Migranti, la vergogna di Malta, i desaparecidos di Lesbo: Mediterraneo e gli Stati canaglia

Malta ha coordinato per procura un criminale respingimento collettivo di 500 migranti verso le prigioni libiche". L'accusa arriva da Alarm Phone, Sea-Watch, Mediterranea Saving Humans ed Emergency.

Migranti, la vergogna di Malta, i desaparecidos di Lesbo: Mediterraneo e gli Stati canaglia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Maggio 2023 - 21.43


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“Malta ha coordinato per procura un criminale respingimento collettivo di 500 migranti verso le prigioni libiche”. L’accusa arriva da Alarm Phone, Sea-Watch, Mediterranea Saving Humans ed Emergency. Nel pomeriggio del 23 maggio scorso, è la ricostruzione delle ong, “la rete Alarm Phone è stata contattata da un gruppo di persone in pericolo, fuggite da Tobruk in Libia. Tra le circa 500 persone c’erano persone provenienti da Siria, Egitto, Bangladesh e Pakistan, oltre a 55 bambini e 45 donne. Il motore del peschereccio a doppio ponte aveva smesso di funzionare e l’imbarcazione era alla deriva”. L’imbarcazione era all’interno della zona di ricerca e soccorso maltese. Meno di un’ora dopo la prima chiamata delle persone in pericolo, Alarm Phone ha allertato i centri coordinamento del soccorso marittimo di Malta ed Italia, nonchè diverse navi della flotta civile, che erano operative al largo delle coste della Libia occidentale. 

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Le organizzazioni hanno quindi perso i contatti con il peschereccio. Il 26 maggio la scoperta: “le 500 persone non erano state soccorse! Al contrario, erano state trainate a rimorchio – per oltre 160 miglia nautiche, ovvero più 300 chilometri – fino al porto libico di Bengasi. Un respingimento illegale, una vera e propria deportazione, coordinata da Malta.  Secondo i parenti, le 500 persone sono state condotte in una prigione di Bengasi”. “Invece di soccorrere, e sbarcare in un luogo sicuro, le persone che hanno cercato di fuggire dalle violenze estreme che subiscono i migranti in Libia – proseguono le Ong – l’autorità di uno Stato membro dell’Unione Europea ha deciso di organizzare per procura un respingimento collettivo in mare, costringendo 500 persone ad attraversare oltre 300 km per arrivare in una prigione libica. Inoltre – aggiungono – essendo la sistematica omissione di assistenza in mare da parte di Malta, all’interno della zona Sar di propria competenza, nota da tempo, le autorità italiane avrebbero dovuto mobilitare i soccorsi per proteggere 500 vite e garantire il loro sbarco in un luogo sicuro”. 

Di seguito il comunicato congiunto con la  ricostruzione dettagliata. “Nel pomeriggio del 23 maggio 2023, la rete Alarm Phone è stata contattata da un gruppo di persone in pericolo, fuggite da Tobruk in Libia. Tra le circa 500 persone c’erano persone provenienti da Siria, Egitto, Bangladesh e Pakistan, oltre a 55 bambini e 45 donne. Il motore del peschereccio a doppio ponte aveva smesso di funzionare e l’imbarcazione era alla deriva. La posizione GPS che hanno condiviso li indicava a più di 30 miglia nautiche all’interno della zona di ricerca e soccorso (SAR) maltese, dove le Autorità di Malta hanno la responsabilità di coordinare le operazioni di soccorso. Meno di un’ora dopo la prima chiamata delle persone in pericolo, Alarm Phone ha allertato l’RCC di Malta e l’MRCC di Roma in Italia, così come diverse navi della flotta civile, che erano operative al largo delle coste della Libia occidentale.

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Nelle ore successive, la situazione delle 500 persone in pericolo è ulteriormente peggiorata: nell’imbarcazione entrava sempre più acqua e quelle che si trovavano sul ponte inferiore sono dovute fuggire sul ponte superiore, come hanno riferito ad Alarm Phone. Diverse navi mercantili sono transitate in lontananza e non si sono fermate a intervenire per soccorrere le persone in difficoltà. A un certo punto della notte tra il 23 e il 24 maggio, le persone a bordo hanno riferito ad Alarm Phone che una nave mercantile era quasi entrata in collisione con loro. Questi fatti dimostrano che RCC Malta non ha informato le navi presenti in zona della barca alla deriva, con 500 persone in pericolo.

