La tradizione ancora una volta è stata puntualmente rispettata, l’analisi della sconfitta è durata pochi giorni, il tempo di qualche sofferta riflessione, di qualche pezzo di colore sui giornaloni. Poi al Nazareno hanno ripreso l’unica attività in cui eccellono: darsele di santa ragione.
Il tema, naturalmente, riguarda l’organigramma interno e gli uffici di presidenza di Camera e Senato, oltre alle commissioni di garanzia.
Enrico Letta ha sfoderato gli occhi da tigre per fare ‘piazza pulita’, affidando le operazioni sul campo al sardo Marco Meloni, che aveva già depurato le liste da quelli che il segretario del Pd considerava i suoi ‘nemici’ da eliminare in ogni modo, tramite epurazioni preventive o candidature impossibili. In queste ore Meloni sta facendo saltare tutti i possibili compromessi, per portare al traguardo, Anna Ascani e Valeria Valente come presidenti dei Gruppi, ed Anna Rossomando e Nicola Zingaretti come vice presidenti delle aule parlamentari. Tradotto con il linguaggio delle correnti: due donne dichiaratamente lettiane e due vicepresidenti comunque nell’orbita di Andrea Orlando.
Ancora una volta è il Senato, la Camera più difficile da conquistare, perché tra i 39 senatori eletti non c’è una maggioranza definita. Una instabilità che tiene ancora in partita, la grigia capogruppo uscente Simona Malpezzi, che nonostante i servigi offerti a Letta, sarebbe volentieri sacrificata da Meloni per fare posto alla napoletana Valente. Più agevole il percorso a Montecitorio per la umbra Ascani.
La partita interna ai gruppi comincerà ad essere giocata da domani, vedremo chi raggiungerà la maggioranza dei due terzi. Nelle ultime ore, è circolato un piano B altrettanto dirompente: congelamento delle due capogruppo uscente, per favorire l’elezione di Marco Meloni come vicepresidente del Senato e di Andrea Martella come questore.
Se, come è probabile, il Pd uscirà in mille pezzi da questa conta, si riaprirà del tutto anche l’esito degli uffici di presidenza delle Camere e delle commissioni parlamentari di garanzia.
Soprattutto per quanto riguarda Copasir e Vigilanza, l’accordo di ferro tra Pd e 5 Stelle potrebbe soccombere, ed offrire un qualche riscatto al Terzo Polo, che il diktat di Conte e Letta, vorrebbe tenere a digiuno di incarichi.
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