Chi scrive conosce da tanti anni Nino Sergi. E nel corso del tempo ho imparato ad apprezzarne competenza, passione civile, equilibrio nelle analisi, impegno nel mondo solidale, quello delle Ong e delle organizzazioni della società civile. Ed è per questo che ci permettiamo di dare un consiglio, umile e gratuito, al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: signor Ministro accolga la proposta di Sergi.
Una conferenza da sostenere.
Di cosa si tratti lo chiarisce molto bene un servizio dell’agenzia Dire. “Una “conferenza nazionale di analisi, discussione e proposta per il governo dell’immigrazione e dell’asilo, che coinvolga i soggetti pubblici e privati competenti in materia e che sia preceduta da una collettiva, attenta e approfondita preparazione”. Nino Sergi, presidente emerito della ong Intersos e policy advisor della rete di organizzazioni della società civile Link 2007, ha formulato questa proposta in una lettera al ministro degli Interni Matteo Piantedosi.
Sergi, volto storico della cooperazione italiana allo sviluppo, sottolinea nella missiva che la conferenza “potrebbe rappresentare un significativo passo avanti, culturale, sociale e politico, di cui si sente da tempo il bisogno”.
Nella lettera il presidente emerito ribadisce e spiega nel dettaglio: “Ritengo che sia matura l’esigenza che il ministero dell’Interno promuova, insieme alla presidenza del Consiglio, al ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, al ministero del Lavoro e della previdenza sociale, al ministero del Merito e dell’istruzione ed altri dicasteri coinvolti, una Conferenza nazionale sull’immigrazione e l’asilo, preparata con un previo lavoro di analisi, approfondimento, confronto e proposta che veda impegnati i soggetti istituzionali nazionali e territoriali insieme a quelli della società civile organizzata e delle diaspore che, anche grazie a rapporti di rete con analoghe realtà nei Paesi di provenienza e in quelli europei, possano contribuire alla ridefinizione di una politica dell’immigrazione che sia al tempo stesso giusta, solidale, efficace e vantaggiosa”.
Sergi prosegue, con un riferimento ai provvedimenti più recenti in fatto di immigrazione: “Negli ultimi anni la politica ha preferito fissare il ‘dito’, come si usa dire, senza volere guardare la ‘luna’ additata. Non entro qui nel merito delle decisioni assunte con il recente decreto per la gestione dei flussi migratori: altri lo stanno facendo con maggiore competenza e autorevolezza. Ritengo però che sia doveroso evidenziare che l’attenzione quasi esclusiva sulle Ong dedite a salvare vite nel Mediterraneo (circa 12mila persone sulle oltre 100mila giunte via mare nel 2022) ha coperto troppo a lungo l’inadeguatezza politica nell’affrontare in modo organico la realtà dell’immigrazione, che presenta certo difficoltà ma che si amplierà maggiormente nei prossimi anni e che quindi va adeguatamente e complessivamente affrontata, anche per agire con più motivazione e forza a livello europeo e internazionale”.
Visioni diverse ma preoccupazioni comuni, osserva il presidente, che “riguardano il sano e lungimirante governo dell’immigrazione”. Fra quelle citate da Sergi, “dotarsi di una normativa che favorisca gli ingressi regolari, oggi troppo limitati e poco rispondenti alle necessità, tanto da spingere verso quelli irregolari; premere per l’adozione nell’Ue del nuovo Patto europeo sull’immigrazione e la riforma di Dublino ma anche, con il sostegno dei cittadini, puntare a delegare all’Ue più ampie competenze in materia migratoria al fine di un reale e generale impegno degli Stati membri; stabilire partenariati di cooperazione allo sviluppo e investimenti con i principali Paesi di provenienza e di riammissione, innalzando i relativi stanziamenti al livello degli impegni internazionalmente assunti; riconsiderare l’acquisizione della cittadinanza italiana per le nuove generazioni discendenti da immigrati, che rimangono troppo a lungo con un’identità sospesa, pur vivendo la loro italianità spesso più intensamente di tanti loro compagni e compagne”.
