Covid-19, come si può evitare il contagio negli ambienti chiusi

Mascherine e distanze ma non si possono trascurare i rischi della trasmissione aerea, soprattutto se ci troviamo in un ambiente chiuso e affollato.

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1 Novembre 2020 - 10.40


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Mascherine e distanziamento possono anche non bastare per difenderci dal contagio. 

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La maggior parte dei casi di infezione avviene dopo un contatto diretto con una persona positiva al coronavirus, ma non sono da sottovalutare i rischi della trasmissione aerea, soprattutto in un ambienti chiusi e affollati.

Coronavirus, cos’è la trasmissione aerea – Quando parliamo, tossiamo o starnutiamo emettiamo delle particelle di saliva o droplet che possono raggiungere l’interlocutore solo a breve distanza (si parla di 1 o 2 metri), e assieme a queste altre particelle più piccole di 100 μm che possono viaggiare anche a più di due metri di distanza, accumularsi nell’aria ed essere inalate: si tratta dei così detti aerosol.

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Per proteggersi da queste goccioline più piccole, distanza di sicurezza e dispositivi di protezione rischiano di non bastare.

Come evitare il contagio negli ambienti chiusi – Una delle regole fondamentali in questi casi è ricordarsi di areare la stanza in cui ci troviamo, che sia il nostro ufficio, un’aula scolastica o un negozio.

Va da sé che i luoghi in cui siamo più esposti al contagio sono quelli di dimensioni ridotte e con una scarsa (se non assente areazione), ma nella maggior parte dei casi ci si può difendere dal virus abbastanza agevolmente, come spiega al “Corriere della Sera”  Giorgio Buonanno, professore ordinario di Fisica tecnica ambientale all’Università degli Studi di Cassino e alla Queensland University of Technology di Brisbane (Australia).

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L’importanza di una buona areazione – “In un’aula scolastica di medie dimensioni è possibile ricambiare completamente l’aria aprendo le finestre (areazione) in 10-20 minuti ma con la stagione fredda non è sempre fattibile”, dice Buonanno.

Per questo “l’ideale sarebbe agire con impianti di ventilazione meccanica controllata: nel caso di ricircolo è consigliato l’utilizzo di filtri HEPA”.

E se l’impianto di ventilazione è assente? In tal caso, informa lo studioso, si “può optare per purificatori d’aria portatili che possono essere spostati in vari ambienti”.

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Certo, le variabili da tenere in considerazione sono molte: se ad esempio le persone con cui condividiamo la stanza stanno in silenzio, il rischio è molto minore rispetto ad una situazione in cui tutti parlano.

Secondo il quotidiano spagnolo “El Pais” spiega ad esempio che in un’ora, una persona che grida emette una quantità di aerosol infettivi 50 volte superiore rispetto ad una situazione di silenzio. 

Per calcolare i rischi di contagio l’Università di Cassino ha realizzato un tool apposito, l’ Airborne Infection Risk Calculator.  

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Il fattore tempo e la regola dei 15 minuti – C’è poi la variabile tutt’altro che trascurabile del tempo. Erin Bromage, immunologo all’Università del Massachusetts Dartmouth, ha riassunto tutto con un’equazione: infezione = esposizione al virus x fattore tempo.

In altre parole, maggiore è il tempo di esposizione al virus, maggiore sarà il rischio di contrarre l’infezione.

L’App Immuni ad esempio prevede un contatto minimo di 15 minuti per far scattare l’alert.

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Di recente però gli stessi Cdc hanno peraltro rivisto nelle loro linee guida la “regola dei 15 minuti” che non vanno intesi come un tempo “consecutivo”, ma “cumulativo”: l’infezione può dunque avvenire anche con più contatti brevi, ma ravvicinati.

Resta il fatto che soprattutto se ci troviamo in uno spazio chiuso, diminuire il tempo di esposizione può fare la differenza.

 

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