Dov'è finita la guerra di Libia? Dispersa in un deserto di soldi

La crisi economica occidentale taglia le risorse ai bombardamenti e ai ribelli a terra. A Bengasi si ammazzano e rispunta Al Qaeda. [Ennio Remondino]<br>

Dov'è finita la guerra di Libia? Dispersa in un deserto di soldi
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Ennio Remondino Modifica articolo

3 Agosto 2011 - 14.59


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di Ennio Remondino

Che l’intervento militare francese prima e della Nato dopo in Libia fosse un azzardo, erano in molti a pensarlo. Difficile sostenerlo pubblicamente di fronte ad un despota caricaturale e crudele come Gheddafi. Più o meno come i dubbi attuali sulla Siria di Assad, i suoi ribelli e gli interessi israeliani e iraniani che assieme ad essi esistono. Col rischio di infinite dietrologie. Ma i morti civili per le cannonate di Bashar e dei bombardieri Nato sulla Libia, sono morti veri. E troppi, ormai. Restiamo alla Libia. Non si tratta solo di una interessata partita sulle risorse di gas e petrolio, ma tocca assetti strategici più complessi. Il flusso dei migranti per la piccola politica leghista. Le reali forze in campo tra l’informe corpo dei ribelli della Cirenaica asserragliati a Bengasi per i fragili equilibri dell’interra area mediorientale. Proviamo a porci qualche domanda. Per le risposte certe, non è ancora tempo.

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Dove è finita la guerra lampo per liberare la Libia dal tiranno?
Il sostanziale disimpegno americano in questa guerra la dice lunga. La “guerra lampo” con la rapida presa del potere da parte dei ribelli di Bengasi, sul modello di quanto accaduto in Tunisia ed Egitto è la toppa recente più clamorosa di strateghi militari e dell’intelligence francese. Le valutazioni USA erano evidentemente diverse. Forse anche quelle italiane. Minimo quattro mesi di massacri, prima di sperare di liberarsi di Gheddafi, furono le segretissime valutazioni di allora. Quattro mesi dopo, nessuno azzarda nuove previsioni. Perché nel frattempo si sono sovrapposti altri problemi. La guerra solo aerea colpisce falsi bersagli, ammazza civili inermi e crea antipopolari “Effetti collaterali”. In più, ogni bomba più o meno intelligente, costa una tombola. E le casse, signori Ricchi del mondo, ora sono vuote, avverte Obama.


Senza Dollaro non si vede Cammello.
Attacchi aerei sempre più rarefatti e inefficaci, pattugliamento navale italiano altrettanto costoso e di pura e semplice scena. In Libia è guerra civile, scontro tra le diverse Kabile, tribù e territori separati, più che tra diversi ideali di democrazia e libertà. Una guerra che si vince o si perde con le armi leggere e con gli anticarro. Chi vende, chi compra, chi paga, chi regala oggi per incassare domani? La crisi economica mondiale colpisce anche su questo fronte. Poche armi arrivate (anche dall’Italia) ai ribelli di Bengasi, pochi istruttori militari ad insegnare ad usare quelle più sofisticate, mentre sull’altro fronte, quello di Gheddafi, i tesori nascosti permettono sempre nuovi arruolamenti di mercenari. La guerra sul campo non sta andando affatto bene, confessa riservatamente chi sa, anche se la “Messa cantata” dalla politica è diversa.

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Chi sono i ribelli di Bengasi e il Consiglio nazionale transitorio?

Altro bel pasticcio, culminato nell’uccisione del supercomandante dei ribelli accusato da “Tradimento”, rilancia con gravità la questione delle debolezze, lacerazioni tribali e divisioni interne al fronte anti-Gheddafi. Abdel Fattah Younes era il massimo responsabile militare delle forze rivoluzionarie libiche. I suoi funerali si sono svolti nel terrore generale che potessero sfociare in guerra fratricida. C’erano i militanti più arrabbiati degli Obeidi, la stessa tribù di Younes, che sparavano per le strade. «La morte di Younes resta un grave mistero», balbetta il Consiglio nazionale transitorio, l’organo di governo dei ribelli. La tesi più accreditata tra le decine di agenti segreti occidentali a Bengasi è che Younes sia stato ucciso da elementi estremisti perché accusato di negoziare segretamente con inviati del governo di Tripoli.


I timori dell’estremismo islamico che ritornano.
All’inizio fu considerata pura e semplice propaganda da parte di Gheddafi per ingannare e imbonire gli sceriffi occidentali che lo volevano morto. L’infiltrazione tra i ribelli di Al Qaeda e delle sue varia filiazioni nazionali. Smentite secche da parte di tutte le cancellerie occidentali, con i rappresentanti del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, ricevuti come autentici Capi di Stato. Qualche certezza in meno nel mondo dell’intelligence. Ora, dopo la morte di Abdel Fattah Younes, torna in campo l’ ex generale Khalifa Haftar, eroe nazionale della guerra contro il Ciad, noto per i dissidi con Gheddafi e riparato a Washington. Un esilio nel corso del quale avrà certamente imparato qualcosa. Tipo, il dettaglio statistico che tra i militanti di Al Qaeda individuati, i libici sono percentualmente i più numerosi. Fatto il conto di soli 3 milioni e mezzo di abitanti.

Informazione, contro informazione e disinformazione.

Guerra di resistenza e guerra di spie. Siti web che nascono come funghi, tutti a proporsi come voce della liberazione della Libia, tutti a fornire cronache inverificabili. Ma una “notizia” spicca tra le altre e vale la pena di rilanciarla. Una operazione per uccidere Abdallah al-Sanusi, capo dei servizi segreti libici. Fawzi al-Ghiryani, coordinatore generale del Movimento Nazionale per la liberazioni di Libia (NMLL), racconta dal suo quartier generale nell’sola tunisina di Djerba, che Abdallah al-Sanusi è morto e che il primo ministro Al-Baghdadi al-Mahmudi è stato ferito nell’attacco. Sfuggito all’attentato invece Sayf al-Islam al-Gheddafi, il secondo figlio il colonnello. Vero o falso che sia, il segnale è chiaro. Guerra sempre più clandestina, da agguati e da spionaggio per cercare di mettere le pezze ad una guerra che inciampa sul campo di battaglia.
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