Madrid, 11 luglio 1982: accadeva 35 anni fa
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Madrid, 11 luglio 1982: accadeva 35 anni fa

L'Italia di Bearzot vinse i mondiali mente il presidente Pertini esultava in piedi dalla tribuna

Madrid, 11 luglio 1982: accadeva 35 anni fa
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11 Luglio 2017 - 14.24


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di Cesare Gigli

Sono poche le date che – nella memoria collettiva di una nazione – rimangono impresse alla quasi totalità di un’intera generazione. Una di queste è l’11 luglio 1982, esattamente 35 anni fa.
Quella finale della dodicesima edizione della Coppa del Mondo di Calcio giocata al Santiago Bernabeu di Madrid, Italia – Germania Ovest (si, c’era ancora la Germania Ovest) segna idealmente la fine di un percorso critico della nazione, iniziato – sempre idealmente – con un’altra Italia – Germania Ovest di 12 anni prima, giocata il 17 giugno 1970 allo stadio Azteca di Città del Messico e terminato 4-3 dopo un’altalena di emozioni tali da far battezzare quell’incontro “la partita del secolo”.
12 anni che hanno visto la fine del boom italiano, una crisi economica e politica seria, culminante in un evento storico come il Pci nella maggioranza di governo , ed una minaccia alle istituzioni fatta dal terrorismo rosso e nero che, vista con gli occhi di allora, era tutt’altro che velleitaria.
In quanti eravamo consapevoli che quella vittoria segnasse la fine di quel brutto periodo? Forse pochi, eravamo tutti impegnati, quell’11 luglio, ad urlare ed a tifare una squadra che, vista come brutto anatroccolo da gran parte della stampa nostrana fino alla fine di giugno, si era trasformata, con la tripletta di Paolo Rossi al Brasile, anticipata dalla vittoria sull’Argentina di Maradona, in un bellissimo cigno.
Fu, quella settimana di luglio, un’esplosione di gioia continua, poco importa che il motivo scatenante fosse il pallone. Del resto, che l’orgoglio patrio si estrinsechi nel tifo verso una squadra nazionale non dovrebbe stupire nessuno: poche cose come la squadra nazionale riescono a coagulare in maniera pacifica i sentimenti di amore verso la propria nazione. Illustri precedenti sono l’Uruguay del 1930 e soprattutto la Germania Ovest (ancora lei!) del 1954, quando – vincendo contro la formidabile Ungheria la finale della Coppa del Mondo in Svizzera – diede ai tedeschi, per la prima volta dopo la fine del secondo conflitto mondiale, l’orgoglio della propria Patria.
E, come in tutti i racconti epici che si rispettano, quella partita è turgida di figure iconiche che nessuno di quelli che l’ha vissuta dimenticherà mai: da Cabrini che sbaglia un rigore nel primo tempo (a tutt’oggi l’unico rigore mai sbagliato in una finale mondiale durante i tempi regolamentari o supplementari), al gol di Tardelli con quell’urlo che è diventato ormai un simbolo (anche troppo inflazionato), alla voce rotta del compianto Nando Martellini che grida “E sono tre!” al gol di Altobelli dopo l’ennesima sgroppata di un Bruno Conti mai così irresistibile come in quel campionato mondiale, fino alle braccia alzate – sempre con in mano l’immancabile pipa – di Sandro Pertini in tribuna, un Presidente della Repubblica simbolo anche lui di una ritrovata serenità nazionale.
Ma a simboleggiare – condensati in pochi momenti – quei dodici anni di passione terminati con quel 3-1, forse è proprio il primo gol di quella partita, quello di Paolo Rossi. Questo ragazzo da fisico normale, dalle ginocchia martoriate da operazioni in sequenza, che – prima sorpresa nazionale con il titolo di capocannoniere in una squadra “sorpresa” come il L.R. Vicenza, poi simbolo della bellissima e sfortunata nazionale nei mondiali argentini del 1978, un quarto posto con il miglior calcio giocato – sprofonda rapidamente in un pozzo nero prima con una supervalutazione (i famosi 5 miliardi e 178 milioni di lire) che fa gridare allo scandalo in un’Italia economicamente in difficoltà, poi con due retrocessioni consecutive con Vicenza e Perugia ed infine con la vergogna di un calcio scommesse dove rimane invischiato più per ingenuità che per reale dolo o colpa.
Fu solo un’altra “pipa”, quella di Enzo Bearzot, a dargli fiducia anche a costo di apparire ormai “andato” ad una stampa sportiva che mai come in quell’anno dimostrò la sua pochezza umana, più che professionale.
Quel sesto gol di fila, dopo la tripletta con il Brasile e la doppietta con la Polonia, sanciva il ritorno di Paolo Rossi ancora più forte di prima, a rappresentare ancora di più la fine di quel tunnel, personale e collettivo.
E’ per questo che quella vittoria, molto di più di quella del 2006, è ancora così bene impressa nella mente di tutti noi: fu una gioia non solo sportiva. Fu – forse – una delle poche volte in cui siamo stati un popolo.

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