Israele minaccia le comunità beduine

Continuano le demolizioni di case nella Valle del Giordano. In soli sei mesi sono state distrutte 103 strutture abitative e sfrattati oltre 700 palestinesi.

Israele minaccia le comunità beduine
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28 Giugno 2011 - 14.45


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di Marta Fortunato

Gli israeliani, si dice da decenni, hanno trasformato il deserto in giardini. Attraverso il furto di acqua e terre, replicano i palestinesi sotto occupazione militare. Nelle ultime due settimane nella Valle del Giordano l’esercito israeliano ha demolito 27 case e sfrattato più di 140 palestinesi. L’obiettivo sarebbe quello di annettere ad Israele una delle aree più ricche di risorse naturali della Cisgiordania. Al-Hadidyia, Khirbet Yerza e Fasayil sono stati i villaggi più colpiti. E gli ordini di demolizione continuano.

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Domenica scorsa un gruppo di attivisti palestinesi ed internazionali ha piantato 300 olivi nelle terre di Fasayil come gesto di solidarietà alle famiglie del villaggio, dopo che la scorsa settimana i soldati israeliani avevano demolito 18 case provocando lo sfratto di 103 persone. Ad ogni ulivo è stato dato il nome di un villaggio distrutto durante l’occupazione del 1967 come atto simbolico per collegare la catastrofe di allora con l’attuale ondata di demolizioni che ha colpito il villaggio. Stesso intento, stessa violenza. “Le ultime demolizioni che hanno avuto luogo a Fasayil sono parte di un continuo processo di pulizia etnica nella Valle del Giordano” afferma Italy Epshtain, co-direttore del comitato contro la demolizione delle case (ICAHD), nel report mensile dell’associazione – la chiara politica israeliana è quella di abbattere le case palestinesi nella Valle del Giordano con lo scopo di annettere nuove terre ed espandere le colonie”.

Meno di una settimana fa anche i villaggi di Al-Hadidya e di Khirbet Yerza sono stati oggetto di demolizioni: 34 strutture sono state distrutte e 42 palestinesi, di cui 11 bambini, si sono ritrovati senza un tetto sopra la testa. Al-Hadidya è una comunità beduina che si basa sul pascolo, situata tra due colonie illegali costruite su parte delle terre del villaggio, circondata da tre basi militari e dichiarata dalle autorità israeliane area militare chiusa. Al-Hadidya ha una storia tormentata: dal 1997 più di 40 famiglie sono state sfrattate dalla proprie abitazioni a causa di demolizioni, confische e restrizioni d’accesso. Secondo quanto riportato dalla Campagna di Solidarietà della valle del Giordano, un’organizzazione che lavora con le comunità locali, dal 2007 dozzine di strutture abitative sono state distrutte e ogni anno la situazione peggiora.

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Dati confermati anche dai report dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’tselem, secondo la quale nei primi sei mesi del 2011 più di 700 persone, di cui 342 bambini, sono state cacciate dalle loro case. E il numero di demolizioni in area C, effettuate dall’Amministrazione Civile Israeliana nel 2011, è in forte aumento: ”Da gennaio a giugno 2011 sono state demolite 103 strutture residenziali contro le 86 del 2010 e le 28 del 2009”.

Infatti gli attacchi avvenuti in questi piccoli villaggi della Valle del Giordano sono parte di un piano di demolizione più ampio che coinvolge tutte le terre che con gli accordi di Oslo sono state designate come area C. Queste zone, che costituiscono più del 60% di tutta la Cisgiordania, sono sotto il totale controllo israeliano, sia dal punto di vista amministrativo che dal punto di vista militare. Quasi il 75% di quest’area è stata resa impraticabile per gli oltre 40.000 residenti palestinesi attraverso la creazione ad hoc di riserve naturali e zone militari chiuse.

La Valle del Giordano e la parte settentrionale del Mar Morto costituiscono un chiaro esempio dell’intento politico dello stato sionista nell’area C, formalmente palestinese ma de facto sotto il totale controllo israeliano. Nel report sulla politica israeliana nella Valle del Giordano redatto da B’tselem a maggio 2011, si legge che “il 77.5 % dell’area non è utilizzabile dai palestinesi “ e che “i 9400 coloni che vivono in queste terre hanno a disposizione più di un terzo di tutta la quantità d’acqua presente in tutta la Cisgiordania”. Questa grande abbondanza di risorse idriche ha permesso ai coloni di sviluppare sistemi intensivi di coltivazione e di lavorare la terra tutto l’anno, esportando la maggior parte dei prodotti. Cosa che ha provocato una forte diminuzione della quantità d’acqua utilizzabile dai palestinesi (il 44% in meno rispetto al 1995) e una distribuzione disuguale delle risorse idriche tra le comunità palestinesi dell’area: i beduini della Valle del Giardino hanno accesso ad una quantità così irrisoria di acqua che il loro consumo corrisponde agli standard stabiliti dell’ONU sulla quantità minima necessaria alla sopravvivenza nelle aree di crisi umanitaria. I canali idrici che collegavano tra loro i vari villaggi palestinesi sono stati modificati dalle autorità israeliane per raggiungere gli insediamenti illegali e ciò ha provocato gravi conseguenze sulle comunità beduine: la maggior parte delle terre non possono più essere coltivate a causa della scarsità delle risorse idriche e in molti campi si è costretti ad optare per prodotti meno redditizi. Anche il mangime per le greggi non può più essere coltivato.

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L’intero equilibrio su cui si basavano questi villaggi è stato spezzato e la povertà è aumentata. L’autosufficienza non è più possibile, la disoccupazione è in forte crescita e gli abitanti, un tempo pastori e contadini, sono costretti a svolgere lavori umili all’esterno del villaggio, per mantenere la famiglia e garantire la sopravvivenza di questa piccole comunità beduine.

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