Se fossero uno Stato sarebbe uno dei più popolati al mondo. Lo “Stato” dei migranti e rifugiati.
L’Onu fa sapere che nel 2022 sono stati 110 milioni i migranti nel mondo costretti a fuggire dalle loro case a causa di conflitti, avversità climatiche, persecuzioni o violazionidei diritti umani. Solo la guerra in Sudan ha provocato oltre due milioni di sfollati dal 12 aprile. Anche quella in Ucraina, da cui sono fuggite circa 11 milioni di persone, ha portato a una cifra record. Dalla Repubblica Democratica del Congo,dall’Etiopia e dallaBirmania sono fuggite oltre un milione di persone per Paese nel 2022. Numeri record che l’Unicef‘traduce’ in particolare per i bambini per i quali è stato raggiunto il numero mai toccato di 43,3 milioni di sfollati.
I più indifesi tra gli indifesi: i bambini
Il numero di bambine e bambini sfollati, costretti a lasciare le proprie case è raddoppiatonegli ultimi 10 anni, ostacolando gli sforzi per includere e proteggere i bambini sfollati all’interno dei Paesi. ‘Per oltre 10 anni, il numero di bambini costretti a lasciare le proprie case è cresciuto a un tasso allarmante e la nostra capacità globale di risposta rimane ancora sotto pressione”, ha osservato Catherine Russell,Direttore generale dell’Unicef. ”L’incremento è in linea con l’aumento consistente di conflitti, crisi e disastri climatici nel mondo, ma sottolinea anche la risposta non sufficiente di molti governi a garantire che ogni bambino rifugiato e sfollato interno possa continuare a studiare, crescere in salute e sviluppare il proprio pieno potenziale”.
L’Unicef stima che ad oggi siano oltre 940.000 i bambini sfollati a causa del conflitto. Inoltre, eventi climatici estremi, come le inondazioni in Pakistan e la siccità nel Cornod’Africa, sono stati causa di sfollamento per altri 12 milioni di bambini nel corso del 2022.
I bambini sfollati interni e rifugiati sono spesso fra i più vulnerabili. A molti è negato l’accesso all’istruzionee ai sistemi sanitari, non ricevono le vaccinazioni di routine e non possono accedere ai meccanismi di protezione sociale. Per molti bambini, la condizione di sfollamento si prolunga sempre più. La maggior parte dei bambini sfollati oggi vive l’intera infanzia in queste condizioni. Lo sfollamento causato dal clima si prevede aumenterà rapidamente in mancanza di azioni urgenti per mitigare il riscaldamento globale e preparare le comunità più esposte alla crisi climatica.
”È necessaria una maggiore volontà politica per affrontare le cause dello sfollamento e fornire soluzioni a lungo termine per bambine e bambini in movimento”, ha proseguito Russell. “Un numero record di bambini rifugiati, migranti e sfollati – una popolazione globale che eguaglia quella dell’Algeria, dell’Argentina o persino della Spagna – richiede una risposta adeguata. Abbiamo assistito a cambiamenti duraturi quando i governi investono adeguatamente nell’inclusione dei bambini e delle famiglie sfollate. Lavorando insieme, possiamo garantire loro sicurezza, accesso alla salute, istruzione e protezione”.
Le risorse economiche destinate agli interessi sul debito estero dai 14 Paesi a basso e medio reddito che ospitano circa la metà dei rifugiati del mondo, sarebbero sufficienti a garantire per quasi cinque anni l’istruzione di milioni di bambini rifugiati che sono invece spesso privati dell’opportunità più importante per costruire il loro futuro. Nel 2020, la spesa per gli interessi sul debito di Turchia, Giordania, Colombia, Pakistan, Uganda, Federazione Russa, Sudan, Perù, Bangladesh, Etiopia, Iran (Repubblica Islamica), Ciad, Ecuador e Repubblica Democratica del Congo ha raggiunto complessivamente 23 miliardi di dollari, e 4 di questi Paesi hanno speso di più per il debito che per l’istruzione.
