Meloni e Piantedosi: si tagliano i fondi alla cooperazione e aumentano quelli per i 'Buchi neri'

Il governo Meloni-Piantedosi sta facendo di tutto per cacciare dal Mediterraneo le navi Ong ma questa “guerra” non ha nulla a che vedere con l’obiettivo che, ufficialmente, si vorrebbe raggiungere: contenere i flussi migratori.

Meloni e Piantedosi: si tagliano i fondi alla cooperazione e aumentano quelli per i 'Buchi neri'
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

14 Gennaio 2023 - 12.21


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Altro che Ong “pull factor”. Il governo Meloni-Piantedosi sta facendo di tutto per cacciare dal Mediterraneo le navi Ong ma questa “guerra” non ha nulla a che vedere con l’obiettivo che, ufficialmente, si vorrebbe raggiungere: contenere i flussi migratori.

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Perché il vero “pull factor” è un altro….

Frontex sbugiarda il Governo securista

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Secondo i calcoli preliminari, nel 2022 sono stati rilevati circa 330.000 attraversamenti irregolari delle frontiere esterne dell’Ue. Si tratta del numero più alto dal 2016 e di un aumento del 64% rispetto all’anno precedente. E’ quanto rende noto l’ultimo report di Frontex. Dopo il minimo indotto dalla pandemia nel 2020, questo è stato il secondo anno consecutivo con un forte aumento del numero di ingressi irregolari. La rotta dei Balcani occidentali ha rappresentato quasi la metà del totale. Siriani, afghani e tunisini hanno rappresentato insieme il 47% dei rilevamenti nel 2022.  Il numero di siriani è quasi raddoppiato, raggiungendo le 94.000 unità, si legge nel report. Il numero di rilevamenti nel Mediterraneo centrale, rispetto al 2021, è aumentato di oltre la metà, superando di gran lunga i 100.000 rilevamenti.

“Egiziani, tunisini e bangladesi sono state le prime tre nazionalità in un anno che ha visto il maggior numero di arrivi in questa regione dalla Libia dal 2017 e il maggior numero di arrivi dalla Tunisia nella storia recente”, spiega l’agenzia europea. 

Ma quale “invasione”…

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Dati che vanno letti con grande accuratezza per poter poi trarre le giuste, perché corrette, conclusioni. E’ quello che fa su Wired.it Kevin Carboni. Annota Carboni: “Nonostante gli ingressi di migranti irregolari nel 2022 siano aumentati rispetto agli anni precedenti, i dati di Frontex, l’agenzia comunitaria che sorveglia le frontiere, mostrano come qualsiasi allarme “invasione”” propinato dai politici sia totalmente infondato e venga smentito da numeri estremamente bassi. Inoltre, anche l’idea secondo cui il maggior numero di migranti diretti in Europa arrivi in Italia,  attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, viene smentita dai fatti, che indicano invece la rotta dei Balcani occidentali come quella più battuta.

I flussi sono diminuiti

Secondo i dati preliminari dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, Frontex, nel 2022 sono stati rilevati circa 330mila attraversamenti irregolari delle frontiere esterne dell’Unione europea. Si tratta del numero più alto tra il 2017 a oggi, ma inferiore ai 500mila registrati nel 2016 e drasticamente più basso rispetto al record di quasi 2 milioni di ingressi irregolari registrati nel 2015, a causa della guerra civile tra il governo della Siria e gli integralisti islamici dell’Isis e di al-Qaeda.

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Il nuovo picco è quindi in realtà parecchio più basso rispetto ai momenti di vera crisi migratoria e sembra alto solo rispetto ai livelli di ingressi irregolari registrati tra il 2017 e il 2021, che sono stati pochissimi e pari a circa 150mila ogni anno. Inoltre, come sottolinea Frontex, i dati forniti contano gli attraversamenti delle frontiere e non il numero esatto di migranti. Questo significa che il numero di persone entrate in Europa è in realtà più basso, perché la stessa persona può aver passato il confine più di una volta. Mentre non sono stati considerati i circa 13 milioni di profughi causati dall’invasione russa dell’Ucraina, perché entrati in maniera regolare.

Insomma, nonostante i 300mila ingressi irregolari l’Unione europea non sta affrontando una crisi migratoria o un’invasione, termine allarmista e scorretto usato dalle destre europee a fini propagandistici. Al contrario, se paragonati all’intera popolazione europea, pari a 447 milioni di persone, i migranti arrivati quest’anno sono appena lo 0,07% del totale e, calcolando in eccesso, tutti i migranti arrivati dal 2017 a oggi sono appena lo 0,22% del totale

Quali sono le rotte più battute

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Quasi la metà di tutti gli ingressi irregolari avvenuti nel 2022, esattamente il 45% del totale, sono avvenuti attraverso la rotta dei Balcani occidentali – cioè nella regione composta da Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia – con un incremento pari al 136% rispetto all’anno precedente, per un totale di 145.600. Tra le persone in arrivo, la maggior parte era di nazionalità siriana, afghana, turca o tunisina.

