Eva Kaili, ex vicepresidente del Parlamento europeo e ai domiciliari per il caso Qatargate, in un’intervista al Corriere della Sera ha raccontato la sua versione dei fatti.
«Non ho ricevuto denaro. Penso che il pentimento e le confessioni di Panzeri siano state ottenute sotto minaccia. Il messaggio era chiaro: se fai i nomi, ti offriamo un accordo e liberiamo tua moglie e tua figlia dalla prigione. Sono metodi non degni di uno stato di diritto. Hanno fatto lo stesso con me. Dichiarandomi colpevole o facendo nomi importanti sarei tornata subito da mia figlia, ma dato che avrei dovuto mentire, non ho mai nemmeno pensato che potesse essere un’opzione».
«Durante il primo interrogatorio e prima di pentirsi, Panzeri ha fatto i nomi di due membri del parlamento di lingua italiana e non il mio e non parla di me neppure nelle intercettazioni telefoniche», precisa Kaili che è stata scarcerata dopo 4 mesi di detenzione e che ha sempre respinto le accuse: «Non ho pensato minimamente di avvalermi della mia immunità parlamentare, e questo dimostra che non sapevo assolutamente ciò che quel denaro rappresentava realmente».
«Subito dopo l’arresto, al commissariato di polizia sono stata messa in isolamento in una cella con luci e telecamera di sorveglianza sempre accese, senza acqua corrente. Ho sofferto il freddo gelido perché mi è stato tolto il cappotto. Ero preoccupata per la mia bambina, perché i primi giorni non mi è stato permesso di chiamare un avvocato, né la mia famiglia».
«È stato terribile. Separare una madre per 4 mesi dalla figlia di 2 anni non solo è considerata una forma di tortura nei paesi fondati sullo stato di diritto, ma è in piena violazione della Convenzione sui diritti dei minori delle Nazioni Unite ratificata dal Belgio», aggiunge, «è una tortura inutile perché le indagini avrebbero potuto procedere allo stesso modo con me agli arresti domiciliari. I bambini sotto i tre anni possono stare con le loro madri, ma a me non è stato permesso. Usare mia figlia per farmi pressione è stato un atto spietato»