Quando l'onore uccide

Donne palestinesi, tra oppressione maschile e ferocia israeliana. Ayah al-Baradiyya, 20 anni, è stata uccisa per "onore" dallo zio.

Quando l'onore uccide
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1 Giugno 2011 - 12.13


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di Kawter Salaam

Il 6 maggio 2011, il corpo di Ayah al-Baradiyya, 20 anni, palestinese, studentessa di letteratura inglese al terzo anno alla Hebron University, una ragazza nobile di spirito, libera, attivista per la democrazia, è stato trovato abbandonato in un pozzo in cima ad una collina della città di Surif, a soli tre chilometri da casa.

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Surif è una bella cittadina che si estende sulle pendici delle colline a nord-ovest della città di Hebron. Ayah era scomparsa il 20 aprile 2010, e la famiglia aveva informato la polizia tre ore dopo il suo mancato rientro a casa.

In Palestina, uccidere le donne per tutelare l ‘”onore” della famiglia è legale. E’ una delle leggi giordane, fortemente discriminatorie tra uomini e donne, che sono un crimine contro tutte le donne. In Cisgiordania e a Gaza, non ci sono leggi che contro questi delitti, a protezione delle donne, e punizione degli assassini. Sia le leggi egiziane che sono in uso a Gaza che le leggi giordane applicate in Cisgiordania proteggono gli assassini delle donne; “l’Onore” è la giustificazione per questi omicidi e per la protezione degli assassini, un modo per mantenere il potere nelle mani degli uomini ed escluderne le donne. Il femminicidio per “onore” viene utilizzato come chiara minaccia nei confronti di tutte le donne che cercano parità di diritti con gli uomini.

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La ricerca di Ayah era continuata per 13 mesi. Alla fine, la polizia palestinese, con l’aiuto di un volontario, aveva trovato un corpo decomposto all’interno di un pozzo nel territorio della città dove la ragazza risiedeva. Ramadan Awad, “Abu Issa”, capo della polizia di Hebron, ha dato l’annuncio del ritrovamento di Ayah con molta tristezza, ed ha fornito sull’omicidio tutti i dettagli che gli sono stati richiesti. “Dal momento della scomparsa abbiamo infiltrati agenti in borghese tra gli abitanti di Surif al fine di raccogliere informazioni utili, sia sulle circostanze della scomparsa che sui suoi rapporti con tutti, compresi familiari, parenti e amici. La nostra prima impressione è stata che Ayah non era scomparsa, ma era stata assassinata per “onore”.

Ramadan Awad ha dichiarato che i criminali che assassinato Ayah, Ayman Abu Saleh, Nasser Al-Ghour e lo zio Iqab Al-Baradiyya, 37 anni, sono elementi di Hamas, figure religiose, disturbati dalle attività di Ayah alla Hebron University. La ragazza era impegnata sulla distinzione tra l’intolleranza religiosa e radicalismo, tra l’impegno civico e i principi della religione islamica che sono contro l’estremismo, e ne discuteva spesso con gli altri studenti per aiutarli a comprendere. L’attivismo di Ayah aveva portato ad una forte perdita di seguaci del movimento islamico all’Università di Hebron. “E’ questo che ha causato la rabbia delle figure religiose contro di lei, e la sentenza di morte nei suoi confronti”, ha spiegato il colonnello Awad. Aggiungendo che ” sono 23, le donne palestinesi uccise per ” onore ” dall’inizio del 2011, 9 di esse sono di Hebron”.

“È giunto il momento di rompere il silenzio su questo crimine e di porvi fine”, mi ha detto successivamente, nel corso di un’intervista. “Basta con gli assassini delle donne, basta con le sepolte vive. Non si può tornare indietro, ai tempi dell’ignoranza. Siamo nel ventunesimo secolo, e siamo tutti figli di donne”.

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Awad mi ha spiegato che le donne “sono abbattute come pecore” dai loro familiari per motivi banali, ed ha aggiunto che è dovere di ogni donna colta e responsabilità delle organizzazioni femminili affrontare questo stato di cose, e chiederne la fine.

L’improvvisa scomparsa di Ayah aveva causato grande sofferenza nei suoi genitori, specialmente la parte più debole della famiglia, la madre Fatimah, che ha dovuto abbandonare la casa familiare a causa delle dicerie vergognose diffuse in città. Lo zio di Ayah, che poi si è scoperto essere stato il suo assassino, aveva diffuso la voce che la nipote lo aveva informato con una telefonata di aver deciso di scappare di casa “per andare a vivere come voleva”. Nelle società arabe, le donne possono lasciare la casa della famiglia solo quando si sposano; prima, non possono andare a vivere da sole. La madre di Ayah non poteva uscire di casa, mostrare la faccia ai vicini, dopo l’inspiegabile scomparsa della ragazza, ed ha dovuto lasciare la casa.

