Le donne che diffondono e fanno grande la scienza e tengono testa all’ignoranza fascista

Uno spiacevole episodio avvenuto a un evento dell'INAF per la Giornata delle Donne nella Scienza è un'occasione per rafforzare il messaggio che la conoscenza va diffusa per contrastare il buio dell'ignoranza

Sara Bonito (foto di Gerald Bruneau)
Sara Bonito (foto di Gerald Bruneau)
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Giuseppe Cassarà Modifica articolo

24 Febbraio 2021 - 17.41


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Lo scorso 11 febbraio, chi era collegato online per partecipare agli eventi organizzati dall’Inaf (Istituto Nazionale di Astrofisica) ha dovuto assistere anche a qualcosa di spiacevole: un gruppo di disturbatori ha fatto incursione nell’evento con il solito repertorio cui ci stiamo pericolosamente abituando, tra bestemmie, volgarità e inni al Duce. Sembrava proprio una qualsiasi di quelle storie che il giorno dopo un giornale avrebbe intitolato ‘raid fascista’, con annesse considerazioni amare sul degrado della società italiana e occidentale.

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Vedere tutto nero non è un’abitudine di Sara Bonito. Ricercatrice astrofisica, specializzata nello studio delle stelle giovani, collaboratrice del telescopio Vera Rubin negli Stati Uniti, la dottoressa Bonito è anche una delle principali anime dell’evento ‘Donne e Scienza’ (insieme alle dottoresse Laura Daricello e Laura Leonardi).

E ci tiene fin dall’inizio della nostra intervista a mettere le cose in chiaro: non siamo qui per parlare di un “evento insignificante di due minuti” come lo definisce. Anzi, parlarne significherebbe solo dargli importanza e bisogna invece capire che importanza non ne ha.

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“Cosa rimane di quei due minuti? Nulla. Noi siamo scienziate, il nostro lavoro è risolvere problemi. E questo è un problema molto semplice da risolvere. Abbiamo ripreso il controllo della situazione in pochi minuti e di questo disturbo, nell’editing del video finale, non rimarrà traccia. In realtà, penso addirittura che abbiano rafforzato il nostro messaggio”.

In che senso?

Hanno dimostrato che la divulgazione della conoscenza, che la condivisione e l’apertura sono cose che danno disturbo. Ci hanno prese di mira perché abbiamo deciso di tenere un evento aperto a tutti, proprio perché il nostro scopo era quello di essere inclusivi. Quindi non vedo perché dare più importanza a un gruppo di disturbatori rispetto al grande successo che l’evento ha avuto.

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Parliamo di questo, allora: cosa è stato organizzato l’11 febbraio?

Innanzitutto, bisogna spiegare perché l’11 febbraio. È una data scelta nel 2016 dall’Onu per celebrare la Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza. Una data di cui c’era bisogno, perché per mia esperienza so molto bene che gli stereotipi di genere, in campo scientifico, sono incredibilmente radicati. Per questo abbiamo dato vita a “Donne e Scienza”, una raccolta di video sulla parità di genere che i colleghi di INAF hanno realizzato per sensibilizzare sull’iniziativa.

E c’è stato un buon riscontro?

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Il riscontro è stato ottimo e questo ci ha reso molto orgogliose. E per la Giornata delle Donne nella Scienza abbiamo avuto tanti contributi, anche su temi diversi. Per esempio, uno degli interventi è stato tenuto da Nadia Accetti, fondatrice di ‘Donna-Donna Onlus’, e riguardava chi soffre di disturbi d’alimentazione. Il tema portante era il gender gap, gli stereotipi sulla figura della donna scienziata che ancora sono ben ancorati nella nostra cultura. Ma nel corso degli anni siamo stati vicini a tantissime realtà, anche a livello internazionale (come discusso per esempio dalla collega Federica Bianco che lavora negli Stati Uniti in collaborazione col telescopio Vera Rubin), portando avanti il nostro ideale di inclusione nella scienza,. Abbiamo partecipato a eventi legati al Pride di Palermo, per esempio.

Pensa quindi che parte del lavoro dello scienziato sia proprio la divulgazione?