Un decreto da cancellare
“Il Parlamento italiano non converta in legge il dl per la gestione dei flussi migratori messo a punto dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Lo sottolinea Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione dell’Arci. “Come Arci esprimiamo un parere nettamente negativo sul dl. L’unico obiettivo concreto, oltre alla criminalizzazione del salvataggio in mare, e quindi delle Ong che lo fanno al posto degli Stati, è quello di allontanare navi Ong dal Mediterraneo centrale per limitarne l’operatività – afferma Miraglia -. Secondo i dati forniti dal Viminale nel 2022 le persone salvate dalle Ong corrispondono a circa il 14% di quelle approdate sulle nostre coste, poco più di 14 mila persone. Allontanando le navi delle Ong dal tratto di Mediterraneo che registra più morti per naufragi di tutto il pianeta si produrranno alcune migliaia di morti in più: non possiamo accettare che si scriva una legge il cui unico risultato saranno più morti”.
Secondo Miraglia i dati più volte pubblicati nel corso degli anni, mostrano come non ci sia alcun legame tra la presenza delle navi delle ong e le partenze. “Dall’insediamento del governo Meloni ad oggi, le persone salvate dalle Ong in percentuale a quelle arrivate in Italia sono solo il 7%, nello stesso periodo dell’anno scorso erano il 22% – aggiunge -. Ossia le Ong hanno salvato in percentuale meno persone quest’anno. Eppure se si guardano i dati sugli arrivi dello stesso periodo siamo passati da 16 mila circa a 32 mila, con un aumento di più del 90%. Come si intuisce non c’è alcun legame tra presenza delle Ong e sbarchi. È noto che i fattori che determinano le partenze sono in prevalenza le condizioni del mare e la volontà dei trafficanti, non certo la presenza di Ong. Chi mette in mare le persone che intendono attraversare il mediterraneo non ha certo a cuore il loro benessere”.
“Sappiamo però che se le persone rimangono in Libia, perché non riescono a partire, o perché vengono catturate dalla guardia costiera che le riporta nei lager libici, rischiano di morire e spesso muoiono. Non è davvero comprensibile la ragione per la quale se muoiono in Libia, dentro i centri da noi finanziati, è meglio. Ricordiamo che in Libia vengono commessi crimini contro l’umanità nei confronti dei migranti. Lo ha detto esplicitamente di recente il procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja, Karim Khan. Le persone continueranno a partire comunque, con o senza le navi delle Ong, perché qualunque essere umano nelle condizioni nelle quali vivono i migranti in Libia, farebbe qualsiasi cosa per scappare, anche rischiando di morire in mare pur di non morire torturato in Libia. Va altresì sottolineato che la cosiddetta guardia costiera libica nel 2022 ha riportato in Libia circa 23 mila persone scappate dagli aguzzini libici. 23 mila persone che non hanno potuto mettersi in salvo e che, anche per nostra responsabilità, saranno finite di nuovo in posti dove, lo ribadiamo, vengono commessi crimini contro l’umanità”.
“Ci sono inoltre da evidenziare due dati importanti per il dibattito parlamentare su questo decreto legge. Il primo – afferma Miraglia – è che in Italia negli anni scorsi sono state ospitate anche più di 190 mila persone e al momento siamo ben lontani da quei numeri. Il sistema d’accoglienza è in difficoltà, e noi che gestiamo accoglienza da sempre lo sappiamo bene, per responsabilità del Viminale. Infatti si continuano a non programmare gli interventi, nonostante la legge obblighi il governo a farlo. Senza programmazione il sistema sarà sempre in emergenza”.
“Il secondo dato da evidenziare – conclude Miraglia – è che in tutti questi anni il dibattito pubblico è stato sempre distorto da quella che possiamo chiamare una falsa evidenza, cioè una bugia pubblica che non necessita di dimostrazione e che anzi viene usata a dispetto dei dati reali: l’Italia è stata negli ultimi 10 anni e continua a essere uno dei Paesi che si fa carico di un numero di richiedenti asilo inferiore alla media europea e non siamo neanche lontanamente tra i Paesi che fanno di più in relazione all’accoglienza”.
