Se il mondo non cambia rotta, nel 2050 potremmo ritrovarci senza una delle specie animali più affascinanti: le tigri. A minacciare seriamente i felini è l’attuale modello di sviluppo socio-economico che, se perseguito nella direzione di oggi, porta ad un aumento drastico dei tassi di deforestazione e di emissioni di CO2 e, conseguentemente, ad un aumento del rischio di estinzione per una specie su quattro di carnivori e ungulati. L’allarme arriva da recente ricerca che ha stimato l’impatto di futuri scenari di sviluppo antropico sulla conservazione delle specie di ungulati e carnivori del mondo.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Conservation Letters e coordinato da ricercatori della Sapienza Università di Roma, parla chiaro, senza un’inversione di tendenza, entro 35 anni appena, oltre alle tigri anche i panda, i rinoceronti e altre 440 specie potrebbero scomparire dal nostro pianeta. E a queste specie si aggiungerebbero quelle già minacciate oggi, nessuna delle quali migliorerebbe il proprio status di conservazione secondo l’attuale modello di sviluppo socio-economico. Dalla ricerca sugli indicatori di biodiversità emerge, però, una soluzione per evitare questo disastro ambientale, il ‘Consumption Change’. «Abbiamo scoperto che uno scenario alternativo esiste ed è in grado di eradicare fame e povertà e di migliorare il benessere umano in generale, raggiungendo al contempo un miglioramento dello stato di conservazione della biodiversità» spiega Piero Visconti, ricercatore affiliato presso il laboratorio Global Mammal Assessment del dipartimento di Biologia e biotecnologie C. Darwin della Sapienza e al centro di Microsoft Research, a Cambridge.
Lo studio evidenzia come l’aumentata domanda di prodotti agricoli potrà essere soddisfatta senza espandere le coltivazioni, grazie all’uso più efficiente dell’attuale capacità produttiva. Il percorso di cambiamento socio-politico di questo scenario è stato progettato in maniera ricorsiva, partendo da un set di obiettivi da raggiungere entro il 2050 e il 2020 e proiettando all’indietro, fino ai nostri giorni, i livelli di consumo di risorse necessari a raggiungere gli obiettivi finali, con l’uso di modelli socio-economici, biofisici ed ecologici.
Questa tecnica, denominata ‘back-casting’, è nuova nei settori dell’ecologia e della conservazione e in questo studio è stata testata per la prima volta per predire il rischio di estinzione futuro di un intero gruppo di specie animali. «Questo studio offre preziose informazioni per il lavoro di Ipbes, la Piattaforma Intergovernativa per la Biodiversità ed i Servizi Ecosistemici dell’Onu, il cui compito è di indicare alle Nazioni Unite le politiche ambientali e socio-economiche necessarie a limitare la grave perdita di biodiversità in atto» conclude Rob Alkemade dell’Agenzia per l’Ambiente Olandese e capo dell’Unità di Supporto Tecnico su modelli e scenari di Ipbes.