La divulgazione della scienza è scienza. Le faccio un esempio: la Nasa ha selezionato di recente delle immagini di una protostella, di una nova e di vari resti di supernove realizzate tutte da un nostro collega dell’INAF di Palermo, Salvatore Orlando. Si trattava, semplificando, di modelli fisici tridimensionali (3D) usati per studi scientifici, che sono stati messi a disposizione del pubblico in altri eventi di divulgazione scientifica. Poter ‘vedere’ il processo di formazione di una stella da vicino è emozionante, ma dietro c’è un grandissimo lavoro scientifico che è stato poi selezionato anche dalla NASA, messo a disposizione degli scienziati e del pubblico di tutto il mondo. Divulgare la conoscenza è scienza e da qui la nostra scelta, come INAF di creare un evento pubblico.

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La scienza è di tutti e per tutti. Ma, mi diceva, per le donne non è purtroppo sempre così.

Da una ricerca del 2015 è emerso che nella comunità scientifica le donne sono il 30%. Una netta minoranza dovuta anche al fatto gli stereotipi sono molto più radicati di quel che pensiamo.

Ma in Italia abbiamo dei nomi eccellenti, penso a Margherita Hack nel campo dell’astrofisica ma anche Rita Levi Montalcini, o Fabiola Gianotti che dirige il CERN, o ancora Samantha Cristoforetti…

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E nonostante questo nell’immaginario comune la figura dello scienziato è prettamente maschile. Le racconto un aneddoto: mi trovavo a un evento in una scuola media e di solito l’astrofisica è una materia che affascina tantissimo bambini e ragazzi. Quando mi sono presentata, una delle bambine mi ha chiesto ‘ma anche tu sei una scienziata?’. Non immaginava che una donna, che anche lei stessa potesse, un giorno, diventare un’astrofisica. Nella sua mente quello era un lavoro da uomini. E non è un caso isolato. Raccontai questa stessa storia a Jocelyn Bell Burnell, astrofisica, Nobel mancato, scopritrice delle stelle pulsar. E prima ancora che finissi, lei mi ha preceduto: ‘Because you’re a woman’, perché sei una donna. È una percezione che abbiamo tutte e che ci spinge a continuare il nostro lavoro in INAF.

Quale messaggio cercate di far passare ai bambini e ai ragazzi?

Che l’unico limite ai loro sogni è la loro volontà di studiare, fare sacrifici e studiare ancora. Essere donna non può essere un limite, come non lo è stato per me. Io ho sempre voluto fare l’astrofisica, fin da bambina, e sono stata molto fortunata a non aver incontrato lungo la mia strada qualcuno che mi dicesse ‘non puoi, sei una femmina’. Ma non per tutte è così. Quella bambina, ad esempio, non lo sapeva e sono felice di averle fatto vedere che esiste anche questa strada, che il suo essere donna non è un ostacolo.

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A questo tema era dedicato un video legato proprio agli eventi dell’11 febbraio, con protagonista Serena Benatti, una ricercatrice dell’INAF, che ha parlato proprio di come la scienza può essere accessibile a chiunque e tutti, bambine e bambini, possono affrontare studi e carriere scientifiche, se è quello che desiderano. Un altro video, di Anna Curir, Associata di ricerca dell’INAF, e Maria Paola Sassi, prima ricercatrice dell’INRiM, mostrava un gioco di ruolo che si è tenuto in un liceo scientifico, quindi con ragazzi più grandi, per dimostrare come le loro scelte siano molto condizionate dagli stereotipi di genere.

I bambini, i ragazzi, cominciano a ricevere e immagazzinare questi input fin dalla prima infanzia. Sradicare questi stereotipi è, a mio avviso, uno dei compiti degli scienziati, proprio per arricchire la scienza.

E tornando, solo in conclusione, a quello che è successo con quei disturbatori: perché pensate sia successo?

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Goliardia, voglia di disturbare, ignoranza. Onestamente le motivazioni non mi interessano perché della loro bravata non resterà traccia. Ripeto, voglio pensare che questi siano rischi che corri quando decidi di aprirti al pubblico. C’è sempre chi dispensa ignoranza, esattamente come noi tentiamo di divulgare conoscenza. E un episodio così può solo farci capire che è importante continuare perché nulla è pericoloso per il mondo, specie poi in un periodo come questo, quanto l’ignoranza.

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