La nutrizionista: "Contro il Covid lactoferrina, quercitina e resveratrolo non servono. Sono bufale"

Docente dell’Università di Tor Vergata, nutrizionista e ricercatrice del Crea Alimenti e Nutrizione: "Non fidatevi del sensazionalismo dei ricercatori, perché sono spesso accecati dalla vanità"

Stefania Ruggeri, docente dell’Università di Tor Vergata
Stefania Ruggeri, docente dell’Università di Tor Vergata
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18 Dicembre 2020 - 18.21


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di Antonello Sette

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Professoressa Ruggeri, non bastavano i virologi che litigano anche su quale sia la terapia farmacologica più efficace per combattere il Covid- 19. Ora, alcuni nutrizionisti sbandierano ai quattro venti la possibilità di ricorrere a integratori miracolosi. Che faccio, corro in farmacia? Tenga presente che ho un’età, per usare il vostro linguaggio, robusta…

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Resti a casa, che è meglio – dice la nutrizionista del CREA rispondendo all’Agenzia SprayNews- . Poi, non appena le sarà possibile, si vaccini. I tre integratori, a cui lei si riferisce, la lactoferrina, la quercitina e il resveratrolo, non servono a proteggerci dal Covid 19. 

Eppure alcuni suoi colleghi mi avevano, quasi convinto. Lei, invece, gela le speranze mie e chissà di quanti altri italiani…

Sì, ho letto anch’io articoli strombazzanti su tre ricerche scientifiche che avrebbero dimostrato l’efficacia della lactoferrina e le potenzialità della quercitina e del resveratrolo. Un mio amico della lactoferrina ha fatto incetta e se ne sta imbottendo. La scienza fa esperimenti, i ricercatori possono pubblicare i loro risultati su una rivista scientifica e mettere in condivisione la loro scoperta, che va, però, verificata da altri studi. In molti casi, non possiamo dire che i risultati della ricerca diventino subito universali, cioè “buoni” per tutti. Sono stati fatti alcuni studi su tre integratori, ma purtroppo nessuno di loro ha trovato il vero antidoto per il COVID 19, che per ora rimane il vaccino, oltre a un’alimentazione sana e ricca di vegetali. Basta saper leggere quelle ricerche per capire che non forniscono risposte universali e scientificamente comprovate. 

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E noi comuni mortali come possiamo orientarci? Esiste un decalogo per capire se le conclusioni di uno studio sono robuste e, quindi, attendibili? 

Cinque suggerimenti, a prova di smentita. Primo suggerimento: non fidatevi del sensazionalismo, non fidatevi a scatola chiusa dei ricercatori, perché sono spesso accecati dal desiderio di visibilità e dalla vanità. E, tantomeno, fidatevi di titoli che sovrastano la ricerca o l’articolo, con cui viene riportata sui giornali. Non fermatevi mai al titolo, andate sempre oltre, leggete quello che c’è scritto. Due: verificate se lo studio è stato fatto in vitro (cioè, su cellule) o su animali. Se così fosse, lo studio va ulteriormente verificato. Non ci può accontentare. Tre: nel caso di uno studio condotto sull’uomo, verificate il numero del campione. Quindici persone scelte a caso, non danno alcuna garanzia sulla bontà del risultato. Quattro: cominciate a prenderlo in considerazione, se leggete “studio clinico randomizzato con placebo” e meglio ancora “in doppio cieco”. Il “doppio cieco” vuol dire che né i ricercatori, né le persone, che fanno da cavia, sanno che cosa c’è nelle pillole o nelle compresse, che vengono somministrate, durante lo studio.

Manca, se non sbaglio, l’identità, pardon il suggerimento numero cinque…

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Se tutto è stato fatto a regola d’arte, se nulla è stato tralasciato, se i risultati sono univoci, esultiamo e festeggiamo la scoperta, ma spettiamo che almeno un altro ricercatore ripeta lo stesso studio e arrivi alla stessa conclusione. Solo allora ha senso correre in farmacia.

E, invece, in tanti non aspettano… 

La vendita degli integratori muove interessi di miliardi di euro. E tante case farmaceutiche si stanno arricchendo, riempendo le farmacie di integratori, che non hanno degli effetti salvifici, per cui il cittadino li acquista. 

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Ma qualcosa di minimamente robusto per prevenire il Covid esiste, o dobbiamo solo sperare di non ammalarci, in attesa del vaccino?

Le suggerirei, per prima cosa, un’alimentazione anti-infiammatoria: ogni pasto, a partire dalla prima colazione, dovrebbero prevedere per tre quarti alimenti di origina vegetale, soprattutto frutta e verdura.

La seconda cosa?

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L’assunzione di vitamina D può aiutare. I dati raccolti dalle recenti e robuste ricerche confermano che nella maggior parte dei pazienti ricoverati per il Covid 19 avevano livelli molto bassi di questa vitamina. Quindi, controllate la quantità di vitamina D presente nel vostro sangue e, nel caso fosse bassa, acquistatene pure una confezione in farmacia, oltre ad alimentarvi con cibi, che la contengono in quantità significativa: pesce, uova, latte e formaggi. E, quando c’è, prendete quanto più sole possibile. Con l’avvertenza di non esagerare. Imbottirsi di dosi eccessive può essere controproducente. Anche se non è una bufala.

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