La variante Omicron è soltanto l’ultima di una lunga serie di varianti che si sono susseguite dal novembre 2019 fino a qui. L’Oms sta utilizzando le molteplici lettere dell’alfabeto greco per catalogarle, ma ben presto anche le lettere potrebbero non essere più sufficienti.
Nel corso delle varie ondate pandemiche si sono succedute moltissime mutazioni del virus SARS-CoV-2, alcune passate inosservate, altre definite varianti di interesse (VOI), altre ancora sono state considerate varianti di preoccupazione (VOC).
Sebbene la maggior parte di esse sembri comunque suscettibile alla risposta immunitaria elicitata dalle vaccinazioni, ricercatori e scienziati continuano a indagare sulle potenziali minacce alla salute pubblica. Recentemente identificata in Sudafrica, ad esempio, la variante Omicron necessita di approfondimenti più completi perché potrebbe rappresentare un possibile rischio, sottolineano gli esperti.
Ecco le varianti principali identificate in questo ultimo anno
Variante Alpha: nota anche come B.1.1.7 e identificata in Inghilterra, è stata la prima ad aver allarmato la comunità scientifica, a causa delle numerose alterazioni a livello genetico che la caratterizzano. Secondo la letteratura scientifica, si è diffusa nel Sud-Est dell’Inghilterra a settembre 2020.
La maggior parte delle alterazioni tipiche di questa variante riguarda la proteina spike, che gioca un ruolo primario nell’introduzione del virus nell’organismo. Gli studi suggeriscono che le mutazioni associate alla variante Alpha rendono più semplice la propagazione del virus, favorendo la trasmissione dell’infezione, ma allo stesso tempo non hanno influenzato significativamente la capacità protettiva della vaccinazione. Dopo essere stata la variante dominante in moltissimi paesi, B.1.1.7 è stata poi pian piano sostituita da un ceppo successivo.
Variante Beta: la versione 501.V2 di SARS-CoV-2, individuata i primi di ottobre dello scorso anno. A metà novembre rappresentava il 90 per cento dei genomi sequenziati dagli scienziati sudafricani.
La variante conta 21 mutazioni, nove delle quali concentrate nella spike. I dati genomici ed epidemiologici suggerivano una maggiore contagiosità, ma la gravità della malattia non risultava alterata, e, anche in questo caso, la vaccinazione sembra in grado di contrastare efficacemente l’infezione e proteggere l’organismo da un decorso grave.
Variante Gamma: conosciuta anche come B.1.1.28, emersa in Brasile nel novembre 2020 e identificata per la prima volta in Giappone. La maggiore trasmissibilità è stata ormai documentata dalla letteratura scientifica, ma i vaccini in distribuzione sembrano comunque agire contro questo ceppo.
Variante Delta e Kappa: due sottogruppi della variante B.1.617, di origini indiane e per lungo tempo dominante nella nazione asiatica. Considerati leggermente meno suscettibili agli anticorpi generati dall’immunizzazione, questi ceppi si sono diffusi velocemente a livello globale, tanto che in alcuni paesi la Delta ha guidato nuove ondate pandemiche.
Secondo alcuni esperti, le mutazioni intrinseche in questa variante rendono il virus più contagioso della varicella. Nell’ultimo periodo, la Delta si è ulteriormente modificata nella versione Plus, anche se i dati a disposizione per stabilire contagiosita’, epidemiologia e potenziali rischi per la salute sono ancora troppo esigui e sarà necessario attendere informazioni piu’ complete prima di trarre conclusioni affrettate.
Variante Eta: B.1.525, individuata in Regno Unito dopo dicembre 2020. Pur avendo suscitato interesse, non ha raggiunto livelli di diffusione paragonabili alla B.1.1.7.
Variante Epsilon: B.1.427 e B.1.429, diventata predominante in California e nella parte orientale degli Stati Uniti, dopo essere stata identificata in Danimarca nel marzo 2020. Sembra associata a una contagiosità del 20 per cento più elevata, ma l’introduzione dei vaccini ha contribuito a frenarne la diffusione.
Variante Lambda: identificata per la prima volta in Perù e diffusasi largamente in tutta l’America settentrionale fino al Canada. Sembra essere altamente infettiva a causa delle mutazioni specifiche presenti sulla proteina spike, una delle quali, nella parte terminale della proteina, potrebbe rendere il ceppo in grado di sfuggire piu’ facilmente agli anticorpi. Sarà comunque necessario confermare le ipotesi e valutare attentamente la pericolosità di questa variante.
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