Per tutta la notte, Alarm Phone è rimasta in continuo contatto con il gruppo. L’ultima volta che Alarm Phone è riuscita a parlare con le persone a bordo è stato alle ore 6:20 CEST del 24 maggio. Le persone hanno riferito una situazione invariata, con l’imbarcazione ancora alla deriva. L’autorità responsabile della zona di ricerca e soccorso maltese – RCC Malta – ha continuato a non rispondere alle richieste di aiuto. Alle 11:44 CEST, come indicato dal credito telefonico satellitare monitorato da Alarm Phone, i naufraghi hanno usato il loro telefono satellitare per effettuare un’ultima chiamata – ma non è chiaro a chi si siano rivolti. In seguito, né i parenti e gli amici delle persone a bordo che avevano contattato Alarm Phone, né Alarm Phone stessa sono stati in grado di riconnettersi con le persone in pericolo. Nelle ore successive, sempre più persone hanno iniziato a contattare Alarm Phone, chiedendo informazioni sulla sorte dei loro cari.

Alle 13:45 CEST l’aereo Seabird 2 della Sea-Watch è arrivato nell’area dell’ultima posizione nota e ha cercato la barca in difficoltà. L’equipaggio non è riuscito a individuare il grande peschereccio con circa 500 persone a bordo. Come è potuto scomparire nel nulla un gruppo così numeroso a bordo di un peschereccio?
Nella notte tra il 24 e il 25 maggio, la nave Life Support della ong Emergency, Ocean viking di Sos Mèditerranèe e Humanity 1 hanno raggiunto l’area e hanno iniziato a cercare l’imbarcazione scomparsa, proseguendo per tutto il giorno successivo. Nessuna nave militare governativa ha contribuito alle ricerche. Le autorità hanno invece mantenuto il silenzio sulla sorte del gruppo. Il 25 maggio, l’aereo Seabird 2 ha cercato nuovamente l’imbarcazione scomparsa, coprendo un’area di ricerca più ampia rispetto al giorno precedente. Nel frattempo, le capacità delle navi delle ong avrebbero potuto essere utilizzate per soccorrere vite umane altrove, invece di essere sprecate in una ricerca che si sapeva già essere inutile.

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Alarm Phone, Emergency, Sos Méditerranée e Humanity 1 hanno ripetutamente contattato le Autorità italiane e maltesi per chiedere informazioni sulla sorte dell’imbarcazione scomparsa. Il timore che le 500 persone potessero essere state intercettate e rimpatriate con la forza in Libia ha cominciato a crescere. Questi timori sono stati confermati la mattina del giorno successivo: le 500 persone non erano state soccorse! Al contrario, erano state trainate a rimorchio – per oltre 160 miglia nautiche, ovvero più 300 chilometri – fino al porto libico di Bengasi. Un respingimento illegale, una vera e propria deportazione, coordinata da RCC Malta. Secondo i parenti, le 500 persone sono state condotte in una prigione di Bengasi.


Invece di soccorrere, e sbarcare in un luogo sicuro, le persone che hanno cercato di fuggire dalle violenze estreme che subiscono i migranti in Libia, l’Autorità di uno Stato membro dell’Unione Europea – ovvero RCC Malta – ha deciso di organizzare per procura un respingimento collettivo in mare, costringendo 500 persone ad attraversare oltre 300 km per arrivare in una prigione libica. Inoltre, essendo la sistematica omissione di assistenza in mare da parte di Malta, all’interno della zona SAR di propria competenza, nota da tempo, le Autorità italiane avrebbero dovuto mobilitare i soccorsi per proteggere 500 vite e garantire il loro sbarco in un luogo sicuro.

Chiediamo risposte: Perché RCC Malta non ha coordinato il soccorso di questa imbarcazione in pericolo come autorità responsabile nella zona SAR maltese, organizzando invece un respingimento per procura? Perché le Forze Armate di Malta non sono state inviate immediatamente ad assistere l’imbarcazione in pericolo, mettendo così a rischio 500 vite? Perché RCC di Malta non ha ordinato a nessuna delle numerose navi mercantili presenti nelle vicinanze di assistere l’imbarcazione in pericolo? Consapevole delle politiche e delle prassi di Malta, di non prestare sistematicamente soccorso e, informato del caso di pericolo, perché il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano non ha inviato mezzi di soccorso adeguati per assistere l’imbarcazione in pericolo? L’aereo “Seagull” dell’operazione europea Eunavfor Med Irini volava nell’area dell’ultima posizione nota dell’imbarcazione in pericolo tra le 13:31 e le 14:12 CEST del 24 maggio, lo stesso momento in cui si è perso il contatto con le persone a bordo dell’imbarcazione alla deriva. Anche la nave militare tedesca “FGS Bonn” dell’operazione EUnavfor Med Iri si trovava a soli 100 km dall’imbarcazione in difficoltà. Perché non hanno soccorso le persone in pericolo? Qual è la vera identità dell’imbarcazione libica, e del suo equipaggio che ha effettuato il respingimento? L’equipaggio dell’imbarcazione che ha sequestrato il gruppo di persone in pericolo, sotto il coordinamento di RCC Malta, ha mentito alle persone dichiarando che le avrebbe soccorse e portate in Europa? Che ruolo ha avuto la nave Tareq Bin Zeyad (IMO 9889930), che è stata rintracciata in posizione 34°51 N – 019°46 E alle ore 6:10 CEST del 24 maggio, vicino alla barca alla deriva, e il cui tracciato è poco dopo scomparso? La Tareq Bin Zeyad è normalmente in servizio solo nell’area del porto di Bengasi. Questa nave prende il nome da una nota milizia libica che opera in quella zona ed è nota per aver commesso numerosi crimini di guerra e violazioni dei diritti umani fondamentali.

