La vergogna del “suk dei migranti”: tu vai bene, sbarchi. Tu no e resti sospeso. Una vergogna sotto tutti i punti di vista. Anche quello strettamente giuridico.
Tutti a terra
“Come organizzazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione, che si occupano della promozione dei diritti fondamentali, ci rivolgiamo ai Ministri dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture del Governo Italiano, perché sia immediatamente consentito lo sbarco di tutti i naufraghi soccorsi negli scorsi giorni nel Mediterraneo Centrale, da giorni in attesa a bordo delle navi di salvataggio.
Il Decreto del Ministero dell’Interno del 4 novembre 2022, scritto di concerto con il Ministero della Difesa e il Ministero delle Infrastrutture, con il quale si pretende di riservare lo sbarco alle sole persone “che versino in condizioni emergenziali” e di respingere le altre fuori dalle acque territoriali, si pone decisamente in contrasto con il divieto di respingimento collettivo, e potrebbe portare a una nuova condanna dell’Italia per respingimenti illegali, come già fu nel 2012.
Il Tavolo Asilo e Immigrazione sottoscrive, a questo proposito, l’analisi e l’appello proposto da Magistratura Democratica, allegato a questo comunicato stampa.
In questo momento le navi in attesa di fronte al porto di Catania, alle quali è stata imposta una illegittima selezione dei naufraghi, con decine di persone bloccate a bordo, devono raggiungere velocemente la terraferma, per poter beneficiare di cure mediche e protezione. L’eventualità che queste navi facciano sbarcare solo una parte delle persone a bordo, riportando le altre fuori dalle acque territoriali italiane, come richiesto dal nostro Governo, pone seri rischi di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.
La Geo Barents, la Humanity 1, la Rise Above e la Ocean Viking hanno agito nel pieno rispetto delle norme, tenendo costantemente informati i centri di coordinamento dei soccorsi di ogni fase delle operazioni di salvataggio, a partire dalla segnalazione di nave in pericolo fino alla richiesta di un porto sicuro per far sbarcare i superstiti.
Ricordiamo che, secondo le convenzioni internazionali marittime, è preciso compito degli stati responsabili dell’area in cui il soccorso è stato compiuto cooperare per coordinare i soccorsi e designare un porto sicuro per i naufraghi: è solo al momento dello sbarco nel cosiddetto Place of Safety (POS), infatti, che l’operazione di salvataggio può dirsi terminata.
Il silenzio di Malta e le mosse politiche dell’Italia per ritardare lo sbarco dei sopravvissuti prolungano le sofferenze delle persone in cerca di sicurezza, costituendo episodi inaccettabili dal punto di vista umanitario e legale.
Come organizzazioni di tutela dei diritti umani, troviamo inaccettabile la totale inosservanza dei trattati e delle convenzioni internazionali da parte del nostro Governo, a scapito della dignità e della salvaguardia della vita umana, che non possono essere sacrificate per ragioni politiche.
Chiediamo dunque al Governo italiano di: consentire lo sbarco immediato di tutte le persone attualmente a bordo delle navi di salvataggio Humanity 1, Geo Barents, Rise Above e Ocean Viking, come previsto dalle convenzioni internazionali; · ritirare il Decreto Interministeriale del 4 novembre 2022, in ottemperanza del divieto di respingimenti collettivi.
E all’Italia e agli altri stati membri europei che: · tutti gli stati costieri rispettino gli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali, collaborando per la buona riuscita delle operazioni di soccorso e la rapida individuazione di un porto sicuro di sbarco per i naufraghi; · si stabilisca un meccanismo prevedibile di sbarco dei sopravvissuti che garantisca tempestività e sbarco in un luogo sicuro, dove la sicurezza della vita dei sopravvissuti è garantita e i loro bisogni umani fondamentali possono essere soddisfatti; · si metta a punto una missione pubblica europea di ricerca e soccorso nel Mediterraneo Centrale, ad oggi la rotta migratoria più mortale al mondo”.
Le organizzazioni:
A Buon Diritto, ACAT Italia, ACLI, ActionAid, Amnesty International Italia, ARCI, ASGI, Caritas Italiana, Centro Astalli, CGIL, CIES, CIR, CNCA, Comunità Papà Giovanni XXIII, Emergency, Europasilo, Focus-Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, Intersos, Legambiente, Magistratura Democratica, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Refugees Welcome Italia, Save the Children Italia, Senza Confine, OXFAM Italia, SIMM, UNIRE.