Questo l’allarme lanciato da Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine e garantire loro un futuro, con il nuovo rapporto “Il Prezzo della Speranza” diffuso alla vigilia della Giornata Mondiale del Rifugiato. Come evidenziato nel rapporto, gli oneri del debito minacciano la capacità di questi Paesi di finanziare adeguatamente l’istruzione dei bambini rifugiati, una situazione destinata a peggiorare con l’aumento del numero di persone costrette a fuggire da violenze, conflitti, fame o emergenze climatiche, e con le prospettive economiche negative di alcuni dei Paesi più poveri tra quelli che li ospitano. Le più grandi crisi umanitarie durano sempre più a lungo, in media nove anni ad oggi, e le stime sul protrarsi delle situazioni che riguardano i rifugiati arrivano a 26 anni.
L’istruzione è una delle aree umanitarie meno finanziate, e nel 2021 ha ricevuto solo il 3,1% dei fondi umanitari globali, sufficienti appena per il 22% degli appelli di sostegno economico all’istruzione. In tutto il mondo, i bambini rifugiati sono concentrati in modo sproporzionato nei Paesi a basso e medio reddito, dove la povertà di apprendimento è già elevata e i sistemi educativi faticano a soddisfare le esigenze degli studenti. Il 70% dei bambini sotto i 10 anni che già vivono in questi paesi non sono in grado di leggere e comprendere un testo semplice, percentuale che sale 89% nei paesi dell’Africa Sub-Sahariana, che si stima ospitino 1/3 della popolazione rifugiata nel mondo. Più della metà di tutti i Paesi a basso reddito a livello globale sono attualmente in difficoltà o ad alto rischio di indebitamento, il che significa che i sistemi educativi già in difficoltà rischiano di peggiorare per un gran numero di bambini rifugiati. Siamo davanti al pericolo reale e presente che una generazione di bambini rifugiati venga privata dell’istruzione necessaria per ricostruire il proprio futuro, sottolinea Save the Children.
“Alcuni dei Paesi più poveri ospitano il maggior numero di rifugiati, e le loro prospettive economiche sono desolanti. Spesso i loro sistemi educativi sono sottofinanziati e non riescono a soddisfare le esigenze dei bambini più emarginati”, ha dichiarato Hollie Warren, responsabile educazione di Save the Children. “L’alleggerimento del debito è cruciale per rendere disponibili i fondi necessari per garantire l’accesso all’istruzione a tutti i bambini rifugiati. Ma più aspettiamo, più la situazione peggiorerà per loro”.
Sulla scia della pandemia Covid-19 del 2020, molti Paesi hanno dato priorità alla spesa per la salute e la protezione sociale rispetto all’educazione. I bilanci dell’istruzione nei Paesi che dipendono dagli aiuti allo sviluppo si trovano ora ad affrontare un’ulteriore compressione, poiché i donatori stanno dirottando sempre aiuti verso l’attenuazione delle conseguenze della guerra in Ucraina e di altre crisi, compresa la spesa per l’accoglienza dei rifugiati nei loro Paesi, a scapito del sostegno ai Paesi ospitanti a basso reddito.
A livello globale, i bambini rifugiati perdono in media tre o quattro anni di scuola a causa dello sfollamento forzato, e, nonostante i progressi nel numero di studenti rifugiati iscritti a scuola, il continuo aumento degli spostamenti dovuti a conflitti, crisi alimentare e cambiamenti climatici fa sì che circa la metà dei bambini rifugiati rimanga fuori dalla scuola. “Le mie sorelle vanno a scuola, ma io non ho potuto andarci a causa delle tasse scolastiche, e mia madre non ha i soldi per questo o per il materiale scolastico e l’uniforme”, ha detto Sebastian, che ha 16 anni e vive in Colombia dopo che la sua famiglia è fuggita dal Venezuela alla ricerca di una vita migliore, e che Save the Children sta aiutando, insieme ad altri bambini sfollati come lui, a recuperare il deficit scolastico e ad acquisire le competenze necessarie per costruire un futuro brillante. “Non vado a scuola da 4 anni, da quando ho lasciato il Venezuela e sono arrivato in Colombia. Per me andare a scuola è importante perché posso farmi degli amici e condividere la vita con loro, imparare, avere un insegnante da cui poter imparare e tutto questo mi aiuterà nel mio futuro ad andare avanti. Le mie speranze per il futuro sono: prima tornare a scuola e sedermi a un banco, e poi andare all’università per aiutare i ragazzi che hanno problemi ad andare a scuola. Il mio consiglio per tutti è di non perdere mai la fiducia. Ogni momento ha un inizio e una fine, e ogni ragazzo e ragazza potrà tornare a scuola e realizzare i propri sogni”.
