Donati: "L’antidoping è in mano al Sistema che ha negato a Schwazer l’oro della 50 chilometri”

L'ex allenatore della nazionale italiana di atletica leggera e di Alex Schwazer, già membro della Commissione antidoping del Coni

Donati e Alex Schwazer
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9 Agosto 2021 - 17.49


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di Antonello Sette

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Donati come spiega il record di medaglie olimpiche dello sport italiano e, in particolare, l’exploit senza precedenti dell’atletica. Sara Simeoni, in un’intervista al Corriere della Sera, ha parlato di una bolla dei miracoli e ha detto che almeno   l’oro della staffetta 4 per 100 le è sembrato assurdo…

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I risultati hanno messo in evidenza – osserva l’ex allenatore della nazionale di atletica e paladino della lotta al doping rispondendo all’Agenzia SprayNews –  una crescita negli sport individuali e una flessione in quelli di squadra, dove tradizionalmente l’Italia era molto forte. Abbiamo avuto grandi allenatori e forse qualcuno di quelli che ci sono ora devono ancora crescere. Ha sorpreso, in particolare, il flop della scherma. Ascoltando la voce diretta di alcuni atleti, la colpa sarebbe della nuova direzione tecnica. Certo è che la caduta è stata repentina e assolutamente imprevedibile. L’atletica è stata una sorpresa per tutti. Nessuno, a partire dagli addetti ai lavori, sa trovare una spiegazione. La verità verrà chiarita nei prossimi mesi, forse nei prossimi anni. Volendo provare a trovare qualche ragione plausibile, va detto che si è rivelata indovinata la scelta del precedente Presidente della Fidal Alfio Giomi di valorizzare il territorio facendo crescere anche gli atleti di alto livello nei luoghi di provenienza senza puntare tutto, come era sempre accaduto, sui raduni collegiali nazionali. Noi tutti, me compreso, avevamo sempre pensato che la preparazione centralizzata fosse indispensabile anche per consentire ai più dotati di essere seguiti dai tecnici migliori. Giomi ha avuto ragione. La conquista delle medaglie e altri risultati insperati hanno dimostrato che in Italia ci sono molti tecnici preparati sparsi sul territorio. Nelle siepi, sui diecimila, nel lancio del disco femminile, ad esempio, i risultati sono frutto proprio di questo lavoro capillare.

Tutto questo non spiega fino in fondo quello che è accaduto…

Sicuramente la direzione tecnica è stata all’altezza. Antonio La Torre si è dimostrato l’uomo giusto al momento giusto. Gestire l’atletica italiana è molto difficile. E’ un ambiente pieno di contrasti e di individualismi. Lui è riuscito a valorizzare i meriti di ciascuno e a smorzare nel contempo i contrasti ponendo al centro i possibili obiettivi comuni. Le staffette sono sicuramente merito dei tecnici di settore, ma La Torre ha lavorato tanto perché si creasse un amalgama non solo tecnico, ma anche umano. Tutte le staffette, anche quelle che non hanno centrato una medaglia o la finale, hanno battuto il record italiano. L’attuale Presidente della Fidal Stefano Mei ha avuto il merito di gestire la meglio l’impostazione a ereditata dal suo predecessore.

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Alla favola di Tokio è mancato solo il riscatto di Schwazer. Alex, senza la squalifica, rivelatasi a posteriori una truffa, avrebbe potuto vincere la medaglia d’oro?

Non mi piace snobbare gli atleti che hanno gareggiato. Certo è che la 50 chilometri di marcia è stata una gara di livello modesto. Basti pensare al quarantatreenne Yohann Diniz che per un lungo tratto di corsa si è fermato più volte per problemi di stomaco e è sempre rientrato nel gruppo dei migliori. Schwazer avrebbe verosimilmente fatto quello che aveva fatto ai ai mondiali di Roma del 2016, dove aveva rifilato più di quattro minuto al campione olimpico in carica Jared Tallent.

Una macchia indelebile…

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Contro Alex c’è stata un’alleanza fra istituzioni diverse impressionante e inquietante. Come ha scritto il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano Walter Pelino, dovevano essere molto forti gli interessi alla base del complotto a tre teste, l’Agenzia mondiale antidoping, la Federazione mondiale di atletica e il Laboratorio di Colonia, ordito contro Schwazer con il silenzio del Comitato olimpico internazionale. Mi domando come sia possibile, dopo un’indagine giudiziaria durata più di quattro anni e una serie di perizie meticolose, dopo la denuncia articolata e precisa di un magistrato della Repubblica italiana, dopo che si è appurato che la Federazione internazionale di atletica leggera ha solo cercato di opporsi in tutti i modi alle analisi e poi di ritardarle, arrivando a consegnare al colonnello dei Ris di Parma Giampiero Lago un campione di urina diverso da quello originale, non sia stata nominata una commissione di inchiesta. Dopo fatti comprovati di questa gravità, per quanto il sistema sportivo possa essere autocratico e autoreferenziale, la Commissione d’inchiesta era un atto dovuto. Almeno il Cio avrebbe dovuto muoversi per cercare di recuperare un minimo della credibilità perduta. C‘è stata, invece, una spaventosa normalizzazione e. diciamo francamente, anche il sistema sportivo italiano, forse per paura, è rimasto sostanzialmente a guardare. In tanti atteggiamenti di Sebastian Coe ho visto il potere che può essere esercitato in tutti i modi possibili. Un potere che mette paura. Il sistema dell’antidoping non è più, a questo punto, un sistema per combattere o prevenire il doping, ma è un sistema di potere. Se hai in mano quello scettro, puoi fare tantissime cose. In negativo puoi non fare i controlli. In positivo puoi farli. Farli quando e a chi vuoi tu, in un regime di assoluta mancanza di trasparenza. Nessuno sa a chi hanno fatto i controlli e quanti controlli a sorpresa sono stati fatti. E’ tutto criptico. Se leggi le tabelle, nessuno riesce a capirci qualcosa. E’ tutto in mano a “I signori del doping”, che è l’emblematico titolo del mio ultimo libro. E’ tutto in mano al Sistema.

 

 

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