In Medio Oriente, che la famiglia di un uomo vada a casa della donna per chiedere ai suoi genitori l’autorizzazione al matrimonio, fa parte della tradizione. Di solito ci vogliono alcuni giorni fino per avere una risposta, e durante questo breve periodo, la famiglia della sposa assume la responsabilità di chiedere informazioni sul futuro sposo. Chi è? Chi è la sua famiglia? Ha un lavoro, va a pregare? E così via… Secondo il costume, tutti i membri maschi della famiglia della sposa hanno il diritto di prendere parte alla decisione finale sul matrimonio, anche se non sono adulti.

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Il padre di Ayah ha ritardato la sua risposta alla famiglia del ragazzo che, da parte sua, ha inviato personalità importanti di Hebron, pregandolo di rispondere alla richiesta per la mano della figlia. Ma il padre, che prima aveva dato una risposta affermativa, subito dopo si è rimangiato le sue parole, rifutando il matrimonio. E’ venuto fuori che il futuro sposo era un militante di Fatah, mentre il fratello e zio di Ayah di Hamas. Questa differenza politica è stata la causa che ha portato alla morte la bella e intelligente Ayah.

Infelice per la decisione del padre, Ayah aveva promesso al collega che non avrebbe sposato nessun’altro tranne lui, sollecitandolo ad insistere. Il fratello, che aveva ascoltato la sua conversazione telefonica, prima l’ha picchiata senza pietà, poi è andato dallo zio chiedendogli di aiutarlo a punirla. Lo zio paterno di Ayah ha chiamato il giovane dicendogli che il problema era in via di soluzione, mentre già pensava di buttare giù dal pozzo la nipote. Ayah è quindi scomparsa.

Il colonnello Awad ha raccontato che “Ibrahim Al-Baradiyya e sua moglie (i genitori) hanno presentato una denuncia per la scomparsa della loro figlia, uscita per andare all’Università martedi mattina, 20 aprile 2010, e non più tornata a casa.

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“Lo scorso venerdì 6 maggio 2011 abbiamo ricevuto informazioni su un corpo morto trovato in fondo ad un pozzo in Khallet Abu Sulaiman vicino al villaggio di Surif.

“In fondo al pozzo abbiamo trovato gli abiti di Ayah e la borsetta con i documenti di identità, una foto del fratello che studia in Ucraina, la tessera universitaria con la sua foto, e una foto del fratello minore. Il pubblico ministero ha confermato che il corpo apparteneva alla ragazza scomparsa. Abbiamo arrestato i sospetti, tra cui lo zio, che ha confessato il crimine meno di tre ore dopo l’arresto, dando ulteriori informazioni sul crimine.”.

“Sono andato all’università insieme con Ayman Abu Saleh e Nasser Al-Ghour – ha raccontato Iqab (nome che significa “punizione”) -, ed ho chiesto ad Ayah a guidare la mia auto. Lei ha prima rifiutato, ma quando le ho detto che avevo una buona notizia per lei, ha pensato che avevo convinto il padre ad approvare il suo matrimonio ed è venuta con noi. L’abbiamo colpita in macchina e poi l’abbiamo infilata in uno scatolone.

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Lei urlava, ma noi abbiamo usato una bomboletta spray di gas per farla tacere. E’ rimasta in stato di incoscienza sin quando siamo arrivati alla zona dove si trova il pozzo. Qui, l’abbiamo tirata fuori dallo scatoline e l’abbiamo legata con le corde. Lei si è svegliata qualche minuto prima di gettarla nel pozzo, e mi ha pregato di non farle male. Ha chiesto aiuto a Dio.
Mi ha detto: “nel nome del Dio di tutta l’umanità, nel nome di Dio, zio, zio, zio liberami. Per amore di Dio, per favore non gettarmi nel pozzo. Che cosa ho fatto, perché mi stai uccidendo, che cosa ho fatto per meritarmelo? Zio, ti prego, aiutami!”
Ma avevo preso la decisione di ucciderla, con l’aiuto dei miei amici, con le personalità religiose, con Hamas.

La facoltà universitaria di Hebron ha rilasciato una dichiarazione di condanna dell’assassinio di “una ragazza esempio di onore, castità e decenza. Il suo omicidio è stato perpetrato da un mascalzone irresponsabile che danneggia il gruppo, incompatibile con i principi di tolleranza religiosa islamica, con la magnanimità della civiltà e della cultura araba, che ci riporta nell’ignoranza “. Nella dichiarazione si invita l’Autorità palestinese ad sostenere una dura punizione più dura per i criminali che sia di lezione per tutti coloro che sono tentati di abusare dei sacri vincoli del sangue. La dichiarazione ha inoltre invitato gli uomini delle tribù di considerare il reato un omicidio volontario.

Nel frattempo, le donne e gli attivisti dei diritti umani stanno organizzando varie iniziative di protesta tra cui si sit-in davanti al governatorato di Hebron, e chiedono pene severe per i criminali. In un’altro manifestazione, le donne sollevato la foto di Ayah e portato cartelli con su scritto “Ayah è un martire”, “I criminali devono essere condannati a morte”.

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