libiche non hanno quasi mai risposto, trascurando il loro obbligo legale di coordinare l’assistenza. Inoltre, quando intervengono e intercettano le imbarcazioni in difficoltà, le autorità libiche rimpatriano sistematicamente e forzatamente i sopravvissuti in Libia, un paese che secondo le Nazioni Unite non può essere considerato un luogo sicuro. Nonostante la grave mancanza di adeguate risorse per la ricerca e il soccorso in questo tratto di mare, le ong evidenziano che le persone continuano a fuggire dalla Libia via mare, rischiando la vita per cercare salvezza. Nella stagione estiva, quando le condizioni meteorologiche sono più favorevoli per tentare un viaggio così pericoloso, le partenze dalla Libia sono più frequenti ed è quindi necessaria una flotta di ricerca e soccorso adeguata.

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Le motivazioni delle ong

Juan Matias Gil, capomissione Sar di Msf riporta che “Dall’inizio dell’estate, il team di ricerca e soccorso di Msf ha effettuato tre missioni in mare. Purtroppo, il primo salvataggio ha avuto esiti drammatici, con circa 30 dispersi e la morte di una donna. Le altre due operazioni sono state particolarmente intense: durante la prima abbiamo effettuato sei soccorsi in 12 ore, mentre nella seconda undici soccorsi in 72 ore, salvando un totale di 974 vite. Attualmente, dato lo stato di necessità, sono 659 le persone a bordo della Geo Barents, un numero superiore alla capacità della nave. Abbiamo continuato a ricevere richieste che erano rimaste senza risposta o ad avvistare barche in pericolo dal nostro ponte ed è nostro dovere legale e morale non lasciar annegare le persone”.

Xavier Lauth, direttore delle operazioni di Sos Mediterranee sottolinea che “Tenere le persone soccorse bloccate in mare per giorni in attesa di sbarcare in un luogo sicuro è un’ulteriore violenza imposta a chi è già estremamente vulnerabile. I sopravvissuti salvati dalla Ocean Viking negli ultimi sei anni hanno raccontato ai nostri team storie strazianti di violenze e abusi. L’ultima e unica speranza che hanno è quella di riuscire a fuggire dalla Libia, che spesso definiscono un inferno sulla terra, attraversando il mare a prescindere dai rischi che corrono. La rimozione di operazioni di ricerca e soccorso europei adeguati e competenti nelle acque internazionali al largo della Libia si è rivelata letale e inefficace nel prevenire pericolosi attraversamenti”.

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Mattea Weihe, portavoce di Sea-Watch, denuncia che “Oltre a essere venute meno al loro dovere di soccorrere le persone in mare, le autorità europee ritardano spesso gli sbarchi. La lunga attesa non fa che stancare ulteriormente le persone soccorse: sono sopravvissute al Mediterraneo, ma invece di trovare sicurezza aspettano giorni di fronte alle porte chiuse dell’Europa prima che i loro diritti vengano rispettati”.

L’allarme dell’Unhcr

Sebbene il numero di rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo per raggiungere l’Europa sia diminuito rispetto al 2015, le traversate stanno diventando sempre più fatali. Questi i dati di un report (giugno 2022) dell’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati.

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“Dopo il picco del 2015, quando più di un milione di rifugiati e migranti hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Europa, il numero delle persone che affrontano questo tipo di traversate ha registrato una tendenza al ribasso, anche precedentemente alla pandemia di Covid-19. Nel 2021 sono stati segnalati 123.300 attraversamenti individuali, a cui precedevano 95.800 nel 2020, 123.700 nel 2019 e 141.500 nel 2018.

Nonostante la diminuzione del numero di attraversamenti, il bilancio delle vittime ha visto un forte aumento. L’anno scorso sono stati registrati circa 3.231 morti o dispersi in mare nel Mediterraneo e nell’Atlantico nord-occidentale. Nel 2020 il numero registrato corrispondeva a 1.881, 1.510 nel 2019 e oltre 2.277 nel 2018. Il numero potrebbe essere ancora più elevato con morti e dispersi lungo le rotte terrestri attraverso il deserto del Sahara e zone di confine remote.

L’Unhcr ha costantemente richiamato l’attenzione sulle terribili esperienze e sui pericoli affrontati dai rifugiati e dai migranti che intraprendono queste rotte. Molti di loro sono individui in fuga da conflitti, violenze e persecuzioni. La rappresentazione grafica dei dati si concentra in particolare sulla rotta che va dall’Est e dal Corno d’Africa al Mediterraneo centrale.

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Oltre al crescente numero di morti in mare, l’Unhcr manifesta preoccupazione per le morti e gli abusi diffusi lungo le rotte terrestri, più comunemente all’interno e attraverso i Paesi di origine e di transito, tra cui Eritrea, Somalia, Gibuti, Etiopia, Sudan e Libia, dove viene segnalata la preoccupante maggioranza dei rischi e degli incidenti.

Durante il loro percorso, i rifugiati e i migranti hanno poche opzioni se non quella di affidarsi ai trafficanti per attraversare il deserto del Sahara, esponendosi a un rischio molto alto di abusi. Dalla Libia e dalla Tunisia, sono molti i tentativi di attraversare il mare, il più delle volte verso l’Italia o Malta.

In molti casi, coloro che sopravvivono al passaggio attraverso il Sahara e tentano la traversata in mare vengono abbandonati dai trafficanti, mentre alcuni di coloro che partono dalla Libia vengono intercettati e riportati nel Paese di partenza, dove vengono successivamente detenuti. Ogni anno, migliaia di persone muoiono o scompaiono in mare senza lasciare traccia.

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Invitando a intensificare le azioni per prevenire le morti e proteggere i rifugiati e i richiedenti asilo che intraprendono queste rotte, all’inizio di aprile l’Unhcr ha pubblicato una strategia aggiornata concernente la protezione e le soluzioni, insieme a un appello per i finanziamenti.

L’appello chiede di aumentare l’assistenza umanitaria, il sostegno e le soluzioni per le persone che necessitano di protezione internazionale e per i sopravvissuti a gravi abusi dei diritti umani. Coinvolge circa 25 Paesi in tre regioni diverse, collegate dalle stesse rotte terrestri e marittime utilizzate da migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Allo stesso tempo, l’Unhcresorta gli Stati a garantire alternative sicure alle traversate pericolose e a impegnarsi a rafforzare l’azione umanitaria, di sviluppo e di pace per affrontare le sfide della protezione e delle soluzioni.

L’Unhcr, insieme ad altre agenzie Onu, ha sollecitato gli Stati  ad adottare misure che garantiscano che i rifugiati e i migranti soccorsi in mare vengano fatti sbarcare in luoghi dove la loro vita e i loro diritti umani siano salvaguardati”. Diritti salvaguardati. Vite salvate. Per Salvini è ostrogoto.

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