Vinti solo dal cielo, onore al Grande Torino: una squadra, una leggenda
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Vinti solo dal cielo, onore al Grande Torino: una squadra, una leggenda

Il 4 maggio 1949 l'aereo su cui viaggiava il Torino si schiantò contro la collina di Superga: passa, il tempo. Ma non cancella il ricordo del Grande Torino, squadra Invincibile e Immortale.

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4 Maggio 2017 - 09.49


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Il 4 maggio 1949 la più grande tragedia nella storia dello sport italiano:

l’aereo su cui viaggia il Torino di rientro da Lisbona si schianta a causa della fitta nebbia contro la collina di Superga a pochi minuti dall’atterraggio. Il trimotore FIAT G. 212 delle Aviolinee Italiane alle ore 17:05, fuori rotta per l’assenza di visibilità, si schianta contro i muraglioni di sostegno del giardino posto sul retro della Basilica di Superga. Nessun superstite. La squadra più forte dell’epoca in Italia e in Europa, che riuscì a vincere ben 5 scudetti di fila.

A perdere la vita quel giorno furono:

I calciatori: Valerio Bacigalupo (25), Aldo Ballarin (27), Dino Ballarin (23), Émile Bongiorni (28),  Eusebio Castigliano (28), Rubens Fadini (21), Guglielmo Gabetto (33), Ruggero Grava (27), Giuseppe Grezar (30), Ezio Loik (29), Virgilio Maroso (23), Danilo Martelli (25), Valentino Mazzola (30), Romeo Menti (29), Piero Operto (22), Franco Ossola (27), Mario Rigamonti (26), Julius Schubert (26), Dirigenti

I dirigenti: Arnaldo Agnisetta, Ippolito Civalleri, Andrea Bonaiuti

Gli allenatori: Egri Erbstein (50), Leslie Lievesley (37), Osvaldo Cortina

I giornalisti: Renato Casalbore (58), Renato Tosatti (40), Luigi Cavallero

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L’equipaggio: Pierluigi Meroni, Celeste D’Inca, Cesare Biancardi, Antonio Pangrazi

 

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Per ricordare il Grande Torino, un articolo di Xavier Jacobelli, direttore editoriale della redazione digitale dei quotidiani sportivi Tuttosport e Corriere dello Sport.

 

Passa, il tempo. Ma non cancella il ricordo del Grande Torino, squadra Invincibile e Immortale. Sono trascorsi 68 anni dalla tragedia di Superga. Il mito non tramonta, non scolorisce, non invecchia. Viene tramandato di generazione in generazione dalla gente granata e suscita l’ammirazione, il rispetto, il culto della memoria anche di chi granata non è.

Quella squadra che vinse 5 scudetti di fila e una Coppa Italia; che arrivò a schierare dieci giocatori su undici in Nazionale; che divenne il simbolo della volontà di riscatto dell’Italia uscita a pezzi dalla Seconda Guerra Mondiale, fu molto più di una grande, inimitabile, squadra.
Fu la bellezza del calcio sublimata da interpreti eccellenti, il furore agonistico antesignano del tremendismo granata che Giovanni Arpino così definì nel ’71, al termoine di una delle più belle stagioni toriniste post Superga: ” Ma che cos’è il

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Il vocabolo l’abbiamo importato dal gergo sportivo sudamericano, secondo il quale tremendista è il giocatore, è il club che magari non vince grappoli di trofei, ma costituisce osso durissimo per chiunque. Una squadra di orgoglio, di rabbie leali, di capacità aggressive, mai vinta, temibile in ogni occasione e soprattutto quando l’avversario è di rango: tutto questo significa tremendismo, un termine che da quando l’abbiamo adottato è riuscito a creare invidie di cui andiamo orgogliosissimi. Perché anche di neologismi si vive, non solo di pane e Coppe.
Il Grande Torino giocava in un tempio che si chiamava Filadelfia. Quel tempio è un rudere ed è una vergogna per tutti quelli che in questi anni hanno promesso e non mantenuto, hanno annunciato la ricostruzione e sono annegati in fiumi di parole.

Racconta Wikipedia: “Questo stadio ospitò le partite casalinghe del Torino fino al termine della stagione 1962-1963. Qui i granata vinsero sei dei loro sette Scudetti (a cui va aggiunto anche quello revocato del 1927). In questa struttura il Torino è rimasto imbattuto per sei anni, 100 gare consecutive, dal 17 gennaio 1943 alla tragedia di Superga, compreso il famoso 10-0 ai danni dell’Alessandria (ancora record per una gara di Serie A). È in questo stadio che si esibiva Bolmida (il tifoso trombettista poi reso famoso dal film Ora e per sempre).Il 13 luglio 1943, nel mezzo della seconda guerra mondiale, venne bombardato anche il Filadelfia. Tra le parti danneggiate si trova il campo (utilizzato dagli alleati per giocare a baseball) oltre alle gradinate di via Giordano Bruno. Nonostante la copertura della tribuna fosse intatta, le travi metalliche vengono asportate per rifornire probabilmente l’industria bellica, e sostituite con altre in legno. Il Filadelfia divenne inagibile per molto tempo, ed il campionato del 1943 viene disputato presso lo Stadio Motovelodromo Umberto I. In seguito il Torino si spostò presso lo Stadio Mussolini, futuro Stadio Comunale.Dopo la guerra i lavori di ristrutturazione vennero eseguiti dal nuovo presidente Ferruccio Novo. Nel 1959 venne approvato un nuovo piano regolatore generale secondo cui, dal 6 ottobre, per l’area veniva prevista una destinazione di gioco e sport, e si accennava al riconoscimento del valore storico.

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