Confido che a Palazzo Chigi sappiano che, grazie al Concordato in vigore da 40 anni, in virtù di quanto espresso nel protocollo addizionale, è chiarito, con l’ovvio consenso di entrambe le parti, che “si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato Italiano”. Il nuovo Concordato, quello a cui qui si fa riferimento, è quello in vigore tanto per la Santa Sede quanto per l’Italia. Il vecchio Concordato, quello firmato dal cavaliere Benito Mussolini, come anche lo Statuto del Regno firmato il 4 marzo 1848, non sono più vigenti.
A ciò si aggiunga che l’odierno Romano Pontefice, Francesco, in una nota intervista ha espresso la critica al patriarca moscovita Cirillo di comportarsi come il “chierichetto di Putin”, implicando almeno che lui non è il cappellano o il chierichetto della Nato. Credo, a maggior ragione, che non si consideri il chierichetto del governo italiano. Basterebbe leggere alcune pagine della Costituzione Conciliare, promulgata nel 1965, “Gaudium et Spes”, per rendersi conto di quanto questo punto stia a cuore al Vaticano.
Trovo pertanto non condivisibile, in certo senso molto problematica, la decisione della nostra Presidente del Consiglio di svelare ieri a Cutro, dove ha avuto luogo la tragedia del naufragio di un caicco con a bordo ben più di cento fuggiaschi – che è pressoché impossibile possano rientrare in alcun decreto flussi visto che provenivano da “stati canaglia” come l’Afghanistan e la Siria – una targa sulla quale sono state scritte alcune parole pronunciate da papa Francesco. Si tratta certamente del vescovo di Roma, ma anche del capo di uno Stato straniero che se avesse voluto fare dono di una targa a Cutro lo avrebbe fatto in proprio, magari apponendola nella chiesa locale, ma avendo cura di rispettare il suo pensiero.
Nella targa svelata infatti si legge: “ I trafficanti di esseri umani siano fermati, non continuino a disporre della vita, di tanti innocenti! I viaggi della speranza non si trasformino mai più in viaggi della morte! Le limpide acque del Mediterraneo non siano più insanguinate da tali drammatici incidenti. Papa Francesco.” Il riferimento a Cutro, alle vittime e ai sopravvissuti non c’è, come a chi si è prodigato per loro. Più avanti invece si legge che “L’Italia onora la memoria delle vittime del naufragio del 28 febbraio 2023 e si unisce al dolore delle loro famiglie e dei loro cari. Il governo italiano rinnova il suo massimo impegno per contrastare la tratta di esseri umani, per tutelare la dignità delle persone e per salvare vite umane”. Tutto questo nel testo di Francesco non c’è. Lui non onora le vittime? Non si unisce al dolore dei familiari di chi è morto sulla spiaggia di Cutro?
Andiamo a vedere cosa ha detto il papa quando ha pronunciato le parole citate nella targa: era il 5 marzo 2023 quando, nel dopo Angelus, Francesco ha detto: “ Esprimo il mio dolore per la tragedia avvenuta nelle acque di Cutro, presso Crotone. Prego per le numerose vittime del naufragio, per i loro familiari e per quanti sono sopravvissuti. Manifesto il mio apprezzamento e la mia gratitudine alla popolazione locale e alle istituzioni per la solidarietà e l’accoglienza verso questi nostri fratelli e sorelle e rinnovo a tutti il mio appello affinché non si ripetano simili tragedie. I trafficanti di esseri umani siano fermati, non continuino a disporre della vita di tanti innocenti! I viaggi della speranza non si trasformino mai più in viaggi della morte! Le limpide acque del Mediterraneo non siano più insanguinate da tali drammatici incidenti! Che il Signore ci dia la forza di capire e di piangere”.
Il brano citato e il testo completo fanno emergere delle diversità chiare. Non solo il dolore per le vittime, la preghiera per loro, per i loro parenti e per i sopravvissuti, ma anche l’apprezzamento e la gratitudine del papa alla popolazione locale (e le sue istituzioni) per la solidarietà e l’accoglienza. Solidarietà e accoglienza sono parole ovvie per il papa, importanti per una targa. Ma questi concetti riemergono solo alla fine del testo del governo italiano, un po’, quando si parla di tutela della dignità e salvataggio di vite umane.
