Abolire la protezione speciale: i sindaci contro i giochi dei securisti sulla pelle dei più deboli

Non è solo il mondo solidale a ribellarsi al securitarismo del governo Meloni. A ribellarsi ora sono anche sindaci di sei grandi città che hanno scritto una lettera aperta al governo, chiedendo di non cancellare la protezione speciale per i migranti

Abolire la protezione speciale: i sindaci contro i giochi dei securisti sulla pelle dei più deboli
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

17 Aprile 2023 - 14.31


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Non è solo il mondo solidale a ribellarsi al securitarismo del governo Meloni. A ribellarsi ora sono anche sindaci di sei grandi città che hanno scritto una lettera aperta al governo, chiedendo di non cancellare la protezione speciale per i migranti. “Non bisogna ragionare in ottica emergenziale ed è sbagliato immaginare l’esclusione dei richiedenti asilo dal SAI (Sistema accoglienza e integrazione, ndr), precludendo loro qualunque percorso di integrazione e una reale possibilità di inclusione ed emancipazione nelle nostre comunità”, spiegano i sindaci. A firmare l’appello sono stati quello di Roma, Roberto Gualtieri, Milano, Beppe Sala, Napoli, Gaetano Manfredi, Torino, Stefano Lo Russo, Bologna, Matteo Lepore, e Firenze, Dario Nardella.

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Sindaci contro

Nel documento si legge ancora: “Come sindaci, come amministratori, come cittadini che quotidianamente si impegnano nei territori per cercare di garantire le migliori risposte alle criticità che le nostre Comunità esplicitano, siamo molto preoccupati per le proposte in discussione relative alle modifiche all’unico sistema di accoglienza migranti effettivamente pubblico, strutturato, non emergenziale che abbiamo in Italia. La preoccupazione delle città è massima a fronte di emendamenti proposti da alcuni partiti al Dl 591 dopo le tante evidenze a cui il nostro ordinamento ha dovuto porre rimedio in questi anni.

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I sindaci ribadiscono di non condividere la cancellazione della protezione speciale e ricordano che la misura non è un unicum dell’Italia, ma esiste in quasi tutti i Paesi dell’Europa occidentale. E ancora:

“Circa il 50% dei migranti presenta vulnerabilità ed è in parte significativa costituito da nuclei familiari. Queste scelte, qualora adottate, non potrebbero che procurare infatti una costante lesione dei diritti individuali e innumerevoli difficoltà che le nostre comunità hanno già dovuto affrontare negli anni scorsi, a fronte di un importante aumento di cittadini stranieri condannati appunto all’invisibilità.

Il sistema dei Cas, hanno invece sottolineato i sindaci, non è “mai uscito da un assetto emergenziale, è saturo e purtroppo inadeguato ad accogliere già oggi chi proviene dai flussi della rotta mediterranea come da quella balcanica”. I Cas, cioè i Centri di accoglienza straordinaria, sarebbero “insufficiente, sia per numeri sia per le modalità d’accoglienza sia per i servizi di accompagnamento, protezione ed inclusione, assenti”.

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Secondo Gualtieri, Sala, Manfredi, Lo Russo, Lepore e Nardella in questo senso le grandi città si trovano a svolgere compiti che non spetterebbero nemmeno loro.

“Le nostre città sono infatti impegnate già oggi, spesso con sforzi oltre i propri limiti e frequentemente oltre le proprie funzioni e competenze, a porre rimedio con risorse proprie alle manchevolezze di un sistema nazionale adeguato. La soppressione della possibilità di costruire un unico sistema di accoglienza pubblico, trasparente e professionale (come il Sai), garantendo percorsi dignitosi e tutelanti anche per le persone richiedenti protezione internazionale, non può comportare la nascita di nuovi grandi centri di accoglienza o detenzione nei nostri territori.

I primi cittadini ribadiscono poi come negli ultimi vent’anni l’accoglienza in Italia abbia chiaramente dimostrato che i modelli emergenziali, che non si occupano dell’integrazione delle persone, “abbiano procurato ferite enormi nelle nostre comunità e non abbiano garantito diritti esigibili alla popolazione rifugiata”. Non si è stati capaci, in tutto questo tempo, di creare “processi di inclusione efficaci e duraturi “.  Ed eliminare la protezione speciale non farà altro che peggiorare la situazione, scrivono.

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Nella lettera i sindaci chiedono di rinforzare l’unitarietà del sistema di accoglienza “supportando attivamente la rete dei Comuni che quotidianamente affrontano in prima persona le sfide” che questo presenta. In tal modo, si andrebbero a “garantire percorsi di effettiva inclusione e tutela compatibili con i territori, evitando grandi centri di accoglienza, senza servizi e senza tutele”. Nel frattempo, proseguono i sindaci, il Sai deve rimanere accessibile a tutti e i Cas devono essere trasformati in hub di prima accoglienza, dedicati unicamente alle procedure di identificazione e di screening sanitario.

