«Il governo Meloni non ci ha ascoltato. La bozza di legge di Bilancio colpevolizza e colpisce i più poveri, accresce anziché contrastare la precarietà, non riduce il divario di genere, premia gli evasori e, con la flat tax, aumenta l’iniquità del sistema fiscale, non interviene strutturalmente sulla pandemia salariale che sta impoverendo tutte le persone che per vivere devono poter lavorare dignitosamente, riduce di fatto le risorse necessarie per sostenere la sanità, la scuola ed il trasporto pubblico, non stanzia adeguate risorse per i rinnovi contrattuali dei pubblici dipendenti, mortificando il ruolo del lavoro pubblico, non modifica la legge Fornero e cambia senza alcun confronto preventivo il meccanismo di indicizzazione delle pensioni in essere». La Cgil con un lungo comunicato protesta apertamente contro la bozza della manovra pubblicata dal governo ed è pronta a chiamare in piazza anche gli altri sindacati,
«Il nostro Paese e l’Europa vivono uno dei momenti più difficili della loro storia. Proprio per questo nell’incontro avuto nei giorni scorsi con il governo abbiamo proposto che si avviassero anche con questa legge finanziaria riforme vere costruite con il mondo del lavoro ispirate dai criteri della solidarietà, della giustizia sociale, fondate sulla qualità e la stabilità del lavoro, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e su nuove politiche industriali capaci di prospettare un nuovo futuro per il Paese», si legge in una nota. «Le misure contenute nell’attuale bozza della legge di Bilancio (in particolare quelle che non si limiteranno a prorogare i provvedimenti in vigore del governo Draghi) e la strategia e la visione che le ispira vanno in una direzione diversa dei bisogni reali delle persone e delineano un arretramento del nostro Paese. è il momento di unire e non di dividere le persone ed i territori, come il governo vuol fare con l’autonomia differenziata».
«E’ il momento della responsabilità e della fraternità, non dell’incitamento a far da sé e ad arrangiarsi. Riservandoci una lettura più attenta ed approfondita del testo definitivo che sarà varato, al momento rileviamo che: l’emergenza salariale non è affrontata. Si proroga la decontribuzione fino a 35.000 euro già conquistata con il precedente governo. Noi avevamo chiesto di portarla dal 2 per cento al 5 per cento (perché c’è almeno una mensilità da recuperare) e di introdurre un meccanismo automatico di indicizzazione delle detrazioni all’inflazione (così detto recupero del drenaggio fiscale), di detassare gli aumenti previsti con i contratti nazionali e di assegnare loro, attraverso la via legislativa, un valore generale sancendo così un salario minimo e diritti normativi per tutte le forme di lavoro».
«In un Paese in cui le persone in povertà assoluta sono cresciute oltre i 5 milioni, il Governo non trova di meglio, per far cassa, che annunciare il superamento del Reddito di Cittadinanza dal 2024, con una serie di inaccettabili penalizzazioni già nel 2023; Le misure fiscali sono inique: la tassa piatta al 15 per cento per i redditi da lavoro autonomo, fino a 85 mila euro, indica chiaramente la volontà di smantellare la struttura progressiva del nostro sistema fiscale e al tempo stesso rafforza l’iniquità di una misura che vede i lavoratori dipendenti e pensionati tassati il doppio di coloro che hanno redditi tre volte superiori. Inoltre invece di dichiarare guerra all’evasione fiscale, assistiamo a «tregue» che hanno l’unico scopo di favorire chi le tasse non le ha pagate: uno schiaffo in faccia ai milioni di contribuenti onesti di questo Paese. Si limitano a tassare solo al 35 per cento gli extraprofitti (vuol dire che il 65 per cento non viene redistribuito) e in Italia i salari e le pensioni continuano ad essere tassati di più delle rendite finanziarie».
«La piaga della precarietà che riguarda in particolare i giovani, le donne ed il Mezzogiorno viene addirittura rafforzata, in settori particolarmente fragili, attraverso la reintroduzione dei voucher, che rappresentano una vera e propria mercificazione del lavoro senza diritti e senza tutele, oltre a riproporre un modello che deprime l’economia; Non ci sono gli investimenti necessari per rafforzare la coesione sociale e contrastare le disuguaglianze a partire dal sistema pubblico e dall’occupazione pubblica. In particolare mancano risorse per il diritto all’istruzione, per la sanità che ha affrontato e sta affrontando gli effetti drammatici della pandemia e sul versante del contrasto alla povertà assoluta, si cancellano strumenti essenziali come il reddito di cittadinanza, in cambio di voucher e social card; Sulle pensioni ci si inventa un’ulteriore quota (stavolta siamo arrivati a quota 103) si peggiora l’«opzione donna» non si allarga l’Ape sociale e non si modifica in nulla la Legge Fornero».
«Noi abbiamo proposto al Governo e continuiamo a ritenere necessario: l’uscita flessibile a partire dai 62 anni il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori la pensione di garanzia per i giovani e per chi ha carriere discontinue e «povere» il riconoscimento del lavoro di cura il riconoscimento della differenza di genere l’uscita con 41 anni di contributi senza limiti di età. Inoltre, senza alcun confronto preventivo con le Organizzazioni Sindacali, si interviene sul meccanismo di indicizzazione delle pensioni in essere tagliando così la loro rivalutazione rispetto all’inflazione per destinare 3,5mld così recuperati in favore del lavoro autonomo e per finanziare interventi che aumentano le disuguaglianze; Sono assenti temi sui quali la legge di bilancio dovrebbe confrontarsi: ad esempio le politiche industriali ed energetiche di un Paese che rappresenta la seconda manifattura europea e che deve affrontare la trasformazione digitale e la riconversione verde. Nei prossimi giorni chiederemo un confronto con tutte le forze politiche e richiederemo al governo e al Parlamento modifiche sostanziali. Valuteremo e proporremo a Cisl e Uil, tutte le iniziative di mobilitazione necessarie.
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