Migranti e la piccola Rokia: come Piantedosi al Viminale fa più danni di Salvini

Matteo Piantedosi, quello che ha un chiodo fisso nella testa, una mission da portare a termine: come neutralizzare le Ong nel Mediterraneo. L’uomo di legge che sfida la legge

Migranti e la piccola Rokia: come Piantedosi al Viminale fa più danni di Salvini
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19 Dicembre 2022 - 15.14


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Si può fare più danni del Matteo Salvini ministro dell’Interno? Non è una domanda retorica. Perché, incredibile ma vero, la risposta è sì, si può fare. Ed è quello che sta facendo il suo degno “erede” al Viminale. Matteo Piantedosi.

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Il ministro-sceriffo

Quello che ha un chiodo fisso nella testa, una mission da portare a termine: come neutralizzare le Ong nel Mediterraneo. L’uomo di legge che sfida la legge. Che se ne sbatte riccamente del diritto della navigazione, del diritto umanitario, del diritto internazionale e di trattati e convenzioni internazionali. Lui procede per la sua strada e sta perfezionando il “regalo di Natale”.  Un regalo avvelenato. Globalist ne ha già scritto e ci ritorna con alcuni importanti contributi esterni.

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Del decreto sicurezza made in Piantedosi, ne scrive, su La Stampa, Giacomo Galeazzi.

“I soccorritori dovranno chiedere immediatamente ai soggetti a bordo, che sono stati messi in salvo, la manifestazione di interesse sull’eventuale domanda di protezione internazionale dei migranti, affinché sia il Paese di bandiera della nave a farsi carico dell’accoglimento del migrante dopo lo sbarco. E’ quanto risulta – da fonti vicine al dossier – in merito al codice di condotta per le ong, che sarà contenuto in un decreto previsto nelle prossime settimane. Inoltre, secondo un’altra norma del codice, nel caso di intervento in area Sar, i soccorritori dovranno chiedere immediatamente un porto di sbarco, verso il quale la nave sarà tenuta a dirigersi immediatamente dopo il salvataggio, senza restare giorni in mare in attesa di altri possibili soccorsi.

Ong
Il decreto flussi «non è rimandato, credo che dopo le festività saremo pronti», ha detto a Skyrg24 il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Riguardo ai migranti, «per le ong stiamo pensando alla ridefinizione di un quadro di regole, si è parlato molto di codice di condotta. Pensiamo a qualcosa che possa trovare ingresso in una normativa di settore ma è una questione molto tecnica», ha spiegato il ministro dell’Interno. «Nell’annosa questione che esiste tra cos’è la missione di salvataggio e che cosa sono le ricerche sistematiche di persone che partono sotto l’iniziativa dei trafficanti vogliamo mettere delle regole che possano creare elementi chiari di distinzione, alla cui violazione possono seguire meccanismi sanzionatori. Stiamo lavorando perché questo tipo di regolamentazione possa trovare una nuova edizione in un provvedimento normativo che ci riproponiamo di adottare quanto prima», ha detto Piantedosi. «Vogliamo riportare la questione delle oraganizzazioni non governative in campo amministrativo per avere una connotazione di minore gravità e allo stesso tempo strumenti più efficaci e diretti di applicazione delle sanzioni», ha chiarito.

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Salvataggi
«Registro – ha affermato il titolare del Viminale- che molte volte il comportamento di alcune organizzazioni non governative sembra essere improntato più che a effettuare veri e propri salvataggi a un’azione preordinata a portare solo in Italia i migranti che partono dalla Libia e da altri Paesi’». Quanto ai rapporti con Parigi, «non abbiamo mai fatto la guerra con la Francia e non abbiamo mai litigato. Io ho incontrato il mio omologo francese in ben due appuntamenti istituzionali e in entrambe le occasioni non ho registrato atteggiamenti di discordia anzi quando siamo intervenuti ai lavori dei Consigli dei ministri europei ho potuto riscontrare che abbiamo posizioni ampiamente sovrapponibili’».