Sui diritti non si bara
“L’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) continuano a sollecitare i governi europei affinché offrano rapidamente un porto sicuro e permettano lo sbarco immediato di quasi 600 persone rimaste sulle navi delle Ong dopo essere state salvate nelle zone di ricerca e soccorso (SAR) maltesi e libiche, nel Mediterraneo centrale.
Abbiamo accolto con favore gli sforzi dell’Italia per lo sbarco di circa 400 persone, le più vulnerabili a bordo di Humanity 1 e Geo Barents, tra cui minori che viaggiavano da soli e altre persone che avevano bisogno di cure mediche urgenti. Tuttavia, è urgente trovare una soluzione per tutti gli altri sopravvissuti su tutte e quattro le navi in mare.
Nonostante i continui sforzi di advocacy, i sopravvissuti, alcuni dei quali sono in mare da due settimane, rimangono bloccati a bordo delle quattro navi SAR delle Ong. 234 persone sono rimaste sull’Ocean Viking, 217 sulla Geo Barents, 35 sull’Humanity 1 e altre 88 sulla Rise Above.
Le persone bloccate devono essere sbarcate rapidamente, senza ulteriori ritardi. Chiediamo agli Stati della regione di proteggere le vite delle persone soccorse ponendo fine all’attuale impasse e offrendo un porto sicuro per lo sbarco.
Lo sbarco in sicurezza dovrebbe essere seguito da una significativa condivisione delle responsabilità tra tutti gli Stati interessati attraverso accordi regionali e di cooperazione, in modo che tutti gli Stati costieri possano assolvere alle proprie responsabilità di ricerca, soccorso e sbarco. Un approccio frammentario e ad hoc in alto mare, che continui a lasciare soli gli Stati costieri, non può essere perseguito in questo modo e non è sostenibile.
La priorità deve essere soprattutto quella di salvare vite e rispettare la dignità umana. Coloro che arrivano dalla Libia hanno subito in molti casi gravi abusi e violazioni dei diritti umani. Le vulnerabilità di tutti i migranti e rifugiati che attraversano il Mediterraneo – compresi i minori accompagnati e non, le vittime di tratta, i sopravvissuti alle torture – dovrebbero quindi essere identificate per attivare meccanismi di protezione e accoglienza nazionali e internazionali. Il salvataggio in mare è un imperativo umanitario, saldamente radicato nel diritto internazionale e nel diritto del mare. Tutti gli Stati coinvolti hanno l’obbligo di coordinare e rispondere alle richieste di soccorso. Meccanismi di salvataggio dell’Unione europea sono urgentemente necessari e l’Unhcr e l’Oim continuano a chiedere agli Stati di aumentare le risorse e le capacità per far fronte efficacemente alle loro responsabilità.
Secondo il Missing Migrants Project di Oim, quest’anno almeno 1.337 persone sono morte o disperse lungo la rotta migratoria del Mediterraneo centrale. La maggior parte delle 88.000 persone arrivate via mare in Italia nel 2022 è stata soccorsa dalla Guardia Costiera italiana e da altre navi di soccorso dello Stato italiano o è arrivata autonomamente. Il 15% è stato soccorso da navi di Ong.
I meccanismi di solidarietà regionale esistenti possono aiutare l’identificazione tempestiva ed il ricollocamento delle persone che hanno bisogno di protezione internazionale, consentendo loro di chiedere asilo o di ricevere altre forme di protezione, nonché il rimpatrio sicuro e dignitoso di coloro che non hanno i requisiti per rimanere. Nel 2022, circa 164 persone sono state ricollocate dall’Italia in Francia, Germania e Lussemburgo, nell’ambito del meccanismo di solidarietà volontaria. Questi sforzi sono fondamentali, ma devono essere ampliati.
Sono inoltre necessari sforzi regionali su entrambe le sponde del Mediterraneo, poiché le condizioni prevalenti in Libia e nei Paesi di origine continuano a deteriorarsi, spingendo persone disperate e vulnerabili a ricorrere a pericolose traversate in mare”.
Ricorso Humanity: “Sono profughi e naufraghi devono sbarcare”
Hanno chiesto tutti, con domanda già presentata, il riconoscimento del loro status di profughi e, inoltre, sono naufraghi che sono stati soccorsi durante un intervento in mare e quindi le operazioni di salvataggio, come prevedono le norme internazionali, vanno concluse e portate a termine, facendoli sbarcare dalla nave subito. È il contenuto del ricorso urgente, con articolo 700, presentato dall’avvocato Riccardo Campochiaro per le 35 persone che sono ancora sulla nave Humanity 1, dopo che 144 sono state fatte scendere. La richiesta, per chiedere un ordine di sbarco immediato, è stata inviata con mail certificata alla cancelleria del Tribunale civile di Catania. Sarà il presidente Massimo Escher a dovere decidere a chi assegnare il caso e se sarà trattato da un giudice o da un collegio. L’udienza, essendo stato richiesto un provvedimento d’urgenza, sarà inaudita altera parte, senza, cioè, l’intervento della controparte.