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Chiediamo: All’RCC maltese di adempiere ai suoi doveri di diritto marittimo internazionale e di assicurare che le persone in pericolo in mare siano soccorse con il successivo sbarco in un luogo sicuro in Europa; Agli attori statali europei, compresi i centri di coordinamento dei soccorsi e l’Eunavfor Med Irini, di condividere tutte le informazioni rilevanti sui casi di pericolo con gli attori civili per garantire che le persone in pericolo in mare siano soccorse senza alcun ritardo; Alle Autorità maltesi e italiane di comunicare in modo trasparente tutte le informazioni in loro possesso sia sull’imbarcazione in difficoltà, sia sull’unità non identificata che ha effettuato il respingimento illegale, sia sulla nave Tareq Bin Zeyad, e su quale sia stato il coinvolgimento degli RCC maltese e italiano nel respingimento forzato delle 500 persone in pericolo”.

 I desaparecidos di Lesbo

Ne scrive in un documentato report per Altreconomia Manuela Valsecchi: “Sull’isola greca di Lesbo le persone migranti “scompaiono”. A partire dallo scorso giugno mancano infatti all’appello circa 940 persone che sarebbero sbarcate sull’isola ma di cui poi si sono perse le tracce. A denunciarlo è Medici senza frontiere (Msf) che a Lesbo, come in altri luoghi della Grecia insulare e continentale, fornisce supporto medico e psicologico, riparo, acqua, servizi igienici e di soccorso a rifugiati e migranti. L’organizzazione da tempo manifesta le sue preoccupazioni per il continuo deterioramento delle condizioni di vita delle persone “accolte” a Lesbo, dove sono state registrate violenze, privazioni di cibo e riparo, a cui nel tempo si sono aggiunte quelle per i presunti rapimenti e respingimenti di cui anche una recente inchiesta del New York Times ha dato conto con un video che ha ripreso un gruppo di richiedenti asilo, tra cui dei bambini, scendere da un furgone e salire su un’imbarcazione della Guardia costiera che li avrebbe poi abbandonati su un gommone in mezzo al mare. I sospetti si sono rafforzati nel tempo: ogni volta che a Lesbo sbarcano delle persone che hanno bisogno di cure mediche, gli operatori di Msf e di altre organizzazioni attive sull’isola vengono allertati dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e “da quando, nel giugno 2022, abbiamo cominciato a fornire assistenza medica d’emergenza alle persone che arrivano via mare a Lesbo, non siamo riusciti a trovare circa 940 persone nei luoghi che ci erano stati segnalati -spiega Nihal Osman, coordinatore del progetto di Msf a Lesbo-. Quando veniamo avvisati di persone appena arrivate che hanno urgente bisogno di assistenza medica, passiamo ore, a volte giorni, a cercarle perché spesso si nascondono nelle foreste. Le persone ci hanno raccontato di aver incontrato uomini mascherati che si spacciavano per medici per ottenere la loro fiducia o, come recentemente riportato nell’articolo del New York Times, addirittura per membri del nostro staff. Se questo venisse confermato, si tratterebbe di un’inaccettabile e grave manipolazione degli aiuti umanitari”.

