Il congresso del Pd dovrà segnare una vera e propria rivoluzione di concetto e di contenuti, partendo dal manifesto del partito fino ad arrivare a incidere sulla realtà. Di questo ha parlato il deputato dem Andrea Orlando, in un lungo intervento pubblicato sui propri profili social.
«Dopo 30 anni di egemonia neoliberale (e neoliberista, aggiungiamo noi, ndr) le società aperte stanno affrontando la più grande sfida dal 1945. Dopo la disastrosa crisi finanziaria del 2008 l’Europa ha risposto con un decennio di politiche di austerità e rigore di bilancio con forti tagli alla spesa sociale e all’investimento pubblico in welfare, educazione e sanità, mentre decine di miliardi di euro sono stati reinvestiti nel settore della finanza per evitare il tracollo del sistema che avrebbe travolto imprese e risparmiatori».
«Come risposta al malcontento della popolazione creato da questo tipo di politiche, che ha aumentato in maniera esponenziale le diseguaglianze sociali, negli anni successivi è partita un’ondata di contestazione che ha prodotto dei veri e propri terremoti politici che hanno portato, tra l’altro, forze antisistema a guidare due paesi chiave dell’ordine post guerra fredda: Stati Uniti e Inghilterra, con l’ascesa al potere di Trump e la Brexit».
«Dopo questa fase di forte rottura nel cuore del modello anglosassone, il mondo è piombato in una crisi pandemica e della sanità pubblica che ha messo in ginocchio la resilienza di un già provato sistema globalizzato. Ci si è ritrovati improvvisamente incapaci di produrre beni di prima necessità come farmaci salva vita e mascherine anti Covid. Il sistema produttivo si è paralizzato di fronte alla crisi delle catene di approvvigionamento, diventata sempre più grave a causa della guerra commerciale fra Cina e Stati Uniti. Questa volta in Europa la risposta ha contraddetto tutti i mantra neoliberisti».
«Si è proceduto alla creazione di debito comune per finanziare una politica industriale comune (il Next Generation EU) e interventi massicci nell’economia per proteggere le aziende strategiche nazionali accompagnati da leggi antitrust più permissive, partecipazioni azionarie del governo e blocchi di alcune acquisizioni o takeover esteri in settori strategici ritenuti ostili all’interesse pubblico o alla sicurezza nazionale. A relativamente poco tempo da quello shock possiamo dire che non c’è stato un ritorno allo status quo ante neoliberale e a una globalizzazione sregolata».
«Piuttosto oggi le imprese e i governi tutti stanno attivamente ripensando le loro politiche di investimento e le strategie industriali alla luce del nuovo ordine geopolitico, della crisi energetica, dell’accelerazione tecnologica e dell’imperativo climatico». A fronte di tutto questo, per l’ex ministro del Lavoro, «ci sono domande che ci dobbiamo fare partendo da questa fotografia: quali saranno le conseguenze sociali di questo nuovo assetto? A favore di chi potrà operare il processo di deglobalizzazione? E come può combinarsi con le transizioni in atto? Proverò a rispondere in un prossimo post».