Per fare il bene dei piccoli, dei poveri e degli indifesi bisogna liberarsi di invidia e ipocrisia

Quando si è al servizio degli altri, specie dei piccoli e indifesi, non si può assolutamente barare. O si serve loro, autenticamente e fattivamente, o si serve se stessi, abusando degli  altri.

Per fare il bene dei piccoli, dei poveri e degli indifesi bisogna liberarsi di invidia e ipocrisia
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Rocco D'Ambrosio Modifica articolo

28 Settembre 2024 - 17.09


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Il Vangelo odierno: In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue»
(Mc 9, 38-48 – XXVI TO/B).

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Potrebbe suonare strano ad alcuni ma l’invidia è uno dei fattori più distruttivi di famiglie, gruppi e istituzioni; se non è il primo è certamente, in tutti i contesti, tra i primi. Del resto il primo omicidio (Caino e Abele, Gen 4). L’invidia è una brutta bestia: distrugge persone, famiglie, gruppi e istituzioni più di quanto si creda. Inizia con questa “bestia” il brano odierno. Gesù stoppa Giovanni e gli altri: il bene ha un’unica fonte, che è Dio; chi lo fa è con Lui e con tutti quelli che lo fanno. Senza invidia, senza competizione, senza abusi, senza esclusioni, senza ipocrisia, bisogna riconoscere l’opera di Dio ovunque questa prende forma. Il brano tuttavia sembra continuare su altri temi: la ricompensa ai discepoli, lo scandalo verso i piccoli, il salvarsi da ogni occasione di scandali. Ma forse un filo che lega i vari temi c’è. 

Il tema dello scandalo irrompe nel discorso di Gesù  con una forza determinante: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare”. Non ci sono mezzi termini, non c’è nessuna mediazione. Dobbiamo sforzarci sempre di capire il perché di questa rigidità massima di Gesù, molto simile a quella dimostrata con scribi e dottori della legge (cf. Lc 11). Ciò va applicato prima di tutto ai peccati più gravi: pedofilia, corruzione, carrierismo, clericalismo, simonia, abusi di potere, razzismo e omofobia, discriminazioni: bestie molto spesso presenti in diocesi, parrocchie e gruppi; più o meno come nel mondo intero.

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Certo non possiamo investigare sulle motivazioni profonde di Gesù nel proferire queste condanne. Possiamo solo interrogare il testo e abbozzare una risposta. Perché tanta durezza? Quando si è al servizio degli altri, specie dei piccoli e indifesi, non si può assolutamente barare. O si serve loro, autenticamente e fattivamente, o si serve se stessi, abusando degli  altri. Ma se si serve stessi, si usano gli altri facendo loro un danno enorme. Quindi nessuna intransigenza verso queste nefandezze; in primis verso i bambini.

Del resto, la stessa logica è usata da Gesù per quanto riguarda il rapporto con se stessi: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala… Se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo… E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via”. Come molti commentatori hanno precisato: non è un invito a mutilare i nostri corpi ma solo a essere intransigenti non solo con gli altri, ma soprattutto con noi stessi.

E quindi dobbiamo fare il bene nostro, degli altri, soprattutto dei piccoli, dei poveri e degli indifesi. Senza invidia, senza competizione, senza abusi, senza esclusioni, senza ipocrisia. E facendo solo e solamente il bene, capiremo meglio quando e perché Gesù diventa intransigente. E capiremo anche meglio quanto è bello fare il bene così: senza invidia, senza competizione, senza abusi, senza esclusioni, senza ipocrisia. Di queste vergogne – ovviamente parlo di cose gravi e non di piccole e quotidiane debolezze che tutti abbiamo – ce ne sono già tante nel mondo e ritrovarle anche nella Chiesa cattolica, non solo fa molto ribrezzo, ma mette a dura prova la fede di molti. 

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Questi ipocriti che nascondono in ogni modo le loro nefandezze e hanno il coraggio di presentarsi come (falsi) santerelli, stucchevoli e insopportabili, ce ne sono diversi, tra vescovi, preti, religiose e fedeli laici. Li ha descritti bene Georges Bernanos: “Non smetterò mai di ripetere a questi ipocriti, i quali hanno in bocca soltanto la parola “prestigio”, che la verità non ha bisogno di prestigio; sono piuttosto loro che provano questo bisogno, che hanno questa smania, questo prurito; ma essi non hanno il diritto di soddisfarlo a spese della verità.

È burlarsi amaramente della povera gente parlare da incorruttibili censori ad avverarsi sospettati di tutti i mali di cui soffre la società moderna, e rispondere a coloro che t’interrogano sui tuoi errori: “Sciagurato! Se dicessimo la verità su noi stessi rischieremmo di non poterla dire più agli altri, noi mentiamo dunque nell’interesse della verità stessa. Cosicché più siamo severi con gli altri; più è necessario mostrare indulgenza verso le nostre proprie persone”.

Buffoni! […].

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Mi aspetto soltanto che i giovani cristiani francesi facciano, tra loro, una volta per sempre, il giuramento di non mentire mai, nemmeno e soprattutto all’avversario, di non mai mentire, di non mentire con nessun pretesto e meno ancora, possibilmente, con il pretesto di servire prestigi che sono d’altronde compromessi soltanto con la menzogna.

Siamo infatti a questo punto. Non basta più dire “cristiano”. Bisogna dire “cristiano che non mente”, neppure per omissione, cristiano che dà la verità integralmente, che non la dà mutilata.

Che questa seconda cavalleria cominci col salvare l’onore. E poiché la parola stessa ha perso il suo significato, che salvi l’onore dell’Onore. […].

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Chiunque è capace di sacrificare la verità agli interessi o al prestigio del credo dei fedeli – cioè di “mentire per il buon motivo” – è un clericale… Un eroe, o un martire, è anzitutto un uomo che non mente…” (Scandale de la vérité, 1939).

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