Cattolici e politica in Italia: prospettive per una nuova speranza solidaristica

Quella dell’azione politica è senza dubbio una delle modalità importanti di presenza dei cristiani nella società.

Cattolici e politica in Italia: prospettive per una nuova speranza solidaristica
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20 Aprile 2024 - 00.43


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di Antonio Salvati

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La presenza attiva dei cattolici nella vita della società si declina in molti modi e con diverse posture a seconda delle diverse scelte. Quella dell’azione politica è senza dubbio una delle modalità importanti di presenza dei cristiani nella società. In ogni epoca storica i cattolici hanno scelto il modo in cui essere partecipi della vita con gli uomini e le donne del loro tempo. E oggi, in Italia certamente ma non solo, è da auspicare.

Frequentemente si è discusso, soprattutto dopo la fine della DC, sull’impegno dei cattolici in politica. Tanti approfondimenti, esperienze e contributi per individuare le difficoltà dell’impegno nell’attuale contesto politico e per individuare un percorso di impegno condiviso. Certamente tale impegno è da promuovere in ogni modo. Giuliano Amato – che in passato ha attribuito ai cristiani “un marcia in più” – ha recentemente ribadito che in un Paese in cui c’è una religione cristiana, quella religione ha «una speciale responsabilità nell’impostare nella chiave giusta il rapporto politico e quindi lo spirito che deve prevalere nella vita pubblica. È inutile altrimenti gloriarsi del fatto che la cristianità non ha il Dio lontano delle altre religioni, ma ha il Dio fatto uomo, Cristo, di cui tutti sono orgogliosi e da cui tutti sono resi buoni».

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Papa Francesco, che a differenza dei suoi predecessori interviene poco nei dibattiti politici in Italia, più volte ha chiesto ai cattolici italiani che il loro impegno si traduca anche sul piano politico per portare un apporto proprio. Nell’enciclica Fratelli tutti porta avanti l’idea di purificare la politica, nel senso di liberarsi dal giogo dei poteri forti dell’economia, la quale, a sua volta, deve liberarsi dal mito dell’efficientismo, che non è l’unico valore e tanto meno il più alto per il consorzio umano. Di fronte all’assenza di una visione di sviluppo del Paese – che è uno degli aspetti più preoccupanti dell’inaridimento della politica – dobbiamo auspicare, avverte Vincenzo Paglia, una nuova stagione per l’impegno politico dei cattolici. Ormai sono in molti a vederne non solo l’opportunità ma anche l’urgenza.

Nel 2022, Matteo Zuppi, evocando papa Benedetto e papa Francesco, parlò significativamente dei cattolici come «minoranza creativa, che deve saper parlare con tutti, senza che questo comporti l’essere d’accordo con tutti. Si può essere avversari ma non “nemici”».

Ma l’avversario per tutti deve essere «una politica senza visione, fatta per i propri interessi, come occupazione del potere». Quanto alla strategia dell’impegno cristiano, la premessa necessaria, per Zuppi, «è essere cristiani. Può sembrare un po’ banale. (…) Riscoprire la bellezza dell’essere cristiani, fare del Vangelo un qualcosa che entra nella vita delle persone, con l’impegno e l’amore politico».

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Tuttavia, occorre considerare che la crisi della politica è assieme causa e conseguenza di un indebolimento generale dell’intera società italiana, Chiesa compresa. In tal senso, urge un sussulto di intelligenza creativa da parte di tutte le realtà sociali del Paese, culturali, economiche, sociali, imprenditoriali, sindacali e anche religiose. Il cattolicesimo stesso deve trovare un nuovo slancio per la sua vitalità interna e la efficacia della missione.

Non a caso, ha fatto molto riflettere il volume di Andrea Riccardi, La Chiesa brucia?, sulla condizione del cattolicesimo contemporaneo. E non è utile continuare a interrogarsi sulla Chiesa restando all’interno di questioni tutte interne a essa. Per questo non è saggio – afferma Paglia – «pensare a una nuova vitalità della Chiesa estraendola dalla storia, dalla cultura, dalla condizione della società nella quale siamo immersi. Sarebbe (…) come isolare Gesù e i discepoli dalla folla. Bisogna invece essere consapevoli che il Vangelo è già di per sé interno al mondo e viceversa. Gesù e i discepoli non sono pensabili al di fuori della folla. Il Vangelo è universale per sua natura. Va solo accolto e lasciato operare. Non ha bisogno di protezioni esterne per esplicitare la sua potenza di trasformazione della storia. Aver perso i privilegi che la Chiesa aveva in tempo di cristianità, potrebbe apparire una sconfitta. In realtà, è una condizione opportuna per vivere una nuova primavera, libera dai pesi che l’hanno a tal punto condizionata da farle perdere slancio evangelico».