Un altro incremento pari al doppio dell’anno precedente è avvenuto anche nella rotta del Mediterraneo orientale – che riguarda gli arrivi in Grecia, Cipro e Bulgaria. Nel 2022 sono infatti avvenuti 42.831 ingressi irregolari nella regione, il 108% in più rispetto al 2021. Mentre nella rotta del Mediterraneo centrale – cioè verso Italia e Malta – l’aumento rispetto al 2021 è stato del 51%, per un totale di 102.529 persone, provenienti prevalentemente da Egitto, Tunisia, Bangladesh e Siria. 

Questa percentuale si riflette anche sul numero di persone sbarcate in Italia. Secondo i dati  del ministero dell’Interno, per esempio, nei due mesi successivi dall’insediamento del governo Meloni sono sbarcati sulle coste italiane quasi 23.400 migranti. Nello stesso periodo del 2021, durante il governo Draghi, gli sbarchi erano stati circa 12.600. Numeri che smentiscono fermamente le dichiarazioni rilasciate alla trasmissione L’aria che tira dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, secondo cui “la curva di crescita degli sbarchi è diminuita”, da quando Giorgia Meloni è diventata presidente del Consiglio.

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Al contrario, la rotta del Mediterraneo occidentale – che riguarda gli arrivi in Spagna – ha conosciuto una discreta diminuzione della pressione migratoria nel 2022, con circa un quinto di rilevamenti in meno rispetto all’anno precedente, pari a soli 14.582 ingressi”.

Il “pull factor” si chiama meteo

E qui veniamo allo svelamento della fake governativa sulle Ong “pull factor”. Il merito va a il Post.

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Che scrive: “Nei primi dieci giorni del 2023 sono sbarcati sulle coste italiane 3.709 migranti, un numero dieci volte superiore a quelli arrivati nello stesso periodo del 2022, quando furono appena 378.

In quei giorni, sia nel 2022 sia nel 2023, il tratto di mare fra la Sicilia e le coste del Nord Africa è stato presidiato dalle stesse due navi: la Geo Barents e la Ocean Viking, rispettivamente delle ong Medici Senza Frontiere e SOS Méditerranée. A cambiare, a distanza di un anno, sono state le condizioni meteo nel tratto di costa della Tunisia da cui parte la maggior parte delle imbarcazioni di migranti. Nel 2022 erano sfavorevoli per la navigazione: il vento soffiava fortissimo e le temperature erano assai basse, due condizioni che creano onde troppo alte per gommoni e piccole imbarcazioni. Nel 2023 invece il tempo è stato molto più mite, con livelli inusuali per i primi di gennaio e quasi ideali per la navigazione. 

La differenza non è passata inosservata. Ormai da qualche tempo esperti di migrazione e persone impegnate nel soccorso di migranti nel Mediterraneo centrale ritengono che il vero “pull factor”, cioè il fattore che condiziona maggiormente le partenze dalle coste dal Nord Africa, non sia la presenza delle navi delle ong, come sostenuto ancora oggi senza molte prove dal governo di Giorgia Meloni: bensì le favorevoli condizioni del meteo nei luoghi di partenza. «Le imbarcazioni partono quando c’è la possibilità di navigare: esattamente come i pescatori escono a pescare quando c’è bel tempo», spiega Riccardo Gatti, responsabile delle operazioni di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere. «Se il mare è agitato mettere in mare un’imbarcazione è praticamente impossibile, è un problema fisico». Il sito di meteorologia Rp5 mostra che a Homs, in Libia, all’estremità orientale del golfo che inizia a Sfax, in Tunisia, nei primi dieci giorni del 2023 la velocità delle raffiche di vento era di circa un terzo rispetto a quella registrata nello stesso periodo del 2022. Sempre a Homs nel 2022 la temperatura media in quei dieci giorni era stata di 14,4°C, mentre nel 2023 è stata superiore di quasi due gradi, 16,3°C.