A bordo di Geo Barents e Humanity tensione e sciopero della fame
La situazione a bordo delle due navi a Catania, la Geo Barents e Humanity, però peggiora di ora in ora. Sulla Humanity, dice la Ong, per la “fase depressiva” che stanno attraversando, un gran numero dei 34 naufraghi che ha cominciato a mangiare poco o saltare i pasti. Dalla Geo Barents, invece, in due si sono buttati a mare, seguiti da un giovane che ha tentato di soccorrerli: i tre sono stati riporti sul molo 10 dove è ormeggiata la nave di Msf. Juan Matias Gil, capo missione della Geo Barents, lancia l’allarme “a bordo la situazione è molto tesa, le persone non capiscono perché gli altri sono sbarcati e loro no. Non possiamo dare loro risposte e allora l’ansia cresce, i conflitti crescono. Si buttano in acqua, una situazione che purtroppo vedremo molto spesso”. I due che si sono buttati sono un siriano e un egiziano. “Non voglio risalire a bordo – ha raccontato uno dei due ai volontari delle Ong – se mi rispediscono in Libia voi mi salverete di nuovo”. La tensione si manifesta anche sui cartelli realizzati dai superstiti, con pezzi di cartone su cui hanno scritto ‘Help Us’, esponendoli all’esterno della nave e lanciando una sorta di sos: “aiutateci”, urlano in inglese.
Una situazione anticostituzionale
“La situazione è drammatica, anticostituzionale, che non rispetta anche le famiglie che sono su queste navi, che non rispetta il diritto fondamentale al soccorso della Convenzione di Ginevra quindi si spera che questa situazione si sblocchi e che l’Italia insieme all’Europa continui quel progetto di condivisione di solidarietà nei confronti dei migranti che sono richiedenti asilo e che sono rifugiati, l’identificazione non può essere fatta a bordo ma deve essere fatta a terra e anche con tutte le tutele di ogni persona”. Così il presidente della Fondazione Cei Migrantes, monsignor Giampaolo Perego.
E l’Europa ci ricorda…
“La Ue inoltre aiuta finanziariamente l’Italia, che è stata la principale beneficiaria del Fondo per l’asilo, la migrazione e l’integrazione (Amif) nell’ambito del quadro finanziario 2014-2020. E lo stesso varrà per il futuro”, ricorda Anitta Hipper, portavoce della Commissione europea per gli affari interni.
A buon intenditor…
E per finire, fatevi una domanda etc…
Domanda:Davvero le navi Ong devono portare i migranti nel loro Stato di bandiera?Risposta: No, il principio esposto dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, per il quale lo Stato di bandiera della nave di soccorso è responsabile di fornire accoglienza e altro, non è supportato dal diritto internazionale.Il Regolamento di Dublino «non è applicabile a bordo delle navi», ma entra in vigore solo nel momento in cui i naufraghi arrivano sulla terraferma.
Sia la Norvegia interpellata per la nave Ocean Viking sia la Germania per la nave Humanity 1 nei giorni scorsi avevano già replicato all’Italia allo stesso modo: «La responsabilità primaria nel coordinamento dei lavori per garantire un porto sicuro alle persone in difficoltà in mare è di competenza dello stato responsabile dell’area di ricerca e di salvataggio in cui è stata prestata tale assistenza. Anche gli stati costieri confinanti hanno una responsabilità in tali questioni». Quello che lo Stato di bandiera deve esigere è che il comandante di una nave «presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita quanto più velocemente possibile» (convenzione Unclos), mentre per il resto interviene lo stato nella cui zona Sar è avvenuto l’evento critico. Dunque la bandiera della nave che soccorre i migranti è irrilevante per quanto riguarda il porto in cui questi devono approdare.
Questo dice il Diritto internazionale e quello marittimo. Questo dicono le Regole del Trattato di Dublino. Ma come può capirlo e tanto meno recepirlo il “capitan Fracassa” Matteo Salvini. Il ministro che proclama: “Chi è a bordo di quelle navi paga circa 3mila dollari, che diventano armi e droga per i trafficanti. Sono viaggi organizzati sempre più pericolosi. Bisogna stroncare il traffico non solo di esseri umani che è già grandissimo, ma di armi e droga legato al traffico di esseri umani”.
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