Piantedosi dixit

Il ministro dell’Interno,  in una intervista al Foglio si sofferma sulla questione dell’immigrazione: “Una faccenda difficilissima da gestire. Perché il fenomeno, almeno in queste proporzioni, è relativamente recente, perché è sempre cangiante, perché richiede convergenze e intese a livello internazionale e si scontra spesso, però, con la divergenza degli interessi dei vari stati coinvolti”. Il ministro ha fatto riferimento, nei giorni passati, anche alle interferenze di servizi segreti stranieri, al loro tentativo di utilizzare le ong per destabilizzare il quadro geopolitico in Europa. Allusioni gravi. “Che se fossero davvero tali, mi avrebbero indotto a fare ben altra denunzia che non quella a mezzo stampa. La verità è che io ho solo risposto a domande che mi ponevano questo interrogativo”. E non ha negato: non del tutto, almeno. “Francamente, di fronte alla pervicacia della volontà mostrata da alcune ong di forzare le regole e le leggi dello stato, di porre sotto stress le relazioni tra paesi amici, di adottare condotte che vanno di gran lunga oltre i meri intenti umanitari, non mi sento di escludere fino in fondo che possa esserci una regia più alta che risponde a disegni più ampi. Ma in Italia si finisce presto, poi, col lasciarsi suggestionare dalle trame occulte, dai servizi deviati. Quindi meglio non alimentare queste narrazioni”. Di fatto con le Ong, però, lo scontro è aperto. “Ma non è uno scontro – rassicura il ministro – Non c’è, da parte del governo, alcun tentativo di criminalizzare queste organizzazioni. Purché, però, la loro azione non sia tesa deliberatamente a configurarsi come un’azione contro il governo. In quel caso non possiamo restare passivi”. Bisogna credere, dunque, che non ci sia davvero alcuna tentazione propagandistica, dietro l’accanimento, retorico quantomeno, verso chi salva vite in mare: “Assolutamente no. Anzi, le accuse che ci vengono rivolte sul piano umanitario sono, devo dirlo, quelle che trovo più disdicevoli. Ma a dimostrazione che non è quella della criminalizzazione, la nostra bussola, posso anticipare che nel prossimo codice di comportamento per le ong, che contiamo di definire nelle prossime settimane, abbiamo l’ambizione di procedere a rafforzare le sanzioni amministrative anziché perseguire la via penale, com’è stato fatto nel recente passato”. Multe più salate e sequestri delle imbarcazioni: “Come avviene già in molti altri ambiti del codice: una gradualità delle sanzioni che arriva, sì, fino al sequestro”. Piantedosi osserva infine che “il problema migratorio è un problema europeo, nessun paese può illudersi di affrontare con le sue sole forze. Io sono convinto che all’interno dell’Unione non si possa che perseguire quello che definirei un approccio olistico, e cioè sforzarsi di gestire questo fenomeno così complesso e sfaccettato in tutti i suoi aspetti, contemperando le istanze dei vari paesi e coordinando le azioni degli stati membri”, ha concluso il ministro dell’Interno.

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La storia di Rokia

Ancora una bambina morta in un naufragio, ancora a poche miglia da Lampedusa. Non ce l’ha fatta la piccola Rokia, soccorsa ieri  pomeriggio subito dopo il naufragio di una barca davanti all’isola di Lampedusa. La bimba viaggiava con la madre ed era stata portata al poliambulatorio e intubata in condizioni gravissime. La piccola è spirata al Poliambulatorio, dove è giunta con sindrome da annegamento. I medici sono riusciti invece a rianimare, effettuando il massaggio cardiaco, un bambino che era sullo stesso barcone e, come tutti gli altri profughi, era finito in acqua ed era in gravi condizioni.  Fra i 43 migranti, originari di Costa d’Avorio, Guinea e Camerun, soccorsi dalle motovedette Cp 319 e V1300 a 10 miglia dalla costa di Lampedusa, dopo il naufragio della loro imbarcazione, ci sono anche 9 donne e 3 minori. I superstiti del naufragio hanno riferito di essere partiti alle 22 di ieri da Sfax, in Tunisia, e di aver pagato 2.500 dinari a testa per effettuare la traversata con la barca in ferro che è affondata in tarda mattinata. Sulla vicenda la Procura ha aperto un’inchiesta, a carico di ignoti, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte quale conseguenza di altro reato. I poliziotti della Squadra Mobile, coordinati dal procuratore reggente Salvatore Vella, hanno già iniziato ad ascoltare tutti i migranti che erano su quel barcone: si proverà a ricostruire cosa sia successo e perché il natante si è ribaltato, oltre ad identificare gli eventuali scafisti. 

