La produzione e il consumo di abbigliamento fast fashion sembra non mostrare nessun segno di decremento o di stop, anzi continua ad aumentare a ritmi sempre più veloci. Tra il 2000 e il 2015 questo tipo di produzione è raddoppiata e si prevede un aumento del consumo di questi capi di abbigliamento del 63% entro il 2030. Questo significherebbe che passeremmo da 62 milioni di tonnellate attuali a 102 milioni di tonnellate di prodotti tessili. Un europeo in media acquista 26 chili di vestiti all’anno, di cui 11 chili sono scartati e cestinati solo dopo 7-8 utilizzi, mentre solo il 13% viene riciclato o riutilizzato.
A subire le conseguenze più pesanti di questo processo produttivo e consumo incontenibile che non è per niente sostenibile ed etico, è l’ambiente. Il conseguente consumo eccessivo di acqua e di energia e l’inquinamento del suolo hanno un forte impatto sull’ambiente. In risposta a questo grande problema ben argomentato nel report della Commissione Europea “Textiles and the environment in a circular economy: the role of design in Europe’s circular economy”, sono state adottate delle misure.
È stata creata Slow Fiber, una rete nata dall’incontro di Slow Food Italia e sedici aziende virtuose del tessile arredamento – Oscalito, L’opificio Serico, Quagliotti, Remmert, Pettinatura Di Verrone, Tintoria 2000, Angelo Vasino Spa, Olcese Ferrari, Tintoria Felli, Manifattura Tessile Di Nole, Holding Moda, Lane Cardate, Italfil, Pattern, Maglificio Maggia, Vitale Barberis Canonico. L’obiettivo di Slow Fiber è quello di passare alla produzione di capi di abbigliamento belli, puliti, durevoli, rispettosi nei confronti dell’ambiente e delle persone. Nella speranza di mettere fine al fast fashion, Slow Fiber opera nel raggiungimento dell’obiettivo che implica una produzione sostenibile.