Scarsa mobilità sociale, mercato del lavoro bloccato, fuga di cervelli all’estero. È il preoccupante quadro tracciato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) sul sistema educativo e il conseguente accesso al mondo del lavoro nel Paese dei Cedri.
Il Libano, da sempre considerato nel mondo arabo Paese all’avanguardia nel settore educativo e scolastico, mostra oggi tutte le sue falle, per lo più dovute a disuguaglianze sociali strutturali che creano un gap difficilmente colmabile una volta di fronte al mercato del lavoro.
A pubblicare i risultati dell’inchiesta sulla disoccupazione giovanile in Libano dell’Ilo è stato qualche giorno fa il quotidiano Al Akhbar, che ha riportato le analisi condotte dalla ricercatrice Mary Kawar e dall’inviato regionale dell’Ilo Zafiris Tzannatos. L’inchiesta è partita sulla spinta di una domanda chiara: il problema della disoccupazione giovanile è dovuto a mancanza di competenze specifiche o all’incapacità del sistema ad assorbire i nuovi ingressi nel mondo del lavoro?
La risposta appare altrettanto chiara: se da una parte la mobilità sociale è pressoché nulla, permettendo così il mantenimento di disuguaglianze strutturali nell’accesso a posizioni di vertice, dall’altra il sistema scolastico pubblico riesce a garantire ancora una buona preparazione. Che non si traduce però in facilitazioni nella ricerca di un posto di lavoro consono alle proprie competenze. Ovvero, tanti giovani ben preparati non riescono a sfondare.
“La buona notizia – si legge nel documento di presentazione dello studio realizzato dall’Ilo – è che i libanesi non devono preoccuparsi delle proprie risorse umane, perché sono di elevata qualità e abbondanti”. E la brutta notizia? Ci sono troppi lavoratori specializzati per i posti a disposizione nel mondo del lavoro: per ogni 20mila nuovi potenziali ingressi nel mondo del lavoro, il sistema ne riesce ad assorbire solo 4mila.
La diretta conseguenza di un simile gap è la fuga all’estero: il Libano, il cui tasso generale di disoccupazione è pari all’11%, è il Paese all’interno del mondo arabo con il più alto tasso di emigrazione, una vera e propria fuga di cervelli alla ricerca di un posto di lavoro consono.
A ciò si aggiunge un sistema educativo che, pur garantendo un buon livello qualitativo, va a sbattere contro il muro di gomma dell’immobilismo sociale. Le famiglie ricche possono permettersi istituti scolastici e università a cui quelle più povere non potranno mai accedere. Ovvero, le università e le scuole che formano la classe dirigente e che aprono le porte alle poltrone di vertice nel mondo dell’impresa e del lavoro.
Lo studio dell’Ilo mostra chiaramente che soltanto il 5% della famiglie a basso reddito riesce ad iscrivere i propri figli a scuole private. Dall’altra parte, nella sola area di Beirut (la capitale libanese che Tzannatos ha descritto come “Monaco circondata da cinture di povertà”) ben il 70% degli studenti frequenta istituti privati.
La diretta conseguenza di una simile differenza è il gap educativo tra studenti benestanti e studenti della classe medio-bassa. Un gap che, se si riflette sul livello e la qualità dell’istruzione ricevuti, va a pesare soprattutto sulle future chance di accesso alle più prestigiose fette del mercato del lavoro. Secondo lo studio dell’ILO, la differenza di conoscenze tra ricchi e poveri è pari al 45% nelle scienze e del 38% in matematica, percentuali tra le più alte del mondo arabo e seconde solo al Qatar, dove il gap nelle scienze è apri al 48%.
Infine, l’accesso all’università. “C’è una sola università pubblica in Libano – spiega l’Ilo – che recluta la metà degli studenti provenienti dalle scuole superiori: l’Università Libanese”. La sola scelta per la stragrande maggioranza dei giovani diplomati provenienti da famiglie non benestanti, il cui problema non è solo la mancanza di opzioni, ma anche l’accesso stesso agli studi universitari.
All’interno della classe medio-bassa, infatti, solo il 10% dei giovani riesce a terminare gli studi superiori, aprendosi così la strada all’eventuale iscrizione all’università. Una percentuale che balza al 25% nel caso di studenti appartenenti a classi alte e benestanti.
L’economia libanese fa leva su una forza lavoro di un milione e 481mila lavoratori (dati aggiornati al 9 gennaio 2012) su una popolazione di quasi quattro milioni e 150mila persone. La popolazione in età lavorativa, tra i 15 e i 64 anni è il 68% del totale. A questi si aggiungono circa un milione di impiegati stranieri, per lo più siriani.
Negli ultimi anni, l’economia del Libano si è orientata verso il terzo settore: servizi, turismo e banche i punti forti di un Paese uscito distrutto da una guerra civile durata 15 anni e che ha lasciato agli inizi degli anni ’90 una nazione da ricostruire. Ad essere subito rimesse in piedi le infrastrutture economiche e finanziarie, grazie soprattutto al ruolo assunto dalle banche locali.
Ed oggi il Libano è attraversato da una crisi economica le cui radici vanno cercate nel collasso del governo nel gennaio 2011, per la decisione dei ministri di Hezbollah di abbandonare l’esecutivo dopo che le fazioni più vicine ai poteri occidentali avevano accusato milizie sciite dell’omicidio del premier Hariri. Una crisi che ha fatto crollare la crescita del prodotto interno lordo di Beirut da una media dell’8% l’anno all’1,5%.