L’impegno dei vescovi
Dall’Arci alla Conferenza episcopale italiana: un’alleanza trasversale per dire no al decreto governativo.
La Cei fa sentire la sua voce contro il decreto legge relativo alla gestione dei flussi migratori al momento presso le Commissioni parlamentari Affari costituzionali e trasporti e, attraverso un intervento di mons. Gian Carlo Perego, Presidente della Fondazione Migrantes, dice che “il destino del decreto dovrebbe essere solo la sua abrogazione”.
“Vista la situazione della crescita di arrivi e di salvataggi via mare di migranti provenienti da almeno 60 Paesi del mondo, molti dei quali in situazione di guerra, di conflitti interni, di disastri ambientali, di miseria e rischio della propria vita, dal decreto legge del 2 gennaio 2023 – osserva Perego che presiede anche la Commissione Cei che si occupa di migranti – ci saremmo aspettati come Fondazione Migrantes della Cei nuovi impegni e nuove norme per la tutela e la protezione o il rimpatrio dei migranti salvati nel Mediterraneo, come anche norme più rigide sui respingimenti in mare, che il memorandum con la Libia nuovamente approvato ha aggravato, più che ribadire alcune regole d’ingaggio risapute e condivisibili, ulteriormente corrette e aggravate, in contraddizione con le Linee guida sul trattamento del soccorso in mare e alcune Convenzioni internazionali in almeno tre punti della modifica dell’art. 1 comma 2 del decreto legge del 21 ottobre 2020”.
Mons. Perego va nel dettaglio e indica: “La richiesta al comandante di avviare la procedura di domanda di protezione internazionale; l’impossibilità di azioni diverse di salvataggio nel tragitto per raggiungere il porto più vicino e più sicuro; la difficoltà di sbarco, comunque, delle persone salvate in mare in una situazione emergenziale”.
“Se si volesse combattere il traffico degli esseri umani si doveva portare l’attenzione sul rinnovo del memorandum con la Libia piuttosto che sull’azione delle Ong come hanno documentato tutti i rapporti Unhcr degli ultimi anni. Come pure – dice Perego motivando la richiesta di abrogazione – il decreto non fa riferimento ai veri problemi che richiamano gli arrivi dal Mediterraneo: una attenzione all’accoglienza sull’isola di Lampedusa, con il rafforzamento delle forme di tutela sanitaria dei migranti sbarcati, l’identificazione e all’accesso al centro, il sovraffollamento del centro che genera insicurezza anzitutto dei migranti, le misure nuove per decongestionare il centro, gli arrivi autonomi dei barchini e la loro gestione, che corrispondono al 50% di tutti gli arrivi. Non una parola di nuovi accordi con i Paesi di partenza dei migranti. Non una parola sulla situazione di questi Paesi di partenza. Nessun riferimento all’Europa e, in particolare, ad accordi con i diversi Paesi per l’accoglienza dei migranti richiedenti asilo e all’ampliamento di esperienze altre di ingressi regolari, come i corridoi umanitari, purché non siano limitativi e selettivi degli ingressi”.
“Nessun riferimento, poi, il decreto – evidenzia ancora Perego – ha ai flussi via terra, che hanno gli stessi numeri e ai problemi connessi sulla tutela e la protezione dei migranti. Al fine di affrontare i problemi delle migrazioni dal Mediterraneo e della tutela dei richiedenti asilo il decreto non ha nessun valore aggiunto, anzi peggiora la situazione in ordine all’obbligo del salvataggio in mare dei migranti, alla loro tutela e protezione, generando insicurezza dei migranti in pericolo. Inoltre, il decreto indebolisce di fatto il principio costituzionale della sussidiarietà. L’articolo 118 applicato alla specifica situazione dell’azione delle navi della società civile dovrebbe vedere lo Stato favorire e non indebolire l’impegno a realizzare questo obbligo di salvataggio e di tutela dei migranti”.
Più chiari di così…