L’integrazione dei bambini rifugiati nei sistemi educativi nazionali è il modo più efficace e sostenibile per soddisfare il loro bisogno di un’istruzione adeguata, di qualità e riconosciuta. Molti governi ospitanti hanno messo in atto le politiche necessarie per far sì che ciò avvenga. Tuttavia, senza un adeguato sostegno internazionale, i sistemi educativi, a cui mancano le risorse e sono già in affanno, non sono in grado di gestire un grande afflusso di studenti rifugiati e di rispondere alle loro specifiche esigenze.
“In questo momento, nel mondo, ci sono più bambini che sono stati costretti a sfollare che in qualsiasi altro momento della storia moderna. I Paesi ospitanti stanno rispondendo a questa crisi con generosità, aprendo i loro confini e i loro sistemi educativi a bambini estremamente vulnerabili ed emarginati che altrimenti non avrebbero nessun altro posto dove andare o dove imparare. Tuttavia, la comunità internazionale sta rispondendo all’emergenza dei rifugiati con crescente ostilità, anche riducendo i fondi per gli aiuti, lasciando che alcuni dei Paesi più poveri del mondo si assumano la responsabilità e il costo dell’istruzione dei bambini rifugiati stessi. Questi bambini hanno passato l’inferno fuggendo da conflitti, fame o crisi climatiche, e ora hanno urgente bisogno di stabilità e speranza per un futuro più luminoso” ha aggiunto Hollie Warren.
Save the Children chiede ai donatori e alla comunità internazionale di mobilitare i fondi necessari per far a fronte al costo annuale di 4,85 miliardi di dollari per fornire istruzione ai rifugiati e rafforzare i sistemi educativi nei Paesi a basso e medio reddito.
L’Organizzazione, chiede inoltre che tutti i bambini rifugiati abbiano accesso ai sistemi educativi nazionali dei Paesi in cui risiedono o, dove non sia possibile, almeno all’istruzione non formale accreditata. Un ulteriore richiesta riguarda i donatori e i partner internazionali per lo sviluppo, perché operino una tempestiva riduzione del debito per i Paesi i cui oneri minacciano la loro capacità di investire adeguatamente nell’istruzione. I meccanismi di riduzione del debito dovrebbero essere trasparenti, includere tutti i creditori, compreso il settore privato, e rispondere ai timori di declassamento del rating del credito per le nazioni debitrici che chiedono la riduzione.
Il diritto ad avere diritti.
Preoccupati per il diritto di asilo e per i diritti generali. Nei giorni di «lutto, voluto come nazionale, è ancora più stridente il fatto che ci sono vite che contano, con molti privilegi, e che fermano un Paese, e vite che non contano, che non hanno diritto ad avere diritti, che finiscono nel disinteresse di tutti lungo le rotte della libertà in mare o per terra, come quelle persone che hanno perso la vita nel naufragio nell’Egeo»: padre Camillo Ripamonti, il 15 giugno, apre l’appuntamento voluto dal Centro Astalli, in Gregoriana, per la Giornata del rifugiato 2023, parlando dell’ecatombe appena consumata dinanzi alla Grecia, che, a detta dei sopravvissuti, ha portato sul fondo del Mediterraneo un carico di centinaia e centinaia di persone.
