E’ un buon giorno per ricordare un giovane partigiano. Uno tra i tanti, per ricordarli tutti, oggi. Giuseppe Lopresti, romano, con la famiglia che era arrivata da Palmi, in Calabria. Sottotenente, elegante, silenzioso, aderì alla Resistenza.
Catturato, uscì dal silenzio che lo distingueva tra gli amici solo per assumersi ogni responsabilità delle accuse nazifasciste, scagionando i compagni. Poi rientrò nel suo silenzio; silenzio anche quando in via Tasso fu torturato. Ucciso a 25 anni alle Fosse Ardeatine con altri 334, fu medaglia d’oro alla memoria.
Prima della cattura, sapendo di dover morire, scrisse: “Questa notte il respiro si è fatto più faticoso, il battito del cuore più debole. Con uno sforzo sono riuscito ad alzarmi dal letto, ad avvicinarmi al tavolo e a sedermici davanti: il gatto, svegliato dai miei movimenti, ha stirato svogliatamente le zampe anteriori, incominciando a fare le fusa; …forse continuerà anche dopo. Prima di arrivare alla poltrona ho battuto contro lo spigolo del tavolo, ma non ho avvertito alcun dolore. Sono certo che non durerà molto, per questo ho ceduto all’impulso di venire a scrivere, scrivere per non dare un ultimo saluto alla vita, il che non m’interessa, bensì perché mi tormenta l’idea di scomparire completamente dal mondo: ho speranza che, facendo questo, riuscirò a far sopravvivere qualcosa di me, dopo che sarà accaduto ciò che irrimediabilmente deve accadere…”.
(da “Storia di un giovane partigiano taciturno” di Carmine Nastri)