I funerali di Giorgio Napolitano si terranno quest’oggi, 26 settembre 2023, a Montecitorio. Esequie laiche per il presidente emerito, scomparso a 98 anni. Sul quotidiano La Stampa, Massimo D’Alema ha voluto dare il suo ricordo della figura di Napolitano.
«Era il 1998 e quando si pose la questione che io diventassi presidente del Consiglio, Napolitano mi scrisse una lettera personale nella quale non soltanto mi espresse il suo consenso, ma capendo che i Ds non avrebbero potuto tenere anche il Viminale, mise subito a disposizione il suo mandato di ministro dell’Interno».
«Molti anni dopo in una mostra su Nilde Iotti, lessi un’altra lettera inedita che lei aveva scritto a Napolitano per complimentarsi del suo nobile gesto e nella quale sosteneva che occorreva aiutare la nuova generazione ad emergere».
Otto anni più tardi accadde che D’Alema e Napolitano si ritrovarono nel giro di pochi giorni candidati per il Quirinale: «Il segretario del partito, Piero Fassino, avanzò pubblicamente la mia candidatura, informando Prodi. Berlusconi, pur esprimendo stima personale, obiettò sul fatto che io fossi molto impegnato nella lotta politica. In effetti trovai che questo argomento non era infondato, ne parlammo con Fassino e insieme decidemmo di proporre la candidatura di Napolitano».
«Quello era un gruppo dirigente di persone che si rispettavano. Col riconoscimento da parte nostra che fosse giusto che ad assumere quel ruolo fosse Napolitano. Tra l’altro non aveva partecipato alla campagna elettorale, era già stato nominato senatore a vita, obiettivamente si trovava nelle condizioni di poter assumere un ruolo super partes».
«Nella Direzione del Pci la discussione era molto franca, a volte persino aspra. Ma tutto restava riservato. C’era la consapevolezza di appartenere al gruppo dirigente del partito: una responsabilità in più. C’era una disciplina intellettuale, l’idea di una missione: cose che non esistono più e alle quali ogni tanto mi capita di pensare con qualche nostalgia».
«La generazionale di Napolitano ha vissuto il rapporto con lo stalinismo in modo drammatico. Noi siamo stati fortunati. Il mio legame col Pci si saldò il giorno in cui ero a Praga: scesi in piazza per protestare contro i carri armati sovietici e arrivò la notizia che il Pci aveva espresso il suo dissenso. Senza quello, non so se sarei rimasto legato a quel partito. Napolitano capì prima di altri e l’apporto importantissimo che ha dato a tutti noi è l’esser stato il primo dirigente comunista ad aver avuto una cultura anglosassone, compresa una conoscenza assai avanzata della lingua inglese».
«Ha incarnato nella forma più alta il nesso tra il Pci e la democrazia italiana, un nesso che resta una caratteristica originale del nostro Paese. Come disse Togliatti: non siamo mai stati un accampamento cosacco, ma una parte del popolo italiano. Napolitano lo ha dimostrato nella forma più alta: è stato l’unico dirigente del Pci che nella storia nazionale abbia avuto il ruolo più rilevante nello Stato italiano».