Pompei, la città spezzata via e sepolta nel 79 d.C. dall’impeto tellurico e piroclastico del Vesuvio, con temperature superiori a 500°C, emerge attraverso il tessuto genetico dei suoi abitanti. Un nuovo studio, frutto di una collaborazione fra l’Università di Firenze, Harvard e il Max Planck Institute di Lipsia, offre, una rilettura delle ultime ore della città e delle sue anime, portando la genealogia e il suo caleidoscopio di connessioni culturali e biologiche, spiazzanti rispetto alle interpretazioni tradizionali.
La consueta, quasi automatica attribuzione di rapporti di parentela e legami sociali sulla base di dettagli posizionali o iconografici viene ora ribaltata da prove genetiche che dissolvono antichi presupposti, svelando relazioni umane sfumate e intricati legami tra cultura e biologia.
La città, congelata in quel momento di disperazione, è diventata negli anni un particolare terreno di studio per scavi archeologici e bioantropologici, e le recenti scoperte dei genetisti trasgrediscono i confini delle supposizioni, destabilizzando certezze consolidate. La tecnica del calco in gesso, che aveva riempito il vuoto creato dal decadimento dei corpi all’interno della cenere, ha permesso di preservare le forme esterne degli abitanti, ma è solo grazie alla moderna analisi genetica che si sono potuti recuperare anche i dettagli intrinseci del loro passato genetico.
Dalle analisi effettuate su quattordici calchi, risulta che la biologia, muta ma eloquente, contraddice le narrazioni basate sulle apparenze. Relazioni che sembravano ovvie per prossimità fisica, o per le suppellettili adiacenti, come bracciali o anelli, si rivelano ora illusorie e talvolta ingannevoli, dimostrando, ad esempio, come un bambino e un adulto ritenuti madre e figlio fossero, in realtà, geneticamente estranei.
Le avanzate tecnologie di sequenziamento hanno inoltre svelato particolari sull’ascendenza pompeiana, delineando un quadro di eterogeneità e di complessità genetica. Gli abitanti di Pompei, lontani dall’essere un gruppo geneticamente omogeneo, erano portatori di un patrimonio variegato che attestava influenze del Mediterraneo orientale, rivelando dunque un quadro cosmopolita che sfida le usuali semplificazioni.
La presenza di tracce genetiche assimilabili a quelle dell’Italia centrale e della Sardegna, oltre alla scoperta di patologie quali la tubercolosi spinale, accentuano questo ritratto di una popolazione aperta, sia al movimento delle genti, sia alla trasmissione delle malattie, esponendo una Pompei vibrante e immersa nelle complesse dinamiche imperiali.
Un’ulteriore e sottile stratificazione interpretativa è offerta dall’analisi della famosa “Casa del Bracciale d’Oro,” dove l’analisi del DNA di quattro individui, inizialmente ritenuti membri di una medesima famiglia, ha sovvertito l’identificazione pregressa, dimostrando che i rapporti di consanguineità non erano esistenti tra loro.
Lì, le relazioni sociali emergono come realtà fluide, difficilmente incasellabili nel paradigma della discendenza diretta. Parallelamente, si è osservato come la tradizione moderna abbia plasmato e forse forzato interpretazioni sulle pose e i posizionamenti dei calchi, influenzando la percezione contemporanea degli antichi pompeiani.
Il Parco Archeologico di Pompei ha intrapreso un esame critico dei calchi stessi, ipotizzando che alcune di queste posizioni possano essere state manipolate da restauratori dell’epoca moderna, producendo narrazioni visuali che, lungi dall’essere neutrali, veicolavano messaggi di ordine simbolico o evocativo, finendo così per influenzare gli osservatori odierni.
Negli anni più recenti, la mappatura genomica dei pompeiani e progetti di sequenziamento integrale del DNA, come quello intrapreso nel 2022 su alcuni degli abitanti della “Casa del Fabbro,” hanno rivelato ulteriori affinità con popolazioni dell’Italia centrale e mediterranea, aprendo un varco interpretativo che esplora la mobilità delle popolazioni all’interno dell’Impero Romano riflesso di un’antica globalizzazione.
Nello stesso anno, un’analisi comparativa tra il genoma di un pompeiano e mappe genetiche moderne ha mostrato non solo un’affinità regionale con gli italiani centrali e i sardi, ma anche la presenza di polimorfismi genetici che suggeriscono una varietà nella salute e nelle predisposizioni patologiche della popolazione.
Il Parco Archeologico, nell’ambito di un progetto di mappatura genomica, prosegue con un programma di analisi isotopiche, diagnostiche e vulcanologiche, arricchendo la conoscenza del contesto pompeiano in un quadro multidisciplinare, questa sinergia di competenze ha conferito a Pompei un ruolo di rilievo nel panorama della bioarcheologia, configurandola come un laboratorio vivente di ricerca archeogenetica, in cui il dialogo fra le metodologie scientifiche più avanzate e il sito storico risulta fruttuoso e innovativo.