Il governo Meloni, tra un annuncio propagandistico e una promessa non mantenuta, dovrà varare la nuova manovra economica, impresa tutt’altro che semplice. In un’intervista a La Stampa, l’ex sottosegretario all’Economia Cecilia Guerra, ora responsabile lavoro del Pd, ha parlato della questione.
«Aumentare il deficit per finanziare la manovra? Siamo in una terra di mezzo, qualche margine attorno al 4% si può ricavare ma non molto più in là. Il governo deve barcamenarsi fra due obiettivi, quello legato alle vecchie regole ed alla ripartenza del patto di stabilità, e quel margine in più di deficit che si può fare facendo però capire all’Europa che adempiremo anche a quelle future».
C’è il problema, «oggi certamente molto pesante, legato alla cassa, al fabbisogno, visto che ogni anno occorre comunque far fronte alle obbligazioni maturate. Preoccupa il fatto che il governo sembra rinunciare a quegli spazi che ha di spesa pubblica importante a sostegno della crescita come quelli legati al Pnrr. Il ridimensionamento continuo, anche in occasione della discussione sulla quinta rata, di queste spese ha effetti sulla crescita». Il fatto che «vengano messi in discussione soprattutto i piani degli enti locali, con una finta sostituzione dei mezzi di finanziamento, ma in realtà con un taglio secco, è molto grave».
I condoni «sono una rovina per le entrate visto che rendono sempre meno del previsto e nel caso di quelli fiscali rendono impossibile recuperare anche crediti assolutamente recuperabili. Il condono edilizio è uno scempio ambientale e non vogliono neppure pensare che venga attuato. Dall’altro lato, visto che siamo in un anno pre-elettorale, credo sia solo un modo per accaparrarsi voti. Ma sono cose inguardabili».
Fra le strade per recuperare fondi «innanzitutto non bisogna buttar via risorse, come gli 800 milioni ipotecati quest’anno per la flat tax incrementale degli autonomi» sottolinea. Per il Pd «la priorità delle priorità» da finanziare «è il sistema sanitario a cui occorre destinare almeno 4 miliardi come chiedono tutte le regioni per evitare che la sanità finisca quasi in bancarotta».
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