Shopping neocoloniale in Africa

L'Africa vacilla sotto i colpi di carestia e siccità, con oltre dodici milioni di persone a rischio, mentre prosegue la svendita di terre a stati e multinazionali straniere.

Shopping neocoloniale in Africa
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18 Agosto 2011 - 11.17


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di Angelo Ferrari

Una vera e propria guerra della terra, che ha per protagonisti stati come l’Arabia Saudita, gli Emirati, la Corea del Sud, la stessa Italia e non ultima la Cina. Siccità e carestia che hanno messo in ginocchio il Corno d’Africa non dipendono solamente da questioni relative al clima, ma da povertà, mal gestione dei governi, guerre, incuria della terra. Siamo in aeree del mondo dove la sicurezza alimentare dei popoli non è garantita. Gli stati africani cedono le terre agricole a società straniere. Terre che saranno destinate alla produzione di vegetali da trasformare in biocarburanti, oppure alla coltivazione di prodotti da esportare sul mercato internazionale.

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L’Etiopia. Cominciamo da qui il viaggio nella svendita della terra, investita da una carestia senza precedenti, sta attuando una piano avviato dal 2009 che prevede per i prossimi anni la cessione di trentacinquemila chilometri quadrati di terra, una superficie più estesa dell’intera Lombardia, ad aziende straniere che potranno utilizzarle per un periodo compreso tra i cinquanta e i novantanove anni. Lo stesso ministero dell’agricoltura ha spiegato che la domanda è forte e sono 1311 le richieste ricevute, la più importante riguarda 300 mila ettari, avanzata da una società indiana. Caso emblematico, inoltre, è il progetto Gibe III, una mega diga sul fiume Omo. Una costruzione a cui seguiranno canali di irrigazione che muteranno il sistema agricolo tradizionale a beneficio degli investitori stranieri.

La Cina è vicina. L’Unesco ha chiesto la sospensione del progetto. La Banca africana per lo sviluppo ha tolto il finanziamento al governo etiope, come ha fatto la Banca europea degli investimenti. Al loro posto sono arrivati i soldi di Pechino. Proprio la Cina che sta diversificando i suoi interessi in Africa: non solo materie prime in cambio di infrastrutture, ma oggi anche terra coltivabile per soddisfare i bisogni alimentari di Pechino. Nei prossimi cinquanta anni la Cina investirà cinque miliardi di dollari nell’agricoltura in Africa, dove ha siglato più di una trentina di accordi che prevedono l’accesso a terreni fertili in cambio di strade, sistemi di irrigazione, formazione e tecnologia.

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L’appetito del dragone. Il dragone, che conta il 40 per cento dei contadini del mondo, ha solo il 9 per cento delle terre coltivabili. Alla Cina non stanno certo a cuore le sorti delle popolazioni africane, ma l’intenzione di Pechino è quella di delocalizzare la produzione di cibo, un piano è già pronto, ma non solo. La Cina ha un problema interno da risolvere: masse di popolazione rurale che sopravvivono a stento e che possono rappresentare un fattore destabilizzante per l’intero paese. Non è fantascienza pensare che masse di contadini dagli occhi a mandorla verranno trasferiti in Africa, a scapito della manodopera locale. E già sta accadendo in Zambia, Uganda, Tanzania e Zimbabwe.


E il Sud Africa non è da meno.
Il gigante sudafricano, i cui prodotti agricoli già invadono i mercati dell’Africa Australe, ha recentemente avuto in concessione dieci milioni di ettari dal Congo Brazzaville per novantanove anni. Come al solito il ministero dell’agricoltura congolese ha smentito, precisando che i tratta di «un contratto di concessione di trent’anni, che riguarda le vecchie aziende agricole di stato abbandono ». La sostanza, tuttavia, non cambia. Il Congo Brazzaville è un paese con un enorme potenziale agricolo (solo il 4 per cento delle terre agricole è coltivato) non sfruttato e su cui il governo investe poco o nulla. Nel 2010 in occasione dei festeggiamenti per i cinquanta anni di indipendenza del paese sono stati spesi 35 milioni di euro, mentre la cifra del budget nazionale 2010 per il settore agricolo è stata di un decimo, ossia 3,5 milioni di euro.

Perché proprio l’Africa? Fino ad ora sono state censite oltre 390 acquisizioni di larga scala di terra agricola in ottanta paesi. Solo il 37 per cento degli interventi è mirato alla produzione di cibo, mentre il 35 per cento è destinato alla produzione di agro-carburanti. Per la Banca mondiale, è nell’Africa sub-sahariana dove si concentra la maggior parte (45 per cento) della terra adatta alla coltivazione non ancora sfruttata. Da qui la caccia alla terra del continente nero. Da aggiungere, inoltre, che sulla terra, nel 2050, vivranno nove miliardi di persone. Per sfamarle tutte, secondo la Fao, sarà necessario produrre almeno il 70 per cento di cibo in più. Crescerà esponenzialmente la classe media e, dunque, ci saranno milioni di cinesi e indiani che avranno maggiori disponibilità economiche e consumeranno di più. Ciò vuol dire aumentare gli allevamenti con conseguente necessità di cereali per l’alimentazione degli animali. E dove si va? In Africa.

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Concessioni per 99 anni. Africa dove, è vero la terra non è in vendita, ma può essere “concessa” per novantanove anni. E le tariffe per la concessione variano da un dollaro all’anno per ettaro dell’Etiopia ai 13,80 dollari del Camerun. In Senegal o in Mali, nemmeno un dollaro. Insomma tutto risulta essere estremamente conveniente. Se la Cina corre, non sono da meno gli stati del Golfo Persico e l’Arabia Saudita, dove la popolazione raggiungerà i sessanta milioni di abitanti nel 2030 e le fonti d’acqua sono destinate a finire nel giro di trenta anni. Qui la produzione agricola non è più sostenibile e allora si va in Africa dove tutto è molto più conveniente. L’Arabia Saudita ha festeggiato del 2009 il suo primo raccolto di cereali e riso proprio in Etiopia. Tra i più voraci risulta essere la Corea del Sud, quarto produttore al mondo di mais, ha siglato accordi su circa 2,3 milioni di ettari.

Fine della storia. E la produzione di cibo, fa lo stesso percorso delle materie prime, emigra all’estero e serve a sfamare quella parte di mondo più fortunata, lasciando al proprio destino gli africani. Lo shopping senza regole e con contratti oscuri, rischia di non incidere sullo sviluppo dei paesi africani, non solo per quanto riguarda la sicurezza alimentare ma anche dal punto di vista dell’occupazione. Nel 2010 la Fao ha invitato i governi africani a evitare cessioni massicce di terra. Il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, ha parlato di neocolonialismo e di terza fase della globalizzazione. Gli africani di furto. E intanto lo shopping continua.

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