Ma il presidente di Astalli parla anche degli altri naufragi, compreso quello del diritto all’asilo, di cui secondo la Costituzione dovrebbe godere “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”. Invece «la Ue immola vittime innocenti alla difesa dei confini. Dietro la propaganda securitaria c’è solo la volontà di azzerare i soccorsi e far accordi con dittatori per imprigionare chi parte. Preoccupazione dei governi è rendere più difficile il diritto di asilo», dice padre Ripamonti. Per questo il tema è più grande, come recita il titolo dell’incontro, “Rifugiati. In gioco il futuro dei diritti”.
La missione dell’Europa
«Questa tragedia ci dice che non stiamo rispettando la prima missione dell’Europa, che è essere spazio di libertà, democrazia e soccorso a chi è in difficoltà», dice il giornalista Marco Damilano. «L’Europa è diventata una somma di egoismi, di rapporti di forza. Ed emergenza è parola senza senso per le migrazioni, come per tutte le altre grandi questioni del nostro tempo». Il pomeriggio si apre, come nella tradizione di Astalli, con le voci dei protagonisti. Yenmery Coronado, 50 anni, venezuelana, insegnante, racconta la fuga per scappare da un paese ridotto allo stremo, dove ogni manifestazione di dissenso viene repressa con violenza. «Mio marito era un dirigente sindacale, è stato picchiato più volte in strada. Le forze militari ci cercavano. Eravamo terrorizzati». A Sakineh Hosseini, afghana, presta la voce la figlia Fatima. «Nel 2001 ero stata eletta rappresentante del popolo nella Loya Jirga, la grande assemblea del popolo afghano. Sono stata rappresentante del Consiglio provinciale di Herat, membro del comitato per la prevenzione della violenza contro le donne, volontaria del Comitato dei Difensori dei Diritti Umani e fondatrice del Complesso Sociale Culturale delle Donne Shegofa». Un impegno politico che, con il ritorno dei Talebani, ha significato rischio per la vita: «Sono stata umiliata, minacciata e aggredita molte volte. Una sera hanno lanciato granate contro la mia casa e hanno cercato di rapirmi». Sakineh e la sua famiglia si sono salvati grazie all’evacuazione organizzata dal governo italiano. «Oggi mi sento molto fortunata a essere viva insieme alle persone che amo. Ogni giorno penso alla mia terra e alle tante donne che sono rimaste in Afghanistan. Ero un punto di riferimento per loro e il pensiero di non poterle aiutare mi logora ogni notte e non mi fa dormire. Sogno un giorno di tornare in Afghanistan per poter ridare speranza a una terra senza pace».
L’indifferenza che rende ciechi
Sono le parole di quegli invisibili, di quelle storie dimenticate a cui papa Francesco ha voluto dare voce in tanti messaggi. Lo ricorda il cardinale José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede. Dieci anni fa, la visita del Papa a Lampedusa, «a una frontiera contemporanea, invisibile agli occhi di tanti, senza volto, svuotata di una storia» ha sollevato «il velo dell’indifferenza che ci impedisce di vedere gli altri. Non vedere e non reagire davanti a un dramma, a un genocidio, è qualcosa di mostruoso. Siamo corresponsabili di tutte queste stragi umane». «Costruire ospitalità invece di ostile insensibilità» è il grido che da dieci anni continua a risuonare. Come nel messaggio della pace del 2018, in cui è «contemplativo» lo sguardo che si posa sui rifugiati: «Il Papa li guarda come una risorsa, non solo vittime o problema, ma maestri di umanità. Occorre lavorare sulla cittadinanza culturale». La chiusura, conclude il prelato, «è una dichiarazione di morte per noi stessi».
Il diritto a diventare ciò che si è
«Siamo tutti figli di migranti e dovremmo ricordarlo nel momento in cui si varano dei provvedimenti che sono una vergogna in termini di accoglienza», ricorda lo scrittore Paolo Rumiz, in un videomessaggio. «Se l’Europa non mette più Europa nel suo atlantismo saremo spazzati via dal vento della storia». A prescindere da dove si è nati,