I dissensi, per me, sono dunque due. Perché il governo italiano svela una targa in cui non cita la nostra costituzione ma cita il papa? L’articolo 2 della nostra Costituzione non dice forse che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”? Non ci sarebbe stato bene? E perché del papa si omette un passaggio per lui (ne siamo tutti certi) e per chi legge importanti?
C’è poi il passaggio, importante, sul contrasto alla tratta di esseri umani. Siccome andiamo tutti in treno, in aereo, in taxi, in autobus, non vorrei che l’idea di tratta venisse troppo circoscritta. Senza alcuna assoluzione degli scafisti, spesso legati a malavate locali nei paesi di origini e di arrivo, va ben ricordato che la tratta di esseri umani è stata internazionalmente definita nel 2000 da uno dei tre protocolli addizionali alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine transnazionale organizzato. L’articolo 3 del protocollo addizionale sulla tratta afferma: “La “tratta di persone” indica il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’ospitare o l’accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità, dando oppure ricevendo somme di denaro o benefici al fine di ottenere il consenso di un soggetto che ha il controllo su un’altra persona, per fini di sfruttamento. Per sfruttamento si intende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale, lavoro o servizi forzati, la schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù, l’asservimento o l’espianto di organi; (b) Il consenso di una vittima di tratta di esseri umani allo sfruttamento di cui alla lettera (a) è irrilevante laddove sia stato utilizzato uno qualsiasi dei mezzi di cui alla lettera (a).”
Dunque nella tratta ci sono molto soggetti, che intervengono prima e dopo il trasferimento sui barconi della morte. Il ruolo dello scafista si limita al trasporto dietro inaudito compenso, ma richiede l’imbroglio della vittima da parte del trafficante che promette al disperato un futuro impossibile. Lo scafista invece lo abbandonerà al suo destino, che lo porterà sovente nelle mani di altri trafficanti, quelli che troverà sull’altra costa. Dunque combattere la tratta non comincia e non finisce nella lotta all’imbarco sui barconi della morte. Comincia molto prima, finisce molto dopo, se non sempre almeno spesso e volentieri.
Ma come entrare nel complesso pantano nel quale vivono i trafficanti? Facciamo l’ esempio del noto Abdulrahman al Milan detto Bija, a capo della guardia costiera libica per lungo tempo. Nel 2021 ha scritto Nello Scavo su Avvenire: “ Prima ancora di venire scarcerato il comandante Bija aveva già incassato la promozione al grado di maggiore della guardia costiera libica. E domenica, come oramai appariva scontato, Abdurhaman al-Milad è tornato trionfalmente per le strade di Zawyah, in un tripudio di abbracci, auto in corteo, danze e lodi ad Allah. Immagini che ricordano quelle successive al viaggio segreto in Italia, nel maggio 2017, del quale pubblichiamo nuove foto. Riabilitato con tanto di firma del procuratore generale di Tripoli, ora molti si interrogano sul futuro del guardacoste indicato dagli ispettori Onu alla testa del traffico di petrolio, armi ed esseri umani nel potente “mandamento” di Zawyah. Lì il capo dei capi è Mohamed Kachlav, anch’egli come Bija inserito nella lista nera di Onu, Unione Europea e Dipartimento di Stato Usa. Domenica Kachlav è apparso in quasi tutte le foto del redivivo al-Milad, a segnare l’inossidabile alleanza tra le tante famiglie della milizia, gestita secondo uno schema che prende a prestito l’organizzazione e i legami politici di Cosa nostra siciliana e l’apparente anarchia sul campo delle paranze di Scampia. “Come se da noi la camorra fosse riconosciuta ufficialmente e si affiancasse apertamente alle istituzioni governative”, sintetizza da Roma un ammiraglio di lungo corso che mal sopporta i colleghi di Tripoli”. Ecco, questo esempio, che ci riporta a scelte ed errori cominciati molti anni fa, indica chiaramente quale sia la vera strada per combattere la tratta, volendo.
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