Il rischio contagio sembra essere praticamente nullo con questi presupposti e lentamente si prova a riconquistare la normalità così com’era prima del covid. E’ la via che si auspica anche per l’Italia, quando la campagna vaccinale sarà in fase più avanzata (mentre scriviamo un totale di 6.249.347 persone hanno ricevuto entrambe le dosi). Pfizer, Moderna e soci sono il nostro scudo contro il virus, l’unico che rimarrà tra le nostre mani quando cominceremo a togliere le mascherine. Ma ci garantiscono di non essere più un pericolo per noi stessi e gli altri? Quanto è alto il rischio di reinfezione? Possiamo essere comunque contagiosi? Gli studi sono ancora in corso e devono valutare fattori in continua evoluzione, prime fra tutti le varianti più aggressive, contro le quali alcuni vaccini risultano più efficaci di altri.
Positive alle varianti a settimane dalla seconda dose vaccini mRna – Il caso è stato riferito dal New England Journal of Medicine sulla base di uno studio della Rockfeller University condotto su 417 persone che avevano ricevuto la seconda dose di Moderna o Pfizer: due donne vaccinate contro il Covid, la prima con Moderna e l’altra con Pfizer, sono risultate positive ad alcune varianti del Coronavirus rispettivamente a 19 e 36 giorni dalla seconda dose. Le due pazienti positive hanno accusato sintomi lievi e sono guarite rapidamente. Questo conferma quanto sottolineato da altri studi: nei casi (rarissimi) di reinfezione, il vaccino rende comunque il virus più mansueto.
La prima paziente è una 51enne con nessun fattore di rischio per il Covid grave. Dieci ore dopo aver ricevuto la seconda dose del vaccino Moderna, aveva accusato dolori muscolari di tipo influenzale, sintomo che si è risolto il giorno dopo. Diciannove giorni dopo aver ricevuto la seconda dose, lo scorso 10 marzo, ha accusato mal di gola e di testa, ed è risultata positiva alle varianti E484K, a T95I, a del142-144, e a D614G. Il giorno dopo la donna ha perso il senso dell’olfatto. Il suoi sintomi si sono tutti risolti in una settimana.
La seconda paziente è invece una 65enne in salute con nessun fattore di rischio per Covid grave che ha ricevuto la seconda dose il 9 febbraio. Dopo due giorni di dolore a un braccio nella zona dell’inoculazione, il 3 marzo il suo partner è risultato positivo e il 16 la donna ha accusato sintomi come fatica, congestione nasale e mal di testa. Il 17 marzo, 36 giorni dopo aver completato la vaccinazione, è risultata positiva alle varianti del Coronavirus D614G e S477N, oltre che la T95I e la del142-144. I sintomi si sono risolti tre giorni dopo.
Negli operatori sanitari l’efficacia è al 95% – Una ricerca effettuata dal Servizio di Epidemiologia dell’Ulss 2 di Treviso, in collaborazione con il Dipartimento di Malattie Infettive dell’Iss, mostra risultati più ottimistici: il vaccino anti-Covid somministrato sugli operatori sanitari degli ospedali dopo due dosi ha mostrato un’efficacia del 95% nel prevenire l’infezione, sia sintomatica che asintomatica.
Lo studio è stato pubblicato da “Eurosurveillance”, la rivista che fa capo all’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e ha valutato l’efficacia della vaccinazione nel prevenire le infezioni da SARS-Cov-2 tra gli operatori sanitari degli ospedali, nel primo periodo dopo l’avvio delle vaccinazioni. “L’analisi – spiega il direttore di Epidemiologia Mauro Ramigni – ha riguardato 6.423 operatori nel periodo gennaio-marzo 2021. I risultati sono molto confortanti, anche se lo studio è stato condotto in un periodo nel quale l’incidenza della malattia era importante, e su una popolazione a particolare rischio di contatto con persone potenzialmente infettanti”.
A partire da metà febbraio, quando la percentuale di operatori sanitari protetti da due dosi o da una dose più un’infezione pregressa ha raggiunto circa il 70%, non si è osservato un aumento di casi Covid-19 tra gli operatori sanitari, nonostante l’aumento del numero di ospedalizzazioni nell’Ulss 2.
Meno contagioso chi si infetta dopo vaccino – Il vaccino non solo garantisce un effetto scudo contro il Covid, ma anche una carica virale più bassa nei casi in cui il virus riesca comunque a contagiare: lo evidenzia uno studio condotto in Israele e pubblicato su “Nature Medicine” che ha analizzato gli effetti di Pfizer su chi aveva ricevuto entrambe le dosi. “La carica virale risulta sostanzialmente ridotta per le infezioni che si verificano 12-37 giorni dopo la prima dose di vaccino”, si legge in un estratto della ricerca. “Queste cariche virali ridotte suggeriscono un’infettività potenzialmente inferiore”, una minore contagiosità che “contribuisce ulteriormente all’effetto del vaccino sulla diffusione” di Covid-19. Gli autori, ricercatori del Technion – Israel Institute of Technology e del Maccabi Healthcare Services (Mhs), hanno sfruttato un set di dati ottenuto grazie al fatto che il Mhs ha vaccinato oltre 1 milione di persone nell’ambito di un lancio nazionale rapido dell’iniezione scudo anti-Covid. Eseguendo anche test nel laboratorio centrale, questo ha offerto l’opportunità di monitorare le infezioni post-vaccinazione.
La necessità di prevenire e diagnosticare – Tirare un sospiro di sollievo, ma non abbassare la guardia, dice il monito che arriva dagli scienziati. Lo studio statunitense, spiegano i ricercatori, “indica un potenziale rischio di malattia, dopo che è andata a buon fine la vaccinazione, e di successiva infezione con le varianti, e indicano la necessità di prevenire e diagnosticare le infezioni e caratterizzare le varianti nelle persone vaccinate”.
I tamponi non possono essere dunque un oggetto dimenticato dai vaccinati: “L’idea che potremmo non avere più necessità di test nel mondo post-vaccino probabilmente non è accettabile in questo momento Per quanto ne sappiamo attualmente, anche le persone completamente vaccinate che sviluppano sintomi respiratori dovrebbero prendere in considerazione di sottoporsi al test per Covid-19, e dovrebbero fare lo stesso in caso di esposizione a individui con infezione nota”.
I segnali restano comunque positivi. Per il direttore generale dell’Azienda sanitaria di Treviso, Francesco Benazzi, “i risultati dello studio, in linea con quelli ottenuti nelle sperimentazioni cliniche e in altri studi internazionali di tipo osservazionale rinforzando la comunicazione basata sulle evidenze, rappresentano un’ulteriore conferma della vaccinazione come strumento fondamentale nella lotta al virus, fondamentale nella popolazione e, ancor più, nel personale sanitario”.
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