Un barcone alla deriva, con a bordo 161 migranti, è stato soccorso la notte scorsa al largo di Lampedusa dalla Guardia costiera. Il gruppo era composto da uomini originari di Siria, Pakistan, Etiopia, Bangladesh ed Egitto.

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Secondo quanto hanno riferito, il peschereccio è partito da Zwara, in Libia, alle 2 di venerdì scorso e hanno pagato, per la traversata, dai 500 mila ai 700 taka i bengalesi e 3000 dollari gli etiopi. Tutti sono stati portati all’hotspot di contrada Imbriacola dove al momento ci sono 254 ospiti.

“Migranti, l’umanità negata”

E’ il titolo di un articolo tra i più belli scritti in questi tempi grami. E’ di Francesca Paci, su La Stampa: “Aveva tre anni l’ultima vittima del Mediterraneo, l’hanno trovata insieme a decine di naufraghi gli uomini della Guardia di Finanza ieri, nelle ore in cui l’Argentina incassava la Coppa del Mondo e i parlamentari italiani riponevano il telefonino per archiviare la finale più sudata e tornare a discutere la legge di bilancio. Sarà una manovra meno ostile a Bruxelles di quanto il governo avrebbe voluto mostrare agli italiani, suggeriscono i primi indicatori. In compenso però, si accelererà sui migranti, quel famoso pacchetto di ulteriori restrizioni per le ong del mare che sarebbe atteso a gennaio ma potrebbe anche saltar fuori prima, quasi fosse una compensazione muscolare per le obbligate retromarce economiche.  Con le nuove norme in arrivo, che in gran parte ricalcheranno il modello del codice Minniti, le competenze della domanda di asilo dovrebbero incardinarsi nel Paese di bandiera della nave, quindi, per esempio, i naufraghi soccorsi dalla norvegese Ocean Viking sarebbero obbligati a presentare la loro richiesta a bordo e da lì indirizzarla a Oslo. Un’antica tesi che, al netto di tanto buon wishful thinking, contrasta in pieno con il diritto dell’Unione europea, la cui procedura è scritta nero su bianco nei criteri previsti dal Regolamento Dublino III e dalla Direttiva procedure, dove l’ipotesi di equiparare territorialmente un’imbarcazione al proprio Stato di provenienza semplicemente non c’è.  Perché mai riproporre allora ancora una volta una soluzione che si sa essere impraticabile? Il sospetto è che proprio nell’ora più buia della manovra meno identitaria tornino buoni i migranti, la vecchia carta da giocare per dimostrare che il governo italiano non è sempre compiacente con Bruxelles, che almeno sugli sbarchi senza redistribuzioni in Europa non cederà, che seppure non c’è alternativa all’assegnare un porto sicuro alle navi delle ong lo farà solo e soltanto alle sue precise condizioni.  Non ci faremo calpestare, insomma. O perlomeno ce la metteremo tutta. Giacché è infatti chiaro ormai che il diritto del mare non è negoziabile e che la geografia impone all’Italia di accogliere chi viene salvato in mare, resta un margine minimo in cui imporre la propria assertività. Resta l’arbitrio di assegnare un remoto porto toscano a una nave che ha chiesto aiuto al largo della Sicilia, nel maldestro tentativo di ritardare l’inevitabile momento dello sbarco che per i migranti in fuga da un nulla fagocitante è un ritorno alla vita e per l’Italia, evidentemente, una resa disonorevole. 