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A questo si aggiungono le testimonianze dei pazienti che hanno raccontato di essere stati intercettati in modo traumatico e respinti con la forza in mare durante i precedenti tentativi di raggiungere la Grecia e la stessa esperienza dello staff di Msf che in diverse occasioni ha visto nei dintorni dei luoghi degli interventi veicoli non identificati e senza targa, spesso guidati da individui con il volto coperto. Questa circostanza del tutto allarmante, che prefigura violazioni gravissime dei diritti umani, va di pari passo con altre crudeli tattiche di dissuasione che vengono praticate nei centri di “accoglienza” dell’isola, Mavrovouni e Megala Therma. A Mavrovouni, uno dei diversi Centri chiusi ad accesso controllato (Ccac) finanziati dall’Unione europea, sono state fatte entrare fino a 2.700 persone nel 2023. I Ccac sono stati presentati come migliorativi delle condizioni di vita dei migranti ma sono stati progettati per limitare fortemente i movimenti delle persone e tenerle rinchiuse in strutture più simili a prigioni. Il 17 maggio le autorità greche hanno smesso di fornire cibo a persone riconosciute come rifugiati e a chi era stata negata la protezione internazionale, annunciando l’intenzione di sfrattarli. Inoltre, ai bambini appartenenti a famiglie a cui è stata negata la protezione internazionale, viene tolto il numero di previdenza sociale, rendendoli non idonei a ricevere le vaccinazioni di base, violando così i loro diritti.

“È normale che siano aumentate le tensioni nel Centro -continua Osman di Msf-. I pazienti si lamentano delle umiliazioni subite stando in fila per ore per ricevere cibo le cui razioni sono state anche ridotte. Le autorità stanno usando il cibo come leva per costringere le persone a lasciare la struttura. Privare centinaia di persone dei loro diritti fondamentali, tra cui l’accesso al cibo e al riparo senza alternative, potrebbe avere gravi conseguenze sulla salute fisica e mentale delle persone”.

La situazione non è migliore nel campo di Megala Therma, sulla costa settentrionale di Lesbo, dove Msf fornisce assistenza sanitaria dal 2020. Precedentemente adibito a centro governativo per la quarantena da Covid-19, la struttura ora ospita le persone prima del loro trasferimento al Centro chiuso ad accesso controllato di Mavrovouni. Le persone che si trovano a Megala Therma non sono registrate e sono essenzialmente detenute arbitrariamente per giorni, in alcuni casi per più di due settimane, prima di essere trasferite al centro di Mavrovouni. Vengono sistemate in unità abitative sovraffollate e prive di letti: a volte 14 persone vengono stipate in un’unità che potrebbe ospitarne solo cinque.

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“Tutti, inclusi i bambini, sono alloggiati insieme, indipendentemente dalle loro vulnerabilità, senza tenere conto delle procedure di sicurezza e protezione -aggiunge l’operatore di Msf-. Inoltre, la struttura è isolata, il che rende notevolmente difficile l’accesso degli operatori sanitari per rispondere alle emergenze mediche. Noi ci andiamo due volte a settimana ma se si verificano emergenze mediche in qualsiasi altro giorno, non c’è nessuno sul posto per intervenire e un’ambulanza impiegherebbe più di un’ora per raggiungere il paziente. Il campo di Megala Therma è emblematico dell’approccio crudele e disfunzionale adottato nei Centri di accesso a controllo chiuso, sostenuti dagli Stati membri dell’Ue e finanziati dalla Commissione europea”.

In questo contesto è facile capire come l’assistenza umanitaria per i nuovi arrivati sia seriamente ridotta a causa dei timori di criminalizzazione e perché Msf sia ora l’unico attore indipendente a fornire aiuto ai migranti che arrivano a Lesbo. Per invertire la rotta, secondo l’organizzazione, le autorità greche e la Commissione europea dovrebbero intraprendere tre iniziative fondamentali: innanzitutto condurre un’indagine immediata sulle accuse di persone minacciate, rapite e maltrattate da soggetti mascherati non identificabili che stanno sistematicamente effettuando respingimenti e mettendo in pericolo la vita delle persone a terra e in mare. In secondo luogo, porre fine alla detenzione arbitraria dei nuovi arrivati non registrati a Megala Therma, garantendo loro un rapido accesso alle procedure di registrazione e di identificazione, condizioni di accoglienza dignitose e la vicinanza ai servizi di base; infine garantire un’assistenza medica tempestiva e di qualità, comprese le cure mediche di emergenza nelle strutture di accoglienza dedicate. Lo status giuridico delle persone non dovrebbe comportare l’esclusione da servizi essenziali come cibo, alloggio e assistenza sanitaria. L’accesso all’assistenza sanitaria, alla protezione e all’assistenza umanitaria deve essere garantito a tutti i nuovi arrivati in cerca di protezione in Grecia, in linea con la direttiva europea sull’accoglienza”.

Così stanno le cose nel Mediterraneo. Popolato di Stati “canaglia”.

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