L’analisi di Ratzinger circa la nuova condizione di minoranza della Chiesa nella società contemporanea, formulata per la prima volta negli anni sessanta, fu acuta. Ma non per fermarsi alla condizione di minoranza. Ratzinger esortava a non vivere questo tempo di minoranza con un triste e rassegnato pessimismo. Al contrario, esortava la Chiesa a trovare un nuovo slancio. Non tanto nell’organizzazione, quanto nell’elaborazione di una nuova visione, di presentare una nuova profezia.

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Una riflessione in sintonia e in continuità con Papa Francesco che chiede una “Chiesa in uscita”. C’è bisogno di interpretare, anche teologicamente, la congiuntura attuale, in cui si mescolano la pressione per uscire – sottolinea Paglia – «dalla tradizionale comfort-zone e l’aggressione nei confronti della semplice appartenenza al popolo dei testimoni». Certo, tutto ciò non è semplice.

L’anniversario del Codice di Camaldoli – redatto nel 1943 e che contribuì alla nascita della Democrazia Cristiana – si è rivelato una occasione opportuna perché i cattolici (ma non solo) riflettano sul futuro del nostro Paese nel nuovo contesto storico. Il testo di Camaldoli condensava la visione che i cattolici proponevano alla società italiana per la ricostruzione del Paese. Non pochi credono che sia giunto il momento opportuno perché i cattolici elaborino prospettive politiche che possano coinvolgere anche altri – gli autori del Codice di Camaldoli tennero presenti interlocutori di diversa provenienza – per delineare assieme la visione di un Paese che doveva essere per tutti. Anche perché in Italia i cattolici restano un punto di forza nella tessitura del Paese: basti pensare alla ricchissima rete del volontariato e non solo. Ma, di fronte alle nuove sfide, va decisamente avviata una presenza più attenta e creativa dei cattolici anche nella vita della politica.

Si potrebbe obiettare che il numero di cattolici tra i parlamentari membri dei governi nazionali e locali è attualmente tra il 70 e l’80 per cento. Quindi non è che non ci sono, è che forse non si comportano come dovrebbero. Ecco perché occorre chiedere un impegno diretto a una componente della società italiana che forse in politica già c’è, ma – sottolinea giustamente Amato – «che si sente forse più vincolata a non farlo risultare che non a farlo valere. Abbiamo conosciuto nei decenni passati uomini politici che ogni giorno portavano il loro essere cattolici nella loro esperienza politica. Moro e La Pira sono stati sempre cattolici in tutte le scelte che hanno fatto. Dossetti finché è stato in politica. Ora il paradosso è che, a meno che non si parli di interruzione della gravidanza o di fine vita, l’essere cattolici di molti dei nostri politici non emerge. E non è bene che non emerga. Perché quell’esserlo, cattolici, dovrebbe – osserva Amato – «portare la loro propensione alla solidarietà piuttosto che all’egoismo in qualunque tema. Uno, se è un cattolico che crede nelle proprie idee, non può andar dietro a chi alza barriere contro gli immigrati. E se la politica vuole approfittare delle difficoltà burocratiche per pagare le tasse allo scopo di creare dei congegni per non farle pagare più, ebbene anche questo è contro il solidarismo e contro gli altri».

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C’è bisogno di uno spirito “generativo” che faccia esistere ciò che ancora non c’è, ipotizzando nuove forme organizzative e istituzionali. E questo non è possibile senza un più vitale rapporto con la gente, in particolare la più povera. In questo senso è interessante ed incoraggiante l’apporto della formazione politica di Demos (guidata da Paolo Ciani e Mario Giro), con qualche significativo exploit elettorale, come quello – nell’ultimo turno delle elezioni europee – di Pietro Bartolo, il medico dei migranti, con 135 mila preferenze. Certo non possiamo rassegnarci all’attuale situazione fotografata efficacemente da Giuseppe De Rita: «Il mondo cattolico italiano si è autoinflitto, nell’ultimo trentennio, una duplice avvilente illusione: quella di poter essere il lievito che entra nella pasta dei vari partiti per condizionarne, almeno in parte, i programmi; e quella di poter esercitare con successo il potere come influenza, prescindendo dal potere come potenza. Davvero pie illusioni». Presenti dovunque, ma dovunque irrilevanti. Non possiamo comunque restare inerti o, peggio, vivere come sonnambuli, come il recente rapporto del Censis definisce gli italiani. È indispensabile una nuova creatività almeno sul piano della cultura politica.

Come avviare una presenza più attenta e creativa dei cattolici anche nella vita della politica? Certo senza rappattumare nostalgie vetero-centriste, direbbe Vincenzo Paglia che, aggiunge, va promossa invece «una speranza collettiva, in cui molti si ritrovino, anche coloro che credenti non sono; una speranza che non sia un generico ottimismo emotivo; piuttosto sia frutto di un impegno che fermenti la storia in senso solidaristico; una speranza che non si riduca a un fideismo fondamentalista, ma costruita e vissuta partendo da una comune valutazione dell’esistente». E «la speranza», diceva Vaclav Havel, «non è per nulla uguale all’ottimismo. Non è la convinzione che una cosa andrà a finire bene, ma la certezza che quella cosa ha un senso, indipendentemente da come andrà a finire».

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