L'infettivologo Galli: "Niente scuole, calcio e bar. Va elaborata la strategia della fase 2"

Il primario dell' ospedale Sacco di Milano: "Serviranno interventi e in particolare una modalità diagnostica che preveda l'integrazione dei test sierologici, anche quelli rapidi che sono perfetti"

Massimo Galli
Massimo Galli
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10 Aprile 2020 - 09.12


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Confindustria pressa il governo e lancia appelli per un governo Draghi, nella speranza che si sia un esecutivo molto più di manica larga.
E magari dimenticando quello che è accaduto a Bergamo, provincia nella quale l’aver rimandato l’ordine di creare una zona rossa ha provocato gli conquassi che sappiamo, con le bare portate via dai camion militari.
Il mondo della scienza è più cauto: “Per il momento è ‘apertura no’. Ma bisogna studiare e organizzare ora la ‘exit strategy'”.
Sono le parole di Massimo Galli, primario infettivologo dell’ ospedale Sacco di Milano, a Mattino Cinque. “Non sarà una riapertura generalizzata: ci scordiamo delle scuole e di una serie di situazioni piacevoli. Bar, ristoranti, messe e partite di calcio credo dovranno essere collocate dopo la ripresa di imprese di importanza fondamentale”, spiega.
“La strategia va elaborata ora perché serviranno interventi e in particolare una modalità diagnostica che preveda l’integrazione dei test sierologici, anche quelli rapidi che sono perfetti. Ma è assai imperfetta anche una strategia con tamponi reiterati a tutti, probabilmente insostenibile a livello organizzativo. Per quanto riguarda il potenziale diagnostico siamo maledettamente indietro, questo aspetto va potenziato se vogliamo uscire da questa situazione”, prosegue.
“Questo nemico invisibile è arrivato in Italia probabilmente con una sola introduzione puntiforme: per ora tutte le evidenze ci dicono che dalla Germania tra il 25 e il 31 gennaio è arrivato quest’ospite che ci ha provocato tutto questo. Immaginate cosa potrebbe succedere se si ricominciasse in maniera analoga per una reintroduzione dall’estero o per un’insorgenza controllata. E’ vero che è meglio essere vivi con le pezze al sedere e non morti, ma non si può mandare a rotoli il paese: nemmeno chi fa il mio mestiere può dimenticare l’importanza dell’economia, ma non si può fare nemmeno il contrario. Convivere col virus significa non farsi bastonare”, afferma.
“A Milano molte persone si sono chiuse in casa con l’infezione e hanno bisogno del ricovero in ospedale. Rispetto all’epidemia in generale, la chiusura in casa riduce la possibilità di diffusione dell’epidemia se non nelle mura domestiche”, dice ancora.

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