Glenn Peter Stromberg ha 53 anni e nel dicembre scorso è diventato nonno di Ginevra. Ne sono trascorsi ventuno da quando ha lasciato l’Atalanta, della quale è stato il Capitano, il Simbolo, l’Anima.
Se ieri sera foste stati alla Festa della Dea, questa straordinaria festa di popolo della Curva Nord che ogni anno per sei notti mobilita oltre 50 mila tifosi, mossi da una passione incredibile, avreste scoperto che il passato prossimo è il tempo sbagliato, quando si parla del Grande Svedese.
Stromberg è il Capitano, il Simbolo, l’Anima dell’Atalanta. In una notte che non dimenticherà mai, quindicimila persone, uomini, donne, bambini, ragazzi, vecchi e giovani gli hanno riservato un’accoglienza che l’ha commosso sino alle lacrime. E, si sa, è difficile veder piangere un vichingo. E lui, con l’umiltà che l’ha sempre contraddistinto, si è schermito: “Ero un giocatore normale. Adesso mi fate sentire come Messi”. Gli ha risposto un altro boato.
Perchè la gente dell’Atalanta ama tanto questo signore che oggi fa il commentatore per la tv svedese e si è innamorato a tal punto di Bergamo da mettervi radici?
La risposta è semplice: perchè Stromberg è stato un campione, altro che un giocatore normale (la storica Coppa Uefa con il Goteborg, uno scudetto svedese; uno scudetto e una finale Uefa persa con il Benfica, 52 presenze e 7 gol con la Svezia; 219 presenze e 18 gol con l’Atalanta).
Ma, soprattutto, perchè Stromberg non ha mai avuto bisogno di baciare la maglia per dimostrare quanto vi fosse attaccato; perchè, all’uscita dal campo, la maglia di Stromberg era sempre intrisa di sudore; perchè Stromberg non è mai stato un mercenario; perchè è sempre stato corretto e leale. Perchè personaggi come lui appartengono a un altro calcio e a un altro modo di ivere il calcio.
Mi ricordo tutto il suo disgusto quel 26 gennaio ’90 allo stadio di Bergamo, quarti di finale di Coppa Italia, Atalanta-Milan. I rossoneri non restituirono la palla ai bergamaschi ed era stato proprio Stromberg a calciarla fuori per consentire di soccorrere Borgonovo infortunato. Rijkaard rimise in gioco e nell’azione successiva il Milan si procurò un rigore, trasformato da Baresi e grazie al quale il Miilan entrò in semifinale.
Il 17 settembre 2010, alla trasmissione “La Tribù del calcio”, curata da Paolo Ziliani e in onda su Sport Mediaset Pemium, a signora Chantal Borgonovo fece pervenire uno scritto di Stefano, da Barcella atterrato per il calcio di rigore. Borgonovo raccontò: ”Ricordo che a fine gara si scateno’ l’inferno. I giocatori dell’Atalanta negli spogliatoi mi cercavano e ricordo che, sul pullman, la polizia ci chiese di non sederci vicino ai finestrini, tirare le tendine e sdraiarci a terra per evitare guai. In quanto a Mondonico, che voleva portarmi al Torino e che quella sera avrei dovuto incontrare a cena, mi scaricò”. “Chiedo scusa a Bergamo. Come disse Paolo Maldini nello spogliatoio: che figura di merda abbiamo fatto!”. Borgonovo è stato l’unico giocatore milanista a chiedere pubblicamente scusa all’Atalanta e alla città di Bergamo per quell’episodio di ributtante antisportività commesso dalla squadra allora campione d’Europa in carica. Anche Berlusconi chiese scusa, ma il giorno dopo. Sempre dopo.
La Festa della Dea non poteva avere un ospite migliore di Glenn Peter Stromberg. Quelle acclamazioni, quell’affetto, quell’entusiasmo per il Capitano sono l’incarnazione dei valori autentici che si respirano fra i tifosi della Curva atalantina come di ogni altra Curva. Quelli che le cirminalizzano, che le strumentalizzano, che generalizzano perchè o non vedonono fanno finta di non vedere, dimenticano che sono i tifosi la spina dorsale del calcio. Che di uno, dieci, cento Stromberg, oggi avrebbe bisogno.
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