Alla vigilia della sua prima volta come presidente di turno dell’Unione Europea, Cipro si ritrova in ginocchio a causa di una crisi bancaria che, come un mare in tempesta, sta rompendo gli argini della finanza per riversarsi con inedita violenza sull’economia reale. L’effetto combinato del disastro greco e della fuga dei capitali russi dall’isola hanno spinto sull’orlo del baratro la Cyprus Popular Bank, secondo istituto di credito del Paese, costretta a svalutare due miliardi di euro di titoli ellenici in seguito alla ristrutturazione del debito di Atene operata a marzo. Su questo quadro a tinte fosche pesano anche le sofferenze sui prestiti elargiti al settore privato greco che, secondo Nicosia, ammonterebbero a ventidue miliardi di euro.
Reperire sui mercati in due settimane gli 1,8 miliardi necessari per ricapitalizzare la Popular Bank sembra un’operazione fuori dalla portata del governo cipriota che, al momento, non può permettersi una spesa tale da far impennare il deficit al dieci per cento del Pil. Per questo, negli ultimi giorni, si sono moltiplicate le richieste di intervento al Fondo Salva Stati da parte dei vertici del governo cipriota. L’ultimo appello, in ordine di tempo, è stato lanciato dal ministro delle Finanze Vasos Shiarly: “Si tratta di un problema urgente, sappiamo che la ricapitalizzazione delle banche deve essere completata entro il 30 giugno. Mancano solo pochi giorni, quindi la questione è di un’urgenza eccezionale”.
L’eventuale piano di salvataggio europeo per le banche cipriote avrebbe un’entità di gran lunga inferiore rispetto a quelli messi a punto per Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna, ma la tendenza delle istituzioni di Bruxelles a sottovalutare i rischi provenienti dai Paesi periferici dell’Eurozona, la scarsa trasparenza del comparto finanziario della piccola Repubblica e l’imminenza delle elezioni greche, dalle quali emergerebbe uno scenario denso di incognite, potrebbero far slittare gli aiuti a data da destinarsi, con conseguenze disastrose per tutti.
Con la deflagrazione della crisi greca, l’isola si è trovata ad affrontare uno dei momenti più critici della sua storia recente: in un solo anno il debito pubblico, declassato a spazzatura dalle agenzia di rating, è balzato dal 61,5 al 71,6 per cento del Pil e le stime del Fmi, che non tengono conto dei problemi di liquidità delle banche, prevedono per l’anno in corso un calo del Pil dell’1,2 per cento. La disoccupazione che, fino al 2010, si era stabilizzata intorno al 6 per cento, ha superato il 10 per cento nel 2011 e gli sviluppi della crisi lasciano presagire il raggiungimento a breve di cifre record.
Cipro, membro dell’Unione Europea dal 2004 e parte integrante dell’Eurozona dal 2008, conta ottocentomila abitanti ed è governato dal comunista Dimitris Christofias, vincitore a sorpresa delle elezioni presidenziali di quattro anni fa. La prospettiva di una presidenza di turno dell’Unione a guida cipriota nel 2011 era stata all’origine di una crisi diplomatica tra Bruxelles ed Ankara, che non ha mai riconosciuto la piccola Repubblica mediterranea e ha ne ha ostacolato a più riprese il processo di integrazione comunitario. L’isola è divisa dal luglio 1974, quando l’esercito turco prese il controllo di circa un terzo del territorio, situato prevalentemente nell’area settentrionale.