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«Per le condizioni del mare anche una differenza di pochi gradi di temperatura cambia tutto», spiega Matteo Villa, ricercatore dell’ISPI esperto di migrazioni, uno dei primi a trovare una correlazione fra condizioni meteo e partenze di migranti dalle coste del Nord Africa. Nel 2019 Villa stava lavorando a un articolo con Eugenio Cusumano, ricercatore di relazioni internazionali dell’università di Leida, nei Paesi Bassi, per capire se ci fosse una correlazione fra la presenza delle navi delle ong nel Mediterraneo Centrale e la partenza di migranti dalle coste del Nord Africa: il cosiddetto “pull factor” di cui si parla ancora oggi, più volte smontato in seguito dallo stesso Villa e da altri studiosi. «All’inizio dello studio volevo capire quanto spostassero le ong in termini di numeri di partenze: intuitivamente pensavo fosse molto poco, non che fosse addirittura niente. Le ong sembrano avere un piccolo effetto di incentivo delle partenze, di fatto irrilevanti in termini assoluti, nei mesi invernali, quando le partenze sono già molto basse e tali restano. E nullo nell’arco di tutto l’anno». spiega Villa. «Accumulando dati, abbiamo verificato che erano solo due i fattori importanti a spiegare le partenze: le condizioni atmosferiche dei luoghi di partenza e le condizioni economiche dei paesi d’origine».

Villa e Cusumano si sono concentrati sulle prime, più facilmente misurabili rispetto alle seconde. In un grafico hanno messo le condizioni meteorologiche registrate nella stazione dell’aeroporto di Tripoli, in Libia, dando loro un punteggio da 1 a 14 (1 rappresenta le condizioni meteo peggiori, 14 le migliori), insieme ai numeri delle partenze giornaliere dalle coste della Libia. La correlazione è evidente: nei giorni di meteo migliore partono decine di persone, in quelli peggiori non parte praticamente nessuno, e la curva sale in maniera graduale col progredire delle condizioni meteo. Villa spiega che la correlazione rimane la stessa anche con i dati aggiornati fino al 2021.

Esaminando lo stesso periodo, cioè i primi dieci mesi del 2019, Villa e Cusumano hanno cercato correlazioni fra la presenza delle ong e il numero di partenze: come si vede nel grafico a sinistra qui sotto, non ne hanno trovata alcuna. In media, anzi, dalle coste libiche partivano in media più persone nei giorni in cui non c’erano navi delle ong nel Mediterraneo centrale.

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Negli anni fra gli addetti ai lavori la percezione che le condizioni meteo condizionino parecchio le partenze dal Nord Africa si è solidificata. Da qualche tempo è comparsa anche nei documenti interni di Frontex, l’agenzia di controllo delle frontiere dell’Unione Europea. In un documento interno diffuso nel marzo 2021 e letto dal Post, si dice per esempio che «il flusso migratorio irregolare nel Mediterraneo Centrale continua ad essere condizionato dalle condizioni meteo in mare».

Una simile correlazione è stata osservata anche in altre zone di flusso migratorio in Europa: per esempio nel Canale della Manica, fra Francia e Regno Unito. Nel 2021 il sito specializzato InfoMigrants, parlando degli arrivi via mare sulle coste britanniche, scriveva che «un periodo di bel tempo coincide spesso con un aumento del numero di migranti che provano ad attraversare le acque fra Francia, Belgio e Regno Unito».

Gatti, il responsabile delle operazioni di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere, racconta che nella sua esperienza nel Mediterraneo centrale «in inverno i periodi di bel tempo sono intervalli in media di tre giorni, ma possono essere anche di uno, in mezzo a periodi più lunghi di cattivo tempo». In quella breve finestra di bel tempo partono diversi imbarcazioni: è la ragione per cui le imbarcazioni arrivate a Lampedusa dall’inizio del 2023 sono ormai decine.

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Il fatto che i periodi di bel tempo siano così brevi, però, aumenta anche i rischi della traversata. E nella logica di Gatti rafforza le ragioni per cui le navi delle ong dovrebbero rimanere a presidiare il Mediterraneo Centrale, e non tornare in Italia dopo una sola operazione di soccorso come prescritto dall’ultimo decreto-legge del governo Meloni, approvato a fine dicembre.

«In questo periodo le imbarcazioni che partono col bel tempo possono ritrovarsi improvvisamente in mezzo a mare grosso, e questo aumenta il rischio di morte delle persone a bordo. Oggi, però, accade spesso che non ci sia nessuno a soccorrerle».

Così il report de il Post.

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Le documentazioni citate, gli studi, le ricerche portati a supporto di queste valutazioni finali sono di dominio pubblico. Chiunque può leggerle, anche a Palazzo Chigi e al Viminale. Se non lo fanno non è per ignoranza ma per dolo. Lo stesso di cui si macchia quella stampa mainstream che fa da amplificatore mediatico alle narrazioni criminalizzanti propinate dalla presidente del Consiglio e dai suoi ministri impegnati sul fronte migranti. Criminalizzanti e false. Come quella sul “pull factor”. 

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