Alcuni giorni fa Papa Francesco ha parlato di una «matematica di Dio», e del fatto che non la si accetta facilmente perché ha una logica diversa da quella ordinaria, comune, quella che usiamo normalmente. Insomma, quella che afferma che 2×2 fa sempre 4.
Il Pontefice non sta affatto criticando la matematica, né sovvertendo i principi della ragione. Sta affermando però che ci sono esperienze nella nostra vita che non corrispondono a criteri rigidi, standard, sempre uguali a sé stessi.
Per esempio: l’amore non è un calcolo algebrico; l’arte non è un sillogismo; il senso della vita non è un teorema.
Se riflettiamo sulla nostra vita, la rigorosa logica matematica non è adatta a descrivere le nostre esperienze più importanti. Il grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij scrive in Memorie dal sottosuolo che non è detto che «due-per-due-fa-quattro», ma potrebbe essere anche «due-per-due-fa-cinque». Infatti, «il due per due quattro non è più vita, signori, bensì il principio della morte», si legge nel romanzo.
Dunque: il pensiero che si basa sul calcolo, non riesce ad «afferrare» la vita e le sue contraddizioni concrete.
Anche nel Vangelo i conti non tornano mai. Dal vignaiolo che dà la stessa paga all’operaio della prima e dell’ultima ora, alla richiesta di perdonare settanta volte sette, la moltiplicazione dei pani e dei pesci che va oltre ogni logica. Il Vangelo non sa far di conto.
Questo è il criterio pastorale fondamentale di Francesco. Non agisce rispondendo a idee o ideologie o teorie politiche, ma alla vita vissuta, all’esperienza concreta, alle esigenze della storia.
Questo è il motivo per cui la «matematica di Dio» è il suo modo di leggere le storie personali, i fatti, e anche di comprendere le tensioni del nostro mondo spaccato. Francesco lo chiama «pensiero incompleto» o «pensiero aperto». E oggi ne abbiamo più che mai bisogno.
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