“Un’onda di colori, di bellezza e di grandiosità, spazzò via le gocce di perplessità, dissenso e mugugni, cadute in ordine sparso al Teatro Augusteo la sera della prima del poema sinfonico in quattro quadri «Pini di Roma» di Ottorino Respighi (1879-1936)”, è quanto ha scritto sull’AGI, Marco Patricelli, storico diplomato al Conservatorio, soffermandosi sui colori e le sfumature di una sinfonia che segna una cesura importante nella storia della musica di inizio Novecento.
I «Pini di Roma» di Ottorino Respighi si inseriscono a metà della trilogia che ha dato fama al proprio compositore, tra le «Fontane» del 1916 e le «Feste» del 1928: “Se «Fontane di Roma» era stata l’opera della maturità espressiva, «Pini di Roma» era la laurea”, dichiara l’autore dell’articolo.
Il trionfo di quella prima di cento anni fa segna la “rinascita del sinfonismo italiano sul debordante successo del melodramma”, titola Patricelli, che spiega: “Contemporaneo di Giacomo Puccini, con il compositore lucchese aveva in comune solo la capacità di utilizzare tinte inusitate e forzature del sistema tonale già andato in frantumi con Claude Debussy, lo stesso Stravinskij, e soprattutto Arnold Schoenberg padre della serialità dodecafonica. Ma era il linguaggio a essere totalmente diverso: Puccini aveva bisogno della parola e dell’azione scenica, Respighi si affidava alla trama eterea del poema sinfonico, detto anche musica a programma.”
Patricelli ci ricorda che la finezza del bolognese Respighi, e dunque il successo della sua sinfonia, “gli derivavano dalla straordinaria scuola di Nikolaj Rimskij-Korsakov il quale aveva forgiato il giovane Igor Stravinskij, autore a sua volta nel triennio 1910-1913 di un trittico russo in campo ballettistico da far tremare i polsi per la portata rivoluzionaria: «L’oiseau de feu», «Pétrouchka» e «Le sacre di printemps»”.
Respighi, con la sua sinfonia dedicata a una giornata a Roma, suscita immagini, che Patricelli trasporta nella sua scrittura, richiamando i pini di Villa Borghese nella luce del mattino, chini sui giochi spensierati dei bambini, poi ombrosi accanto a una catacomba, testimoni di un passato antichissimo; e all’alba, sfondo a una legione romana vittoriosa in marcia sull’Appia. E denuncia il fatto che, nel dopoguerra, il musicista venne sospettato ingiustamente di riferimenti al Ventennio, mentre non si era mai iscritto al partito fascista.
Arturo Toscanini, esiliato negli Stati Uniti, diresse proprio «I Pini di Roma» nel suo primo concerto alla guida della NBC Orchestra, costituita per lui, il 14 gennaio 1926. Nel 1945, quando dirigerà per l’ultima volta il complesso newyorkese, vorrà in programma il capolavoro di Respighi.