di Agostino Forgione
A casa, purtroppo, ho un televisore che non supporta i nuovi standard di trasmissione. Per tale ragione sono rimasti ancora in chiaro, per lo più, solo quelli di Mediaset. Circostanza, quest’ultima, che ha ridotto notevolmente il ventaglio di talk che posso seguire. Ora, per quanto amante del surreale e adori sollazzarmi con i programmi di Del Debbio, Giordano e affini e dei tanti personaggi, al limite del fantasy, che sovente vi sono ospitati (c’è da dire che le redazioni sono davvero brave a stanarli), negli ultimi giorni mi sono trovato ad ascoltare affermazioni che probabilmente anche la fantasia di Tolkien avrebbe faticato a partorire.
Accade che Luca Trivellone, militante di Ultima Generazione, spesso ospite degli studi di Zona Bianca, si ritrovi faccia a faccia col sindaco di Firenze, Dario Nardella, dopo il gesto che ha visto un attivista del gruppo imbrattare Palazzo vecchio. E qui trasogno: «C’è una differenza tra inciviltà e disobbedienza civile: la disobbedienza civile non violenta è lo strumento che stiamo adottando per portare avanti la nostra richiesta di fermare i sussidi pubblici al fossile», afferma Trivellone per giustificare gli atti del collettivo che rappresenta. Un brivido corre lungo la schiena. “Ma questo lo sa cos’è la disobbedienza civile?”, mi chiedo.
Apro il dizionario della Treccani e cerco la voce, uno di noi due deve per forza sbagliarsi. Come immaginavo, non io.
Si definisce disobbedienza civile “il rifiuto da parte di un gruppo di cittadini organizzati di obbedire a una legge giudicata iniqua, attuato attraverso pubbliche manifestazioni”. Ma, allora, per cosa hanno protestato finora i confusi ragazzi di Ultima Generazione? Perché, a sentire ‘sto qua, pare che a non piacere agli attivisti sia il divieto di imbrattare il patrimonio culturale.
L’estasi egocentrica di Trivellone assume però tinte surreali quando si paragona alle suffragette, affermando che se ora le donne hanno il diritto di voto è anche grazie alle vetrine che hanno spaccato. Chiedo conferma a Ciccio, seduto accanto a me, che abbia davvero sentito ciò. Di nuovo, non mi sbaglio. “Poveri ragazzi, soffrono palesemente di un disturbo narcisistico, andrebbero aiutati”, commento. Disturbo di cui ho ulteriore conferma qualche giorno dopo quando, sempre dagli studi di Cologno Monzese, ascolto Tommaso affermare che “La consapevolezza sul tema è aumentata da quando ci siamo noi”. Scopro che oltre a essere degli attivisti questi ragazzi abbiano anche doti da sociologi e statisti. Vado a dormire.
Nel silenzio penso che, forse, la mia opinione sugli attivisti di Ultima Generazione sia troppo caustica. Provo a inquadrali meglio, più criticamente, cercando di non farmi influenzare dalle immagini degli scempi che compiono. Poi, nel buio della mia camera, l’illuminazione. Questi ragazzi sono un po’ come chi, andando al bar, viene infastidito dal tipo molesto del locale e passa una, passa due, passa tre, gli mette le mani in faccia. Avrebbe ragione? Apparentemente sì, se capitasse a me probabilmente sarebbe quella la mia reazione. Ma, di fatto, non sarebbe quanto di lecito in uno stato di diritto. La violenza non è mai giustificata e Ultima Generazione, proprio come lo sono state le frange estremiste delle suffragette, non rappresenta altro che un violento rigetto della società nei confronti di qualcosa di oggettivamente sbagliato, nella fattispecie delle politiche green non sufficientemente radicate. Ma, in ultima analisi, qualcosa di deprecabile.