Facciamo chiarezza: ma i test sierologici servono anche per capire se siamo malati?

Rezza: "Forse utili nella diagnosi solo quando una persona, magari con sintomi lievi, si presenta dopo 10-15 giorni dal medico"

Rezza
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20 Maggio 2020 - 10.47


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I test sierologici di cui tanto si parla in queste settimane (e che molti cittadini stanno facendo privatamente) sono utili per diagnosticare l’infezione da Sars-Cov-2? In alcuni casi sì in altri no: lo ha detto Giovanni Rezza, direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute durante l’audizione informale alla Commissione Igiene e sanità del Senato sui profili sanitari della cosiddetta Fase 2.

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“I test sierologici vanno a identificare la presenza di anticorpi diretticontro il virus Sars-Cov-2, quando compaiono, che siano Igm o Igg – spiega Rezza – La comparsa degli Igm precede la comparsa degli Igg, ma non tutti i test sierologici a nostra disposizione sono in grado di discernere la presenza di Igm da Igg”, in particolare “nel caso di questa infezione virale vediamo che il modello di comparsa dei due anticorpi non è ancora ben chiaro, e spesso le Igm compaiono solo leggermente prima delle Igg, circa una settimana – 10 giorni dopo la comparsa dei sintomi. “Quindi – ed la prima domanda che dobbiamo porci – sono utili i test sierologici a scopo diagnostico? Sì e no”, ha detto Rezza, spiegando: “Non sono utili nell’infezione in atto nei primi giorni di malattia, perché fino ad una settimana, dieci giorni dopo la comparsa dei sintomi se noi facciamo il tampone sarebbe positivo, mentre il test sierologico potrebbe essere ancora negativo”.

In sintesi “possono essere utili nella diagnosi dell’infezione solo quando una persona, che magari abbia sintomi lievi, si presenta in ritardo dopo 10-15 giorni dal medico, si fa un tampone che può diventare già negativo invece il test sierologico in quel caso è positivo. Ci sono stati sintomi negli ultimi 10 giorni, non si è fatto un tampone, come purtroppo spesso avviene in alcune parti di Italia e a quel punto però evidenziare degli anticorpi può essere suggestivo di un’infezione recente”. In conclusione “lo scopo diagnostico principale dei test sierologici è quello di rilevare un’infezione che non era stata diagnostica con l’esecuzione del test molecolare”.

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Chi ha gli anticorpi “probabilmente” è immune al Sars-Cov-2 dice poi Rezza. Ma “attenzione” a esporsi con leggerezza, perché ha spiegato Rezza, non ci sono ancora certezze e non sappiamo per quanto una persona possa essere protetta. Se una persona che ad esempio a febbraio ha avuto sintomi che potevano essere quelli della malattia e ora vuole sapere se ha avuto il virus, fa il test sierologico, “un test che sia affidabile” e “facendo un test sierologico che riveli la presenza di anticorpi che risulti positivo possiamo dire con una buona approssimazione che quella persona ha avuto l’infezione”. Sull’immunità Rezza speiga che persistono ancora tanti dubbi.

“Il test di riferimento, il gold standard per la diagnostica dell’infezione della covid 19, la malattia causata dal coronavirus Sars-Cov-2 è naturalmente il tampone, metodo attraverso cui noi raccogliamo le secrezioni che poi vengono analizzate con un test di tipo molecolare, la Pcr (Polymerase chain reaction) perché questo testo è in grado di rilevare la presenza dell’Rna virale, e ci fa fare diagnosi perché quando c’è la presenza dell’Rna allora evidentemente c’è un infezione in atto”, ma “anche con questo test bisogna stare attenti a volte nell’interpretazione” continua il direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute.

“”La persona diventa infettante nel momento in cui compaiano i sintomi, addirittura un po’ prima che compaiano i sintomi”, ha infatti spiegato Rezza, proseguendo: “Nella fase pre-sintomatica 24-48 ore prima che i sintomi compaiano il tampone, il test molecolare – ha spiegato Rezza -può già essere positivo. Dopo, quando cominciano i sintomi, in particolare la tosse, la persona diventa più contagiosa, perché con la tosse si emettono più droplets, più goccioline di saliva anche a distanze maggiori rispetto a quando una persona semplicemente respira o parla”. “Il test Pcr può restare positivo – ha proseguito Rezza – per un certo numero di giorni. In genere diciamo questi canonici 14 giorni”, ma – ha aggiunto – “dopo il 9 giorno una persona che pure abbia un test positivo difficilmente è ancora contagiosa”.

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“Però a volte anche dopo un mese la persona può avere un test molecolare positivo o addirittura negativizzarsi e poi ripositivizzarsi”, ha ricordato Rezza, spiegando: “In questi casi si tratta in genere di recidive e quasi mai il virus viene coltivato. Cioè, si trovano tracce di Rna virale ma il virus probabilmente non è più vitale; come se la persona continuasse a eliminare un po’ di tracce di Rna che però non sono più indicative della presenza di virus vitale. Quindi potrebbe non essere più contagiosa”.

 

 
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