Sergio Mattarella, in una lettera inviata all’Osservatore Romano, ha ricordato la figura di Don Puglisi, ucciso dalla mafia trent’anni fa. «Don Puglisi dimostrava con le parole e con i fatti che è giusto resistere e ribellarsi alle logiche criminali, che la mafia può e deve essere sconfitta perché quelli in gioco sono i diritti elementari e la dignità stessa di tutti gli esseri umani. Per tutte queste ragioni l’insegnamento di don Pino Puglisi continuerà a vivere nella Comunità nazionale, generando ancora responsabilità e speranza».
«I killer mafiosi uccisero don Pino Puglisi con vigliaccheria e ferocia, tendendogli un agguato mentre la sera tornava nella sua casa, sempre aperta a chi aveva bisogno. Ma ciò che la mafia voleva ottenere con quel brutale assassinio – eliminare un simbolo, spegnere un motore del riscatto sociale del quartiere Brancaccio e di Palermo – non l’ha conseguito. La testimonianza di don Puglisi è divenuta ancor più di esempio, la sua opera di educatore alla libertà si è propagata, i semi da lui gettati sono cresciuti nelle coscienze di tanti cittadini, soprattutto dei giovani a cui ha dedicato il sacrificio della sua vita»
«Oggi don Puglisi è simbolo di libertà laddove tenta di imporsi l’oppressione criminale, simbolo di uguaglianza e giustizia dove l’emarginazione segna le relazioni sociali, simbolo di amicizia e solidarietà dove talvolta appare difficile contrastare la subcultura della violenza. I valori evangelici che animavano la sua azione quotidiana trovano corrispondenza nei valori civili espressi nella Costituzione repubblicana».
«Questo aspetto sottolinea come don Puglisi sia anche un eroe civile. La Repubblica è riconoscente a don Pino Puglisi e lo ricorda con commozione a 30 anni dalla morte. La memoria del suo appassionato impegno per il diritto di ogni persona a una vita degna costituisce un ancoraggio e un impulso costante alle Istituzioni, alle forze sane della società, ai singoli cittadini per operare nella legalità e nella giustizia. Don Puglisi era nato a Brancaccio e vi era tornato per svolgere il suo servizio pastorale. Proprio questo suo radicamento esprimeva un significato e una forza che i capi mafiosi – mandanti dell’esecuzione – non riuscivano a tollerare».