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Le migrazioni sono un fenomeno complesso da capire e da gestire perché tira in ballo tanto il diritto internazionale quanto i diritti umani. E ancora più complessa è la situazione dei territori liminali, a cominciare da quell’isola Lampedusa sottoposta a fortissima pressione dove ieri sera è atterrato il vicepremier Matteo Salvini. Per questa ragione  – conclude Paci – sventolare come una muleta il drappo identitario della paura nazionale serve a poco altro che a distogliere l’attenzione da altri problemi. Serve a noi. Mentre in mare gli altri muoiono”.

Testimonianze dal “fronte” umanitario

Le ha raccolte, con grande tatto,  su Repubblica, Salvo Palazzolo, inviato a Lampedusa. “Abbiamo fatto di tutto per provare a salvarla – ripete la dottoressa Rosalba Tantillo –. Ma non rispondeva a nessuno stimolo. Non ci siamo fermati, continuavamo a cercare un respiro, una piccola curva sul monitor dell’elettrocardiogramma. Abbiamo utilizzato anche un phon per provare a riscaldarla, ma non c’è stato nulla da fare”. La piccola Rokia proveniente dalla Costa d’Avorio è stata dichiarata morta alle 17,10. “Per un’ora abbiamo cercato di rianimarla. Aveva i polmoni pieni d’acqua, chissà per quanto tempo era rimasta in balia del mare aggrappata alla sua giovane mamma”.

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La dottoressa Tantillo fa una pausa e dice: “Questa ennesima morte è una sconfitta per tutti”. E mentre racconta della piccola Rokia si avvicinano uno dopo l’altro i suoi colleghi del pronto soccorso, è passata da poco la mezzanotte.

“Le accarezzavo le treccine come per farle forza”, sussurra Franco Galletto, infermiere da vent’anni in prima linea a Lampedusa: “Quanti bambini senza vita ho tenuto fra le mie braccia, quanto dolore”. La dottoressa Veronica Billeci, che proprio ieri era arrivata da Palermo per iniziare il tuo turno di 96 ore, non usa mezzi termini: “Mi sembra di essere un medico di guerra, sempre più spesso in questo periodo ci troviamo di fronte a migranti che muoiono di freddo o che hanno gravi ferite, ustioni ad esempio. E la gran parte è sotto choc per ciò che ha vissuto”. Si guardano l’un l’altro i medici e gli infermieri del poliambulatorio dell’Asp di Palermo, a dirigerlo è il dottore Francesco D’Arcà. 

“In tanti, troppi, non si rendono conto di quello che viviamo qui”, sussurra un altro medico, Francesco Zappalà: “Fra le esigenze dei residenti e dei tanti turisti nel periodo estivo è già un grande impegno. Poi, l’emergenza sbarchi non accenna a diminuire”. “Ma questa non è più un’emergenza – commenta la sua collega, Cristina Geraci – piuttosto una questione che andrebbe affrontata a livello generale, in modo organico”.

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Negli ultimi mesi, sono sempre di più i barchini in ferro carichi di migranti che arrivano dalla Tunisia, lì sono attivissimi alcuni trafficanti di uomini che fanno concorrenza ai libici. “La vita è un dono di Dio – dice l’infermiera Maria Raimondi – e noi la difendiamo ogni giorno, soprattutto dall’indifferenza attorno alle vite umane che attraversano il mare in cerca di una vita migliore”

Altro non c’è da dire o scrivere. L’umanità è morta nel Mediterraneo.  Ed è angosciante mettere a confronto la tragedia di Rokia, ultima di una lunghissima serie, con le considerazioni “securiste” che sottendono la linea anti Ong perseguita da chi ha responsabilità di governo. Lo abbiamo scritto più volte. E continueremo a farlo: quelle che si consumano nel Mediterraneo non sono tragedie ma crimini. Sono crimini i respingimenti forzati in mare. E’ criminale continuare a finanziare quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica. E’ un “patto criminale” il famigerato Memorandum d’intesa Italia-Libia. Ed è criminale impedire alle navi delle Ong di salvare vite umane nel Mediterraneo. Di questi crimini vi sono esecutori e mandanti. I loro nomi sono noti. Ma in molti, troppi, fanno finta di non saperlo. A Roma come a Bruxelles. Nei palazzi del potere come nelle redazioni dei giornali mainstream. 

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