In Iraq il governo soffoca la stampa

Baghdad ordina la chiusura di 44 agenzie di informazione. Petizione di giornalisti locali e stranieri contro il bavaglio: prima ci uccideva al Qaeda, oggi il governo.

In Iraq il governo soffoca la stampa
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26 Giugno 2012 - 10.23


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di Emma Mancini

Iraq vietato alla stampa, ma i giornalisti non ci stanno. Monta la protesta contro il governo Maliki, impegnato da mesi nel mettere il bavaglio alla libertà di stampa. E mentre la legge emanata lo scorso novembre dal Parlamento iracheno diventa oggi il target di una petizione alla Corte Suprema, entra in azione la polizia: l’ordine è quello di chiudere una serie di agenzie di informazioni locali e straniere in tutto il Paese.

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Agenzie stampa sotto attacco. Tra le agenzie stampa nel mirino del governo di Nouri al Maliki sono finite anche la Bbc e Voice of America. A rendere noto il documento ufficiale che ordina la chiusura di ben 44 agenzie di informazione in Iraq è l’associazione Journalistic Freedoms Observatory (Jfo): ad emetterlo la Commissione irachena per i Media e le Comunicazioni, dietro approvazione del Ministero dell’Interno. Nel documento si ordina alle istituzioni statali “di interrompere la cooperazione con tali agenzie e di ordinare alla polizia la chiusura dei canali informativi in questione”.

L’ennesimo schiaffo autoritario da parte del governo di Baghdad, sempre più alla deriva di un pericoloso dispotismo. L’ordine di chiusura delle 44 agenzie stampa è solo l’ultimo di una serie di provvedimenti volti a mettere a tacere la stampa indipendente, in un Paese che da mesi galleggia sull’orlo della guerra civile. A protestare contro l’eccessivo potere concentrato nelle mani del premier Maliki anche i seguaci di Muqtada Al Sadr, leader religioso impegnato in una dura opposizione contro l’occupazione militare statunitense, e che oggi chiede la sfiducia al governo e in primis al primo ministro, che attualmente riveste anche la carica di presidente della Commissione per i Media e le Comunicazioni.

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Petizione contro la legge-bavaglio. Target dell’opposizione e delle associazioni a difesa della libertà di stampa è la legge approvata a novembre 2011, la cosiddetta “Legge per i diritti del giornalista”. Una normativa controversa e volutamente imprecisa, che ha finito per restringere ulteriormente la libertà di stampa, seppure fosse stata presentata come necessaria “alla protezione dei giornalisti”. La normativa riconosce ai giornalisti “il diritto ad accedere a report, informazioni e documenti ufficiali a meno che la pubblicazione del suddetto materiale non danneggi gli interessi nazionali e non sia in conflitto con la legge”, senza però specificare in alcun modo a quale legge ci si riferisca. Una lacuna espressamente voluta che finisce per creare delle barriere alla libertà di stampa. Inoltre, la legge riserva al governo il diritto di intervenire contro un’agenzia stampa se questa istiga alla violenza settaria, senza indicare cosa di intenda per incitamento alla violenza.

Contro la legge in questione un gruppo di giornalisti ha presentato una querela contro il governo di Baghdad. L’associazione Iraq’s Society for Defence of Press Freedom in un comunicato spiega che “la legge è una chiara violazione della costituzione irachena agli articoli 13, 14, 38 e 46. La normativa inoltre viola gli impegni internazionali dell’Iraq, in particolare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Convenzione Internazionale per i Diritti Civili e Politici”. L’organizzazione ha raccolto 733 firme di giornalisti iracheni e stranieri nella petizione consegnata alla Corte Suprema Federale. La querela non è diretta solo contro la legge, ma anche contro Osama al-Nujaifi, presidente del Parlamento iracheno, considerato responsabile dell’approvazione definitiva della normativa.

Eppure non tutti sono d’accordo e una prima crepa si forma nel fronte dei giornalisti iracheni. Secondo il Sindacato dei Giornalisti, capeggiato da Muayad al-Lami, la legge va considerata una grande vittoria per la stampa nazionale “perché protegge i giornalisti e le loro famiglie e pone fine agli attacchi contro la stampa”. Il riferimento è ai nuovi “privilegi” che la normativa ha introdotto a favore del settore: una pensione governativa tra 400 e 600 dollari alla famiglia di un giornalista ucciso e un assegno dello stesso ammontare al giornalista ferito durante la copertura mediatica di un evento in zone pericolose.

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L’informazione in un Paese diviso. I rischi del mestiere in Iraq raddoppiano. Oltre 340 i giornalisti rimasti uccisi dal 2003, anno dell’invasione militare statunitense contro il regime di Saddam Hussein. E l’Iraq finisce nella lista nera, considerato uno dei Paesi più rischiosi di tutto il mondo per la stampa, secondo l’associazione Freedom House.

A ciò si aggiungono le pressioni autoritarie provenienti dalle alte sfere istituzionali, dal governo e dalle forze di sicurezza, il cui obiettivo è mettere il bavaglio alla bocca della stampa indipendente. “Il modo di uccidere il giornalismo è cambiato: dalla violenza fisica a quella legale, protetta dalla legge – spiega Ziad Al Ajili, direttore del Journalistic Freedoms Observatory – Prima ad uccidere i giornalisti era Al Qaeda, ora sono l’esercito e la polizia che impediscono l’accesso alle informazioni e vietano di fare fotografie e filmati, mentre il governo approva leggi-bavaglio. Insomma, sei morto”.

Basta leggere le dichiarazioni ufficiali, come quella del vice ministro dell’Interno, Adnan Al Assadi, secondo il quale “la libertà di stampa è una minaccia alla sicurezza nazionale”. Lo sa bene Al Ajili, target preferenziale del paranoico e autoritario regime iracheno: raid negli uffici dell’organizzazione, confisca di computer e hard disk, minacce di arresto. Perché come dice amaramente Al Ajili, “dai ribelli ti puoi nascondere, ma dal governo no. Sa dove trovarti”.

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