Come Amministrazioni locali, auspichiamo che ancora una volta l’Italia non si contraddistingua per una regressione relativa al sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati: da troppi anni questo tema necessita di una riforma importante e strutturale, che miri ad un equilibrio nazionale del sistema di accoglienza imprescindibile dal coinvolgimento dei Comuni e dagli obiettivi di inclusione, protezione e con una diffusione omogenea a livello nazionale.

Infine i sindaci concludono affermando la necessità di superare la retorica dell’emergenza e aprire invece una discussione per regolarizzare chi già è qui e accogliere al meglio chi arriverà.

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Siamo convinti, insieme ad altre voci autorevoli, che dopo circa vent’anni e anche alla luce di alcuni temi di strutturale cambiamento demografico e sociale non si debba continuare a parlare di emergenza e che proprio in questo momento occorra la lungimiranza di aprire una discussione per scegliere una via legale all’immigrazione e alla regolarizzazione degli immigrati già presenti in Italia, anche attraverso il ricorso allo ius scholae, premessa a comunità solidali, capaci di proporre percorsi di vera emancipazione e autonomia alle persone nel pieno interesse del nostro Paese”.

Sulla questione migranti “la sensazione è che” nel governo “non ci sia una bussola. Dopo aver urlato per anni ‘basta sbarchi’ e ‘prima gli italiani’, la destra al governo si ritrova con molti più sbarchi ed è costretta a chiedere una mano all’Europa, contro cui ha spesso lavorato. È da questa difficoltà che nascono scorciatoie maldestre come cancellare la protezione speciale” dice in una intervista a La Stampa il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. “È tempo che ciascuno si assuma le proprie responsabilità. Se il governo – dice – pensa di abbandonare la via ordinaria dell’accoglienza, quella diffusa per intenderci, per realizzare grandi strutture, allora venga a confrontarsi. Peraltro, se avessimo gestito così l’accoglienza dei profughi ucraini la situazione sarebbe esplosa”.

L’ultima “fake” di Palazzo (Chigi)

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A svelarla è il Post: “Nei giorni scorsi la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e alcuni membri del governo hanno motivato la proposta di abolire la cosiddetta protezione speciale, un tipo di permesso di soggiorno riconosciuto ai richiedenti asilo che arrivano in Italia, spiegando che in questa forma esiste soltanto in Italia, e in nessun altro paese europeo. Sabato Meloni stessa ha detto che la protezione speciale «è una ulteriore protezione rispetto a quello che accade al resto d’Europa, credo che l’Italia non abbia ragione di discostarsi dalle normative europee». Le cose non stanno proprio così, un permesso di soggiorno del tutto simile alla protezione speciale italiana esiste in vari paesi europei, compresi Germania, Spagna e Paesi Bassi.

La protezione speciale esiste soltanto dal 2020: in precedenza esisteva una norma simile chiamata “protezione umanitaria”, che nel 2018 era stata praticamente abolita (con pochissime eccezioni) da Matteo Salvini quando era ministro dell’Interno nel primo governo Conte, nell’ambito dei cosiddetti “decreti sicurezza”. Durante il secondo governo Conte la ministra Luciana Lamorgese aveva poi ripristinato la norma con il nuovo nome di “protezione speciale”, e con alcune minime modifiche.

In sostanza protegge persone che nel proprio paese sono state discriminate per l’etnia, la religione, l’orientamento sessuale o le opinioni politiche, e che se ci tornassero subirebbero «una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare»: per esempio, non potrebbero finire il proprio percorso di studi, se ben avviato. I criteri sono un po’ più laschi rispetto alle altre due forme di protezione garantite ai richiedenti asilo, cioè lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. Nella valutazione di ogni domanda, poi, si tiene conto del grado di integrazione del richiedente asilo fino a quel momento. Per queste due ragioni – e anche perché lo status di rifugiato e la sussidiaria richiedono che esista una persecuzione individuale, non facilissima da dimostrare a distanza – negli ultimi tre anni la protezione speciale è stata molto utilizzata. Nel 2022 in Italia hanno ottenuto la protezione speciale 10.865 persone, quasi una su due rispetto a quelle che hanno chiesto asilo.

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Ma l’Italia non è l’unico paese che garantisce un permesso di soggiorno di questo tipo: anche altri paesi europei prevedono una forma complementare rispetto allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria, che sono codificate nel diritto internazionale ed europeo, per aiutare comunque persone in grave difficoltà che però non rientrano nei parametri spesso limitati delle altre due forme di protezione. In gran parte degli altri paesi questo tipo di permesso ha il nome che aveva in Italia prima dell’abolizione con i cosiddetti “decreti sicurezza”, cioè protezione per ragioni umanitarie.

L’Italia non è nemmeno il paese che assegna più permessi di questo tipo. Secondo i dati di Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, nel 2022 la Germania è stato il paese europeo che ha garantito il maggior numero di permessi di soggiorno per ragioni umanitarie: sono stati 30.020. Repubblica fa notare che «la Germania riconosce la protezione umanitaria per motivi molto simili ai nostri: necessità di trattamenti medici, cura di familiari gravemente malati, conclusione di formazione 

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