Ora molti sono d’accordo sull. Necessità di aggiustare il tiro.
“Dal punto di vista immunologico non c’è nulla di contrario” alla strategia di ritardare la seconda dose di vaccino anti-Covid a mRna.
“Premesso che ovviamente l’ipotesi migliore sarebbe quella di seguire la schedula” che indica un intervallo ottimale fra le due dosi di 21 giorni per il Pfizer/BioNTech e 28 per Moderna, “in tempi come questi, di scarsità di vaccini, è una strategia giustificabile e non comporta nessun tipo di rischio”.
A sottolinearlo è Mario Clerici, docente di immunologia dell’università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi.
Allungare i tempi fra la prima e la seconda iniezione-scudo potrebbe essere una delle vie che si seguirà in Italia per ottimizzare al massimo i vaccini disponibili. E’ una prospettiva che è stata citata a più riprese in questi giorni e c’è una circolare ministeriale che acquisisce il parere della Commissione tecnico scientifica dell’Aifa, la quale ribadisce come, se dovesse essere necessario dilazionare, il margine di manovra non va oltre i 42 giorni.
Si può fare, spiega Clerici. “Una risposta c’è già dopo 10-14 giorni dalla prima dose. E anche se non perfetta, è in grado di indurre protezione. La seconda dose ottimizza il tutto, però scegliere di dilazionarla non è dannoso. Dopo la prima dose la produzione di anticorpi piuttosto che la stimolazione dei linfociti T è almeno all’80%. Quindi più che sufficiente”. Allungare l’intervallo di tempo “non diminuisce l’efficacia dell’ombrello protettivo. Con la seconda dose va dall’80% al massimo”. Ma “una dose basta per dare una protezione e abbiamo visto che funziona”. Con questa politica “in Uk, dilazionando le seconde dosi e somministrando la prima a più persone possibile – ricorda l’esperto – sono scesi da mille morti